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Rincorrere la meraviglia. Un prezioso atlante di Ex libris a Crema

Mostra Una Minima Eleganza, Museo di Crema e del cremasco, Installation view, ph. Maria Parmigiani Mostra Una Minima Eleganza, Museo di Crema e del cremasco, Installation view, ph. Maria Parmigiani
Mostra Una Minima Eleganza, Museo di Crema e del cremasco, Installation view, ph. Maria Parmigiani
Mostra Una Minima Eleganza, Museo di Crema e del cremasco, Installation view, ph. Maria Parmigiani

Nelle sale della Pinacoteca del Museo Civico di Crema e del Cremasco oltre 300 ex libris e opere di piccola grafica dalla Collezione Ferruccio Proverbio

Leopardi, nella canzone “ad Angelo Mai”, afferma che “il grande e il raro ha nome di follia”, e allora potremo facilmente dire che il Museo Civico di Crema e del Cremasco è folle erario custodito non lontano dalla fiabesca valle del Serio e adiacente alla ruvida pelle in caldo cotto e ai ferri battuti antichi dell’inenarrabile bellezza della silhouette della dimora di quel cotal fantasma che si aggira tra le finestre aperte sul cielo del centro lombardo. I fratelli Galliari, Giambettino e Martino Cignaroli, Bartolomeo Rusca, Fra Galgario e Pietro de’ Giorgi vi dipinsero la maestosità del prestigio sociale del conte Nicolò Maria Bondenti. Tra conchiglie ed eleganti modanature, lo stile barocco si concede al rocaille, culminante nelle cimase a pagoda rovesciata e di rimembranza orientale. Poi i conti Porta Puglia e, infine, i Terni de’ Gregorj abitarono, tra fasti, le mura. Attraverso le targhe commemorative, si ha, tuttora, memoria del passaggio di illustri, come Vittorio Emanuele II nel 1859 e, Umberto II di Savoia nel 1924.

LA STORIA DEL MUSEO CIVICO DI CREMA E DEL CREMASCO NEL TESSUTO URBANO

Il padre agostiniano Bernardo Nicola Zucchi ricorda che, sulle mura di cinta del cortile di ingresso del Palazzo – progettato dall’architetto piacentino Giuseppe Cozzi – site sulla “Strada di Sant’Agostino”, l’odierna via Dante Alighieri, nel 1716, furono allocate quattro statue allegoriche: la Generosità, la Saggezza, la Prosperità e il Commercio. Le statue, con materno sguardo, vigilano il vestibolo dell’ex convento di Sant’Agostino, edificato con lascito testamentario di Tommaso Vimercati nel Quattrocento, oggi sede del Museo. Percorrendo la piazzetta Terni – de’ Gregory, si arriva fino alle mura venete e a Santa Maria delle Grazie. La città era, infatti, cinta da quattro porte, quelle di Ombriano, di Pianengo, di Serio e di Ripalta. Al Campo di Marte, vi è ancora una testimonianza con una costruzione architettonica difensiva della seconda metà del XV secolo, realizzata dai Veneziani. Attraversando piazza Giovanni XXIII, si giunge sino alla Santissima Trinità, esempio di rococò lombardo e dipoi, a Palazzo Vimercati Sanseverino e al Teatro di San Domenico. In via XX Settembre, si ammira il Torrazzo con tratti stilistici dell’architettura rinascimentale lombarda del Cinquecento. Sulla balconata si accinge il leone di San Marco, donato a Crema, nel 1525, da Francesco II Sforza. Sull’altro lato in piazza Duomo si scorge, nelle nicchie, a sinistra San Pantaleone, e a destra il San Vittoriano, posti ai lati della balconata che fiancheggia lo stemma di Crema, riposto in un aureo tempietto, coronato da un orologio del 1555, e da una campana nella lanterna che, già nel 1594, riuniva le sedute del Consiglio Comunale.
Il Torrazzo, il Municipio con porticato, il Palazzo Pretorio, la Torre Guelfa con il Leone di San Marco con coda alzata e il libro trattenuto sotto la zampa e edificio più antico della città, simbolo del potere della Serenissima, formano la L del Palazzo Comunale, costruito nel 1525, come luogo del potere politico della Repubblica di Venezia. Il suo interno ospita una Pinacoteca con dipinti di diversi artisti, tra i quali ricordiamo Palma il Giovane, Palma il Vecchio e il Romanino. Il dominio veneziano si ricorda tramite un detto che connotava il territorio del Cremasco, durante il periodo rinascimentale: “Cremasco, isola veneziana in terra ferma”. Questo excursus – che denota la vicinanza tra il cuore di Crema e il suo Museo Civico – termina con l’incanto del Duomo che, in stile gotico cistercense, è stato costruito (1284 – 1341) sulle ceneri del Duomo, raso al suolo, nel 1160, dal Barbarossa. Il portale è decorato con il gruppo scultoreo della Madonna col Bambino Gesù fra i santi Giovanni Battista e Pantaleone. Due sono i capolavori che ornano il Duomo; l’uno nell’interno a tre navate, l’altro sulla facciata: “Cristo appare a San Marco” di Guido Reni del XVII secolo, situato nella cappella dedicata alla Madonna della Misericordia; e il rosone in marmo, una rosa con sedici petali intrecciati, sorretti da colonnine, simbolo del Paradiso. L’opera architettonica è sormontata da una lanterna ottagonale, sopra cui si staglia una banderuola senza tempo. Il simbolismo della rosa cita la dedica del Duomo alla Santa Maria Assunta. Dopo il Duomo, il Monumento ai caduti e Palazzo Zurla De Poli chiudono il percorso che si ultima nei pressi di Porta Nova. Percorrendo via Mazzini, al di là del Torrazzo e di via Dante Alighieri, ritorniamo dinanzi all’ingresso del Museo Civico.

 

Agostino Arrivabene, (Rivolta D’Adda, 1967), Ex libris Simone Bandirali, 1995, acquaforte, mm 68x68. Collezione Simone Bandirali, Crema
Agostino Arrivabene, (Rivolta D’Adda, 1967), Ex libris Simone Bandirali, 1995, acquaforte, mm 68×68. Collezione Simone Bandirali, Crema

IL LEGAME TRA IL MUSEO CIVICO DI CREMA E DEL CREMASCO E L’ESPOSIZIONE “UNA MINIMA ELEGANZA”

Spesso gli ex libris sono legati all’idea di Biblioteca. La Biblioteca Comunale di Crema fu istituita nel 1864, nell’ex Palazzo Benzoni – Frecavalli, residenza fino al 1795 della famiglia Benzoni, uno dei casati più importanti della Città, l’unico che riuscì a ottenere la signoria di Crema nel XV secolo. È intitolata all’etnoantropologa Clara Gallini, in occasione della sua scomparsa nel 2017, quando la famiglia donò l’intera biblioteca privata della studiosa. La prima idea di istituire una Biblioteca fu presentata nel 1843, su proposta dell’architetto Giovanni Massari. Fu Giovanni Solera, sacerdote e direttore del Ginnasio, il primo direttore della Biblioteca di Crema. Tra il 1842 e il 1861, raccolse un “Almanacco cremasco”, con poesie di autori cremaschi. La piccola libreria comprendeva circa cinquemila volumi. La Biblioteca coabitò con il Ginnasio fino al 1933, con un breve trasferimento nei locali del Palazzo Comunale. Nello stesso anno fu trasferita nell’ex Palazzo Benzoni – Frecavalli, e nel 1939 fu dislocata nel Palazzo del Monte di Pietà. Nel dopoguerra, a sovrintendere alla Biblioteca era un Consiglio presieduto tra il 1951 e il 1958 dalla contessa Winifred Terni de’ Gregory (1879-1961), tra le più tenaci sostenitrici del recupero del convento di Sant’Agostino, con il fine di trasformarlo da caserma a polo museale culturale. Il complesso fu acquisito dal Comune il 4 aprile del 1959 e restaurato dall’architetto, urbanista e scultore italiano, Amos Edallo. Fu aperto al pubblico il 30 aprile 1961. La Biblioteca rimase all’interno del Convento fino al 2002, quando fu nuovamente trasferita nel Palazzo Benzoni – Frecavalli, a seguito del suo restauro conservativo. Attualmente, è dotata di un catalogo di 54.910 opere.
Il complesso del Convento di Sant’Agostino, voluto dal Vimercati per saldare i debiti morali che la sua famiglia contava da generazioni per aver praticato l’usura, si ramifica in due chiostri di stile rinascimentale, la sala capitolare e il refettorio affrescato dal pittore di origine camuna, Giovan Pietro da Cemmo che lo concluse nel 1507. Sulle pareti e sul soffitto si articolano ventiquattro tondi affrescati con la storia sacra e, nelle lunette, sono raggruppati ventidue ritratti di frati agostiniani, come modelli di virtù. Tuttavia, di maggiore importanza sono i due affreschi della Crocifissione dell’Ultima Cena, in cui l’artista raffigurò gli apostoli a gruppi di tre, proprio come nell’affresco leonardesco, e attribuì ai volti un’accurata tensione espressiva psicologica. Gli affreschi vennero alla luce durante i lavori di restauro del 1953. La struttura del convento includeva anche la chiesa progettata dal Richino, demolita dalle truppe napoleoniche (1830-1840) che costruirono la foresteria. Successivamente, nel 1797, la Municipalità autonoma di Crema, nata a seguito della costituzione della Repubblica Cisalpina, soppresse il Convento e lo adibì a ospedale. Mutò nuovamente destinazione, diventando “Caserma Renzo da Ceri” per la Cavalleria francese e per la Fanteria italiana, nelle due guerre del secolo scorso. Nel 1945, la caserma fu dismessa, e il luogo di proprietà dello Stato fu concesso al Comune di Crema che lo utilizzò come magazzino e rifugio per i senzatetto e gli sfollati, a causa del conflitto. Solo nel 1959, il Comune riuscì ad acquisire l’immobile e a dare il via, sotto la direzione dell’architetto, urbanista e scultore italiano, Amos Edallo, a importanti lavori di riqualificazione, al fine di destinare l’ex-convento ad un uso culturale. Nel maggio del 1963 il patrimonio museale fu aperto al pubblico e presentato nelle sezioni: storica, musicale, artistica, cartografica, ceramista, numismatica, folkloristica e artigianale. Nel 1965, furono inaugurate due nuove sezioni: quella dei cimeli garibaldini e quella archeologica, arricchita dalla scoperta di alcune tombe longobarde, a Offanengo. Nel maggio del 2014, è stata aggiunta la nuova sezione di arte moderna e contemporanea, con la cura del critico d’arte Cesare Alpini. Oltre alla produzione artistica cremasca del XIX e XX secolo, sono presenti, nel Museo, alcuni dipinti di autori italiani e stranieri che hanno dedicato i soggetti delle loro opere alle vicende di Crema e ad alcuni dei suoi cittadini illustri. È il caso di citare il bellissimo dipinto “Gli ostaggi di Crema” di Gaetano Previati, di proprietà dell’Accademia di Belle Arti di Brera, e dato in deposito al Museo cremasco. Il dipinto, realizzato nel 1879, interpreta un celebre episodio della guerra tra Impero e Comuni padani, tra il 1159 e il 1160, quando Federico Barbarossa strinse d’assedio la città di Crema e utilizzò una macchina d’assedio romana per penetrare nelle mura della città. Quando gli assediati fecero resistenza, il Barbarossa legò alcuni di loro sopra allo strumento. Tuttavia, i compagni incoraggiarono i concittadini a non fermarsi, sacrificando la loro vita. L’opera vinse il premio Canonica, promosso dall’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, e fu considerato dalla critica come la prima opera di buon livello dell’artista, risalente al suo periodo giovanile e vicino alla poetica della scapigliatura milanese. Un secondo dipinto dell’artista, conservato nel Museo, è il “Cristo e gli apostoli”. Non aderenti al contesto cremasco sono alcuni dipinti di Palma il Giovane, del Guercino, del Bronzino, di Fra Galgario, del Magnasco, del Cignaroli e un “Ritratto d’uomo” di Domenico Induno. Nel 2015, il Museo si è ampliato con la nuova sezione di arte organaria che rende omaggio alla tradizione cremasca nella costruzione di organi a canne, e si identifica come primo percorso museale italiano dedicato a questo tema.

 

Alfons Maria Mucha (Ivančice, 1860-Praga, 1939), Ex libris Vottrebal, 1900 circa, cliché al tratto. Collezione Ferruccio Proverbio, Milano
Alfons Maria Mucha (Ivančice, 1860-Praga, 1939), Ex libris Vottrebal, 1900 circa, cliché al tratto. Collezione Ferruccio Proverbio, Milano

GLI EX LIBRIS E LA MOSTRA “UNA MINIMA ELEGANZA”

La mostra “Una minima eleganza. Ex libris e piccola grafica dalla Collezione Ferruccio Proverbio”, prodotta e promossa dal Comune di Crema Assessorato alla Cultura, e realizzata in collaborazione con il Museo della stampa e stampa d’arte a Lodi “Andrea Schiavi”, è a cura di Cristina Chiesura, Edoardo Fontana e Silvia Scaravaggi, con i testi nel catalogo, da loro curato ed edito da Edizioni Museo Civico Crema, di Emanuele Bardazzi, Mauro Chiabrando, Ferruccio Proverbio e le schede di Laura Insoli.
I curatori hanno visionato e individuato, tra oltre ventimila foglietti, qualche centinaio di esemplari da esporre, e hanno operato una preziosa selezione di oltre 300 ex libris e opere di piccola grafica dalla Collezione Ferruccio Proverbio, affiancata da contributi provenienti da prestiti di altre raccolte private, tra cui: Emanuele Bardazzi, Simone Bandirali, Gian Antonio Garlaschi, Mauro Chiabrando; e dalle prestigiose collezioni Ivan Matteo Lombardo e Stramezzi del Museo di Crema.
Giorgio Cardile, Assessore alla Cultura, Turismo e Politiche Giovanili del Comune di Crema, scrive nella presentazione al catalogo: “per il quinto anno consecutivo il Museo propone una mostra dedicata alla grafica, in concomitanza con Scripta. Mostra mercato del libro di pregio, della grafica e della stampa che, nel 2023, taglia il traguardo della ventottesima edizione nella Sala Pietro da Cemmo e nei Chiostri del Centro culturale Sant’Agostino di Crema”.
Nell’esposizione, la contemporaneità poggia sulla lezione della storia dell’arte, su cui l’arte del futuro trae fortificate fondamenta. È un lavoro espositivo dedicato al grande collezionista di carte, studioso e incisore di ex libris Michele Rapisarda, il cui motto era «rincorrere la meraviglia».

DENTRO LA MOSTRA

L’ex libris è un foglietto di pochi centimetri, un cartellino stampato, presentato in mostra sino alla sua nuova e ultima fase di vita, colma di una lauta espressività immaginifica, chiave di autorappresentazione del committente e del lavoro dell’artista, del tempo in cui sono vissuti e della varietà delle tecniche grafiche come l’acquaforte, l’acquatinta, la xilografia, la punta secca, la litografia, la maniera nera e la linoleografia. Secondo la dicitura del dizionario Treccani, la locuzione bibliografica “ex libris” è un “Contrassegno (timbro, sigillo, cartellino a stampa) che si pone sulla controguardia o sul foglio di guardia di un libro per attestarne la proprietà; contiene spesso la formula ex libris, seguita dal nome del proprietario, oppure, soprattutto in passato, motti, sentenze, emblemi e annotazioni varie, di grande interesse per collezionisti e filologi”.

 

Umberto Boccioni (Reggio Calabria, 1882-Verona, 1916), Ex libris Vico Baer, 1911, cliché al tratto. Collezione Simone Bandirali, Crema
Umberto Boccioni (Reggio Calabria, 1882-Verona, 1916), Ex libris Vico Baer, 1911, cliché al tratto. Collezione Simone Bandirali, Crema

Cristina Chiesura, nel catalogo mette in luce il carattere contagioso degli ex libris per un curatore, in quanto “in grado di trasmettere all’istante il morbo del collezionista”. Fondamentale è anche la scelta di esporre la storia dell’ex libris nelle sue declinazioni regionali. La storia tracciata prende forma dal suo “prima”, durato poco meno di quattro secoli, dal finire del Quattrocento in avanti, con la vocazione di esser posto in preziosi volumi a stampa, con il nome e lo stemma del proprietario per evitarne il furto e il suo “dopo” che, dalla progressiva diffusione della stampa iniziata nell’Ottocento, ha avviato un sempre maggiore bacino di lettori, sancendo la fine della ragion d’essere dello stesso. Con questa fase, sorge la rinascita della laudata opera in miniatura, in cui al posto degli stemmi si trova la rappresentazione delle immagini delle caratteristiche dei committenti, divenendo linfa per il lavoro di incisori e disegnatori di fama, tanto ammirato dai collezionisti.
La ricerca curatoriale è stata condotta con un accento sul panorama europeo, nelle sue partizioni regionali che consentono di porre una lente di ingrandimento sui diversi stili che hanno caratterizzato l’Ottocento e il Novecento. È importante riportare anche quanto trascritto nel pregevole volume della mostra da Edoardo Fontana che concentra il suo intervento sugli sviluppi dell’estetica ottocentesca nell’ex libris inglese «Almost nothing, but little gems». Tradizione e superamento dell’estetica ottocentesca nell’ex libris inglese. L’esperto traccia una cornice del critico d’arte e book designer Gleeson White che realizzò, tra gli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento, numerose copertine coniugando lo stile Arts and Crafts di William Morris con l’astrazione di artisti come Charles Ricketts e Aubrey Beardsley. White scrisse che coloro che “exlibrano” si dividono in due categorie «first to the collector pure and simple, who does not permitt is greed for quantity to be ampered by any regard for quality; that is to say, for artistic quality» («in primo luogo al collezionista puro e semplice, che non permette che l’avidità della quantità sia temperata da ogni riguardo per la qualità; vale a dire, per qualità artistica»). Questi, rivolgendosi alla filosofia del movimento Arts and Crafts, sosteneva che la funzionalità dell’oggetto non potesse mai comprometterne le caratteristiche estetiche e che tuttavia dovesse traghettare al miglior risultato possibile. L’ex libris dovrebbe, quindi, avere in sé forma e contenuto e avere “colore” anche nel bianco e nel nero, senso della decorazione, personalità e invenzione.
Tra i più importanti compendi a livello internazionale, sulla fase in cui l’ex libris si svincolava dagli stilemi di tipo araldico e nobiliare è il numero speciale della rivista inglese «The Studio», pubblicato nell’inverno 1898-1999. Fa eccezione, nella nuova fase figurativa, un breve periodo della seconda metà del Settecento, momento in cui si diffuse la moda borghese delle carte da visita a stampa, a cui si dedicarono grandi incisori italiani come Francesco Bartolozzi, Giovanni Battista Piranesi, Giovanni Battista Cipriani, Francesco Rosa Spina e Raffaello Morghen.
È Emanuele Bardazzi a descrivere nel suo saggio, all’interno del catalogo, la ragione della nuova formula estetica adottata nell’ultimo decennio dell’Ottocento: l’appassionata committenza privata che, al posto dello stemma di famiglia, desiderava rivelare le proprie attitudini spirituali e professionali, o i propri gusti letterari. Furono, inoltre, le varie correnti moderniste a designare il nuovo stile di fine secolo, conosciute in Italia con il nome di Liberty. Fu così che l’Aesthetic Movement e le Arts and Crafts inglesi di filiazione preraffaellita svolsero un ruolo pioneristico nel campo – scrive Emanuele Bardazzi – diffondendosi a livello internazionale, attraverso le pagine di «The Studio». I vari paesi d’Europa introdussero elementi di cultura autoctona che arricchì la risposta articolata e poliedrica, ricca di fascino.

 

Jean Cocteau (Maisons-Laffitte, 1889-Milly-la Forêt, 1963), Ex libris Paul Ultsch, 1961, cliché al tratto. Collezione Ferruccio Proverbio, Milano
Jean Cocteau (Maisons-Laffitte, 1889-Milly-la Forêt, 1963), Ex libris Paul Ultsch, 1961, cliché al tratto. Collezione Ferruccio Proverbio, Milano

Per quanto concerne i soggetti, soprattutto nella Germania, furono Max Klinger e Otto Greiner a imprimere una fisionomia che determinò le caratteristiche principali del filone degli ex libris della grafica tedesca in generale, secondo uno stile classico moderno di impronta simbolista, e con una concezione decorativa rinnovata degli stilemi gotico-rinascimentali. Nel 1897, fu dedicato, in occasione del settantesimo compleanno, un intero numero della rivista «Jugend» a Arnold Böcklin. La rivista pubblicata a Monaco dal 1896 era una vera palestra degli illustratori tedeschi e veicolo fondamentale della grafica di impronta mitteleuropea, con le sue linee distintive rispetto agli altri stati d’Europa, contrapponendo lo Jugent stile…- come scrive Emanuele Bardazzi. Contrapponeva un sano vitalismo del popolo tedesco con corpi nudi, turgidi e muscolosi immersi nella natura arcadica e selvaggia, sotto le spoglie semi-animali di fauni, centauri e sirene… tendeva a un approccio libero, sincero ed entusiasta con la realtà naturale e la vita…. La copertina del numero era tratta dall’acquaforte di Max Klinger, “An Arnold Böcklin” che introduceva il ciclo “Eine Liebe” (1887), con un tratto più austero della visione del maestro di Basilea, mentre un’elaborata allegoria stampata a doppia pagina riproduceva un disegno a penna da Otto Greiner, eseguito a Roma, nel 1892. Il disegno condensava la fantasia araldica pregna di un’identità primigenia che circondava la figura del dio Pan, con la sua lira scolpita da un ramo d’olivo, e con ninfe e tritoni che recavano una ghirlanda, in omaggio dal mare. Sicuramente è evidente il passaggio dell’artista dal soggiorno romano e dal trasferimento da Lipsia, all’arrivo nell’ambiente artistico innovatore di Monaco e la sua amicizia con Stuck e i contatti con la Secessione, pur essendo il suo senso decorativo sempre pregno dello “Juged stile”. La dedica a Böcklin non era casuale visto che insieme a Goethe e Nietzsche, costituiva la triade superlativa dell’identità germanica ed era ispiratore del sentimento panico e dell’euforia dionisiaca, unite in matrimonio con un sensualismo felino, tipico di Stuck, capofila della Secessione monacense, di cui “Juged” era l’organo ufficiale. Tra i soggetti di Klinger, emergono per compostezza e soavità, le figure nude con corpi spogli o coperti in parte da pepli alla greca, gestiti come apparizioni nobili, e come tali personificazioni dell’essenza divina con un grazioso erotismo tanto venereo, quanto oggetto di venerazione. Entrambi gettarono le basi per le generazioni future di allievi e maestri. Antesignano dell’esperienza naturalista era stato il pittore visionario Karl Wilhelm Diefenbach che fondò, come capo spirituale, nel 1897, la comunità Humanitas nei dintorni di Vienna. Nel 1896, nasce il foglio di cultura maschile «Der Eigene», diretto da Adolf Brandt che promuoveva i valori di tolleranza nei diversi strati sociali, attraverso l’arte. L’artista Sascha Schneider si stabilì a Firenze, nel 1909, ove scrisse Mein Gestalten und Bilden e Über Körperkultur, due trattati in cui si distingueva l’aspirazione a un nuovo ideale umano, derivato dall’antica Grecia e il fascino della cultura del corpo attraverso lo sport, finalizzato all’armonia. Nel gruppo, formatosi in quegli anni, troviamo i nomi di Behmer e di Italo Tavolato, scrittore avanguardista e antiborghese che, conclusasi la stagione del futurismo fiorentino, si trasferì a Capri, luogo in cui pubblicò il numero della rivista «Eros» che celebrava il culto del paganesimo e l’alchimia redentrice del sole. Come ricorda Emanuele Bardazzi – negli anni di ritorno all’ordine classico, Tavolato scrisse alcuni articoli per «Valori Plastici», nei quali demoliva tutte le avanguardie… per celebrare la solarità dell’arte mediterranea… .
Il sogno mediterraneo svanì negli anni tetri della Prima Grande Guerra e con l’avvento delle dittature che portarono al secondo scontro mondiale. Non solo nella Germania ma anche nella Boemia, come scrive Silvia Scaravaggi nel suo saggio “Le terre inquiete del sogno. Ex libris di artisti boemi e ungheresi nella collezione Ferruccio Proverbio”, si può affermare che vi è stata una vera e propria traslitterazione tra modernismo e tradizione. Nella collezione sono, infatti, presenti opere di artisti boemi e ungheresi, con un particolare accento sui movimenti ceco e magiaro in due sezioni distinte, e che contribuirono notevolmente allo sviluppo dell’arte agli inizi del Novecento. Gli artisti boemi furono più vicini a Parigi che a Vienna per l’estro e la libertà, segnati dalla terra gallica. Ciò che la Boemia espresse tra il 1896 e il 1920, nel suo fervido periodo culturale. Negli anni che anticiparono la fine dell’impero austro-ungarico, nacquero alcune importanti riviste e associazioni: Mànes con il mensile «Volné směry», edito dal 1896 al 1948; il gruppo Sursum con il periodico «Meditace»; e la rivista simbolista e decadentista «Moderni revue», importante organo di diffusione di una cultura internazionale, tra le prime a mostrare la grafica di artisti come Aubrey Beardsley, Odilon Redon, Henri de Toulouse-Lautrec, Félicien Rops e Félix Vallotton. A Praga nacque l’artista František Kobliha, nel 1887, che operò come uno dei protagonisti della Secese, la Secessione praghese che rispose all’arrivo dell’Art nouveau del modernismo. Inoltre, fu membro fondatore dell’associazione artistica “Umelecké sdruzení Sursum”, attiva tra il 1910 e il 1912 e definita come la seconda generazione dei simbolisti. Kobliha lasciò il movimento per avvicinarsi al gruppo Mànes, concentrandosi sulla xilografia, ma anche sulla litografia, e creando immagini modellate nel bianco e nel nero – come scrive Silvia Scaravaggi – capaci di trarre dal legno forme e profondità intime e spirituali… .
Come l’artista Josef Vachal e gli altri membri di Sursum, aveva una tensione contemplativa per la natura e i suoi segreti e un’ispirazione tratta dalla fede e dall’occulto. Mostra grande coerenza tra il piano del nero e il livello, in cui prende sopravvento la luminosità e la rarefazione del bianco, con grande raffinatezza e sintesi e un’impronta spirituale. A partire dalla fine degli anni Settanta, come scrisse Enrico Crispolti, nel catalogo della mostra alla Galleria dell’Incisione di Milano (1970), è nota la rivalutazione dell’artista. A questo excursus vanno annessi anche gli esempi dell’emblematiche forme tracciate da Alfons Mucha negli ex libris per Vottrebal e per Leo Szemere, con le sue tipiche raffigurazioni delle figure femminili.
Anche in Ungheria si sviluppò un’interessante storia legata agli ex libris. Nella collezione Proverbio sono presenti ex libris dell’artista ungherese Attila Sassy, conosciuto con lo pseudonimo Aiglon, testimoni della similitudine con le istanze boeme, anche per i luoghi di riferimento per la formazione che vedevano, in primis Monaco, e Parigi e poi la stessa capitale nazionale Budapest. Anche il vicino Oriente svolse un potente richiamo per gli artisti dell’epoca, soprattutto per i riferimenti alla classicità, ai primitivi e all’arte greca. Sassy, pur tenendo saldo il segno dell’Est europeo, delle tradizioni, del decoro e del ricamo, dimostra un importante gusto mitteleuropeo, teso verso la Secessione viennese.

 

Max Klinger (Lipsia 1857-Großjena 1920), Ex libris D. Bischoff, 1885, héliogravure. Collezione Ferruccio Proverbio, Milano
Max Klinger (Lipsia 1857-Großjena 1920), Ex libris D. Bischoff, 1885, héliogravure. Collezione Ferruccio Proverbio, Milano

LA COLLEZIONE FERRUCCIO PROVERBIO

Come nasce una collezione? L’origine del collezionismo d’arte è antichissima e legata originariamente a motivazioni culturali ed estetiche. Nel tempo sono sorte così le principali collezioni che, tuttora, popolano i più importanti musei al mondo. Oggi sono molteplici i motivi per i quali fiorisce una collezione. Sicuramente la Collezione di Ferruccio Proverbio nasce da un’intensa passione per i libri e le caratteristiche che li denotano, tra cui prima di tutto le copertine. L’“Amator ex libris” si infatuò inizialmente di alcuni esemplari incollati sulle pagine dei volumi, di una piccola parte di due collezioni in blocco e di un discreto numeri di lavori, realizzati dall’artista italiano Giulio Cisari. Fondamentale è stata la partenza di Ferruccio Proverbio per il Portogallo, a cui seguì l’interesse verso la piccola grafica. Gli autori disegnatori e incisori portoghesi sono due: Antonio Lima, collaboratore della Zecca di Stato del suo paese, e Antonio Paes Ferreira, attivo presso la Banca nazionale. Ma ha anche raccolto quanto prodotto da Almada Negreiros, per l’ammirazione verso l’artista poliedrico. Non poteva mancare l’ex libris del Comune di Lisbona. Vi è un ricordo, in particolare, indicatore della passione giovanile del nostro amatore ed esperto, ossia piccole collezioni, ritrovate nei mercatini delle pulci, raffiguranti un gruppo di incisioni dedicate a soggetti di montagna e di alpinismo. Tra questi, vi è una sezione speciale dedicata all’elegante vetta del monte Cervino che spicca come una guglia dal terreno, chiudendo il cerchio di un amore verso l’ascetismo della Bellezza. Ferruccio Proverbio racconta di un incontro emozionante con l’artista che ha attratto la sua attenzione, per la sua peculiare conoscenza del mondo alpino: Adolf Kunst. Il Club Alpino Italiano di Torino, nel 2022, gli ha dedicato la mostra “Adolf Kunst, 1882-1937. Paesaggi di carta”, al Museo Nazionale della Montagna Duca degli Abruzzi. Così conseguì l’inevitabile attrazione verso la produzione mitteleuropea, tra fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Dichiara di aver conosciuto grandi autori, tra i quali Mathilde Ade, Alfred Cossmann, Michel Fingesten, Willi Geiger, Walter Helfenbein, Bruno Héroux, Max Klinger, František Kobliha, Alois Kolb, Stanislav Kulhanck, Franz Mark, Fritz Mock, Reinhold Nagele, Emil Orlik, Armand Rassenfosse, Josef Váchal, Heinrich Vogeler, Gerhard Wedepohl, solo per citarne alcuni.
Ritornato in Italia, ha aggiunto i nomi dell’incisione italiana, con le xilografie espressioniste di Emilio Mantelli, i chiaroscuri di Antonello Moroni, i cliché tratti dai disegni di Sergio Burzi e Duilio Cambellotti, le sulfuree immagini di Alberto Martini e Sergio Rubino, e i disegni liberty di Guido Balsamo Stella. Ha inoltre dato spazio agli artisti dei luoghi, in cui ha viaggiato, talvolta con la mente: tra i più importanti ex libris raccolti e separati per area geografica e autore, sono presenti di artisti, come Jean Cocteau, Alfred Robida, Léo Schnung, Franz Masereel, Félicien Rops, Henry Evenepoel e Fernand Khnopff. E ancora tanti nomi costellano la grande raccolta di Proverbio, fino ad arrivare ad opere degli artisti dell’Est europeo. La presenza femminile ha un posto d’onore nella sua collezione. Marianne Steinberger-Hitschmann, Emma Dessau Goitein e Mathilde Ade. Le donne sono rare nel periodo principale che connota la raccolta, in quanto furono penalizzate nelle attività professionali ed escluse dall’Accademia di Belle Arti, facendo eccezione per il ruolo di modelle.

Mauro Chiabrando chiarisce che l’ex-librismo, in epoca moderna, è visibile, ai giorni nostri, attraverso alcuni esemplari prestigiosi di raccolte bibliografiche, quali il Bertarelli-Prior del 1902 e il Gelli del 1930. Analizza l’ingresso in Italia del ri-affioramento dell’interesse verso l’ex libris, avviato dall’artista austriaco Michel Fingesten che ne rinnovò il collezionismo nel dopoguerra. Associazioni come la BNEL (Bianco e nero ex libris) e l’Adel (Amici dell’ex libris), in quel tempo, erano entrambe promotrici di riviste e concorsi. Tuttavia, negli anni Ottanta del Novecento, il rilancio tramontò nuovamente nel millennio seguente. Un importantissimo compendio è la bibliografia italiana degli ex libris di Egisto Bragaglia (1987) e la rivista di Giuseppe Mirabella.
Talvolta, gli ex libris nacquero dalla necessità di colmare le richieste di una ricca committenza borghese, in concomitanza con la rinascita delle decorazioni delle arti applicate, nella seconda metà dell’Ottocento. Tra gli esempi, si distinguono gli ex libris art nouveau, della secessione viennese e del Deco. Tra i grandi illustratori, Chiabrando ricorda Antonio Rubino, del quale Michele Rapisarda “ebbe il merito di lasciarci il primo elenco completo degli oltre ottanta esemplari firmati dall’artista sanremese Rubino”, dallo stile simbolista degli esordi al Liberty, al Déco e oltre. Lo stesso Chiabrando ha collezionato un’importante campionatura di ex libris “maledicenti”, in tutte le lingue. Tale consuetudine, collegata originariamente al rilevante valore venale dei libri, è divenuta una tradizione universale, con due principali bersagli: i ladri e i furbi, o pigri o distratti. L’esclamazione era la medesima, ossia «guai a chi lo ruba!», accompagnata da diverse maledizioni che conducono lo smemorato direttamente all’inferno. Catene e lucchetti ponevano al sicuro i volumi, veri e propri giardini zoologici a guardia del libro con cigni furiosi, serpenti sibilanti e draghi focosi ma anche molossi ringhianti, rapaci minacciosi, felini ruggenti e coccodrilli famelici. L’invito a restituire il libro era espresso dalla figura del piccione viaggiatore.
Tra i soggetti privilegiati e incisi sugli ex libris c’è la meraviglia del mondo vegetale e animale, la disciplina entomologica e anche i “musicis”, e più raramente l’“ex discis” che rappresentano il semicerchio dell’etichetta dei dischi. Oltre alle rose e alle civette, sono ancora teschi e scheletri, guerra e “militaria”, mezzi di trasporto, navi, barche, velieri, carrozze, automobili, treni e aerei, a costellare il loro minuto e raffinato mondo.

 

Locandina e copertina del cat. della mostra da J. Archibald Austen (Buckland, 1886-Hythe, 1948), Ex libris J. Edouard Diamond, 1925, cliché al tratto. Collezione Ferruccio Proverbio, Milano
Locandina e copertina del cat. della mostra da J. Archibald Austen (Buckland, 1886-Hythe, 1948), Ex libris J. Edouard Diamond, 1925, cliché al tratto. Collezione Ferruccio Proverbio, Milano

UNA LENTE DI INGRANDIMENTO SUL PERCORSO

L’ordine da seguire per attuare una micro-selezione, di ciò che ha mostrato l’allestimento della mostra è arduo, in quanto si rischia di perdersi nei perigliosi meandri di una bellezza senza tempo, da rincorrere nella sua avvolgente fascinazione. E allora sarà convenevole operare una selezione emotiva e personale che possa rintracciare alcuni tra i Maestri che hanno segnato la storia dei nobili elaborati incisi.
Ammalianti sono i due piccoli ex libris, dedicati l’uno a Simone Bandirali, l’altro a Nicoletta Matelloni. L’unione dei corpi è tensione misterico-poetica, in cui domina la metamorfosi e la forza del sentimento amoroso.
Agostino Arrivabene è l’artista Maestro che dedica alcune gioie finissime a Simone Bandirali (Agostino Arrivabene, Ex libris Simone Bandirali, 1995, xilografia incisa da Adriano Porazzi, tav. 292 del cat. della mostra). Simone Bandirali, uomo-poeta e amico di Alda Merini, è intrattenuto tra le fibre della carta di un volume, in cui la titolazione fa sorgere, nel suo mezzo, il bastone di Asclepio, ove il serpente è corpo unico con la verga.

Fertilità e conoscenza si fondono in un Caduceo araldico bastone alato di Ermes psicopompo. Sin dal 1920, il bastone di Asclepio fu confuso con il Caduceo: l’esercito americano lo impiegò come simbolo del suo personale medico, al posto del bastone di Asclepio. Il simbolo del Caduceo risale al 2600 a.C., ed è stato ritrovato in Occidente sia presso gli Assiro-Babilonesi, sia presso l’antico Egitto, all’interno di alcuni papiri. È stato rinvenuto anche in Mesopotamia, nella città di Lagash, sita a ridosso della confluenza tra il fiume Tigri e l’Eufrate e, infine, in India, ove i due serpenti sono il maschio di ascendenza Solare a destra, e quello femminile Lunare a sinistra, intrecciati in un diagramma sacro, a forma di “yantra”. Spirito del passaggio per gli antichi greci, il dio incarna la sua rivelazione nella trasmutazione. Anticamente, il Caduceo era rappresentato con due cerchi consequenziali, di cui il primo era chiuso e il secondo aperto in alto. La trasformazione fu apportata successivamente, tramite le influenze orientali. Prima di Mercurio, il Caduceo era attribuito ad Ermete Trimegisto, progenitore dell’arte medica tradizionale, dal cui nome scaturisce il termine “ermetismo”. Negli “Inni omerici (III, 529)”, il Caduceo ermetico è detto “aureo” per la sua virtù di ipnotizzare gli occhi dei mortali e di addormentarli. Ma anche per altre funzioni, come quella di attrarre i morti dagli inferi e di trasformare gli oggetti toccati in oro. Dunque, rinascita dell’oro, come processo di rifiorita e sanata mutazione. Secondo la leggenda, quando Hermes giunse in Arcadia, posero al suo cospetto due serpenti che si divoravano a vicenda: il dio gettò il bastone tra loro che, subitamente, si riappacificarono. A partire da questa narrazione, il Caduceo è considerato simbolo di pace: i due serpenti si guardano e sono ancorati al bastone. Metafisicamente, il Caduceo rappresenta la discesa della materia grezza e primordiale, e le due ali sono l’alter ego del primato dell’intelligenza, posta al di sopra della materia per dominarla. D’altra parte, le ali sono anche interpretate come simbolo della polarità del bene e del male, tenuta in equilibrio dal sovrano che ne controlla la forza, mentre, nella Teosofia, il dualismo si sposta tra Spirito e Materia. Mercurio era ornato di un elmo, anch’esso decorato con un paio di ali, che aveva la duplice funzione di proteggere il capo, sede dell’intelletto (spirito), nonché quella di accrescere la dignità con il suo splendore. Mercurio, messaggero degli dèi, è quindi il mediatore della volontà degli dèi, presso gli uomini. Hermes aveva il compito di stare accanto ai mortali e di recepire i loro desideri. Fu incaricato da Zeus di assistere gli uomini nel loro passaggio dalla vita alla morte, da cui l’epiteto “accompagnatore di anime”. Tra le forze Luciferiche ed Arimaniche, l’equilibratore Mercur è disceso in terra per ricondurci al Padre, donandoci l’Io e le forze per annullare le insidie di Lucifero ed Arimane. Così l’uomo passa, dall’Io inferiore ad un maggiore contatto con la sua parte spirituale, l’Io superiore. La più antica scuola spirituale “ROSA CROCE” nacque come Insegnamento scientifico-naturale, mentre oggi si basa su un insegnamento scientifico-spirituale. Nel rosicruciano puro dell’alchimia si studiava il processo naturale terreno, distinto in tre diversi processi: la Solidificazione che portava ai pensieri delle entità divino-spirituali, la Soluzione che veniva chiamata Mercurio, fase in cui l’alchimista sentiva l’amore di dio nella sua anima. Il terzo processo, infine, era la Combustione, in cui la sostanza si consumava nella fiamma, in una graduale purificazione come servizio sacrificale.
Ermes, tra il Sole e la Luna, protegge l’intelletto (spirito) e ne moltiplica la dignità con il suo splendore. Mediatore tra cielo e terra, uomo e dio, immanenza e trascendenza, il dio è incaricato da Zeus ad assistere gli uomini nel loro passaggio dalla vita alla morte.

 

Alberto Martini (Oderzo, 1876-Milano, 1954), biglietto da visita per la Galleria Pesaro di Milano, 1915 circa, cliché al tratto. Collezione Ferruccio Proverbio, Milano
Alberto Martini (Oderzo, 1876-Milano, 1954), biglietto da visita per la Galleria Pesaro di Milano, 1915 circa, cliché al tratto. Collezione Ferruccio Proverbio, Milano

Così, nell’immagine tra Sole e Luna, Ermes accompagna un corpo esangue ad essere complice della sua trasformazione. Si genera così l’ermetismo, come fase di conoscenza iniziatica. In basso a destra, l’ex libris presenta le due iniziali «AP», dell’incisore Adriano Porazzi.
Nei due ex libris del 1995 in mostra, dedicati l’uno a Simone Bandirali (Agostino Arrivabene, “Ex libris Simone Bandirali”, 1995, acquaforte, tav. 293 del cat. della mostra), e l’altro a Nicoletta Matelloni (Agostino Arrivabene, “Ex libris Nicoletta Matelloni”, 1995, acquaforte, tav. 294 del cat. della mostra), la rappresentazione simbolica incalza liricamente tra la rotondità delle due cornici dedicatorie. In particolare, nell’“Ex libris Nicoletta Matelloni”, al di sopra del grande volume che poggia sui corpi dei due amanti, la figura femminile pizzica il suo seno come segno anticipatore della futura nascita del figlio e del suo allattamento. Tra i due cartigli, si distende la scritta «EX LIBRIS | LE TEMPS REVIENT | NICOLETTA MATELLONI». Il motto si ritrova anche all’interno del broncone di Lorenzo il Magnifico (1469) e allude al famoso passaggio della IV Egloga di Virgilio «Redeunt Saturnia regna… surget gens aurea mundo». Dopo l’assassinio del fratello Giuliano de’ Medici, nella Congiura dei Pazzi del 1478, il lauro Lorenzo “cresce ancor più rigogliosamente”, fino ad aprire una nuova Età dell’Oro a Firenze. Così, nell’opera, il ciclo della natura e dell’intelletto è rinnovato.
Altro gioiello della collezione Simone Bandirali è l’“EX libris VICO BAER” (1911), firmato nell’inciso in basso a destra «U. BOCCIONI», e dotato d’iscrizione, nell’inciso in basso al centro, «VICO BAER».
Umberto Boccioni dedicò al suo amico e caro collezionista Vico Baer una serie di ritratti e scambi epistolari, oggi donati al Museum of Modern Art di New York.
L’uomo, dopo aver attraversato l’efferato sentiero, aguzzo di intricati pruni, si erge genuflesso sulla cima di un massiccio, coprendosi il volto per il bagliore irrequieto del Sole che domina la natura nella sua potenza spirituale, muovendo le nubi che costellano il cielo tra i suoi raggi e la Luna. In lontananza, si scorgono i fumi provocati dalla città che guarda a un insaziabile progresso.
Per quanto concerne la presenza femminile negli ex libris, come sopra esplicitato, il volto di Mathilde Ade, artista grafica tedesco-ungherese, è sicuramente d’interesse. Tra i suoi ex libris in mostra affascina la piccola opera dedicata a Jorge Monsalvatje, “Ex libris Jorge Monsalvatje”, firmato nell’inciso in basso a destra «ADE», mentre le iscrizioni sono posizionate nell’inciso in alto a sinistra: «LOHENGRIN | LENTO»; in alto a destra: «DA VOI LONTAN IN SCO-NO-SCIU-TA TER-RA | HAVVI UN CASTEL CHE HA NOME MONSALVATO»; e in basso a sinistra «EX- | LIBRIS», e in basso a destra: «JORGE | MONSALVATJE». (tav. 137 del cat. della mostra). Sembra che Mathilde Ade abbia ridato anima al dipinto che il pittore tedesco August von Heckel eseguì per l’opera romantica tedesca “Lohengrin”, scritta e composta da Richard Wagner, e di cui la fonte è il poema epico medievale tedesco “Parzival” di Wolfram von Eschenbach.
Lohengrin, cavaliere del cigno, è uno dei custodi del Santo Graal, figlio di Parsifal, mitico cavaliere della Tavola rotonda e protagonista dell’ultimo dramma di Wagner, scritto trent’anni dopo. La prima rappresentazione si tenne a Weimar nel 1850, mentre la prima italiana, e quindi il primo debutto di un’opera di Wagner sulle scene nazionali, si svolse nel 1871, a Bologna.
Wagner ebbe l’ispirazione per il libretto, durante un suo soggiorno, presso le terme a Marienbad, in Boemia. Il Poema narra le avventure di Parsifal, alla ricerca di un’umanità interiore migliore. Non è casuale il riferimento che operò Wagner in una sua fase di incertezza personale e che lo portò a scrivere, a tal riguardo, in “Mein Leben” (1911): «Mi sentii spinto a chiedere: da dove vieni, / perché? E per lungo tempo la mia arte sparì / davanti a queste domande».
L’opera si riattualizza in una profonda dedica che l’artista volge, nel ritmo lento della composizione, alla figura ritratta in basso al centro, Jorge Monsalvatje.
La conclusione della digressione sulla mostra è dedicata a Michele Rapisarda, con l’immagine di un meraviglioso ex libris “Ex libris Michele Rapisarda”, (1990), come si legge nell’inciso in basso a sinistra «EX LIBRIS MICHELE RAPISARDA». L’opera lo ritrae nella sua figura di instancabile e raffinato collezionista di carta, “Curioso, mai sazio di scoperte, capace di aprire all’improvviso nuovi fronti di ricerca e nello stesso tempo non perdendo mai di vista il suo orientamento verso la cosiddetta grafica minore e le carte illustrate di so quotidiano” (A. Tomasetig). La xilografia è dell’artista Erminio Gamba. (Forno di Zoldo, 1928-Milano, 1990).
Si comprende ora il mondo che racchiude ogni singolo ex libris dell’esposizione: un tesoro ricchissimo, raccolto in uno dei più grandi compendi che attraversano la storia e realizzati fino a oggi, UNA MINIMA ELEGANZA / Ex libris e piccola grafica / Dalla collezione / Ferruccio Proverbio.

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