Valentina Medda porta la liturgia del dolore e il pianto rituale del Mediterraneo a Nuoro con The Last Lamentation, riflessione poetica e politica in forma di opera video ospitata dal Museo MAN nell’esposizione, a cura di Maria Paola Zedda, visibile nel Museo d’Arte sardo fino al 16 giugno
Di mezzo ad Africa, Europa ed Asia si stende un’immensa urna d’acqua. Una superficie di oltre 2 milioni e mezzo di chilometri quadrati che va da Gibilterra alla Palestina, dallo scorrendo freddo dalle correnti del Bosforo al caldo fluire di Suez, dalla laguna di Venezia e il golfo di Trieste al Sahara. Estese pianure di immane deserto con uno sviluppo costiero che supera la circonferenza del pianeta e su cui si affacciano centinaia di popoli, una trentina di stati e circa 400 milioni di persone. Su questo specchio mosso vivono ininterrottamente genti che, dai primi giorni dell’umanità, sul riflesso salato guardano il passaggio quieto delle nuvole sulla luna. Su questo spazio di contatto e di scambio, punto caldo culturale e sociale tra le terre, si muovono quasi da sempre idee e cose. E con l’inizio del XXI secolo un nuovo e massiccio fenomeno migratorio vede il Mar Bianco di Mezzo come inospitale pianoro da attraversare. Questo processo, innescato dal Nord Globale e voluto dal Capitale, alimento dalla miseria, dal sottosviluppo e dai conflitti, fomentato da un sogno mutilato e da consiglieri fraudolenti, diventa promesse mai mantenute, estorsione, tortura e tratta di esseri umani, per sfociare nel ritorno a casa dopo rapina e sfruttamento o in un gran numero di casi, nello sfruttamento selvaggio e nella schiavitù “contemporanea”. O in un inudito lamento sopra il cimitero che divide da noi il Sud del mondo. In questo Mediterraneo, sconfinato campo santo da attraversare, le persone muoiono e finiscono nelle profondità in mezzo alle terre “seppellite” da occulte mani. Solo negli ultimi 10 anni le acque tra i tre continenti hanno visto 28000 morti secondo le stime dell’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, parte del Sistema delle Nazioni Unite).
Alla tragedia del Mare di Mezzo, uno dei tanti sacrifici propiziatori fatti a Ricchezza e Globalizzazione, è dedicato l’azione poetica e politica al centro di The Last Lamentation. Dopo o prima lo spettacolo sacro degli immolati al denaro un sordo pianto è evocato da dodici donne. È un canto muto, diffuso nelle coste di Asia, Europa e Africa bagnate dallo stesso mare, sospeso tra il blu del cielo e il blu delle acque, urlato su un lembo di terra. L’opera video, acquisita dal MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna – e prodotta tra 2023 e 2024, «è un rituale funebre per il Mediterraneo, osservato dall’artista come luogo di attesa, sospensione e trapasso, incarnazione di un’assenza – deposito di corpi e corpo in sé» scrive la curatrice Maria Paola Zedda. Sullo sfondo della distesa d’acqua «il lavoro è concepito come un rituale funebre per il mare. Una performance partecipativa ispirata alla tradizione delle lamentazioni funebri in cui un gruppo di donne vestite di nero dà vita a un grido condiviso, un rito che guarda al coro come all’unico linguaggio possibile per raccontare una tragedia contemporanea. Nel piangere per il Mediterraneo e i suoi morti il tentativo è quello di ridare voce e corpo attraverso un’azione poetica e politica […] Il mare è qui estensione del corpo, che perde i suoi confini e si fa liquido, creatura acquea» scrive Valentina Medda. Nello spazio del Museo MAN ad affiancare l’opera video una serie di collage, inchiostri su carta, fotografie, disegni e alcuni elementi scultorei, alcuni in mostra per la prima volta, come reliquie, creati durante il percorso di realizzazione del lamento funebre.
The Last Lamentation, l’esposizione e il volume – edito da Kunstverein Publishing, Milano – realizzato grazie al sostegno dell’Italian Council (XI edizione, 2022), di ARS – Arte Condivisa in Sardegna per la Fondazione di Sardegna e MAN di Nuoro sono, come nel teatro antico, l’immagine del pianto corale che si deve a tante persone, scomparse per volontà di nessuno e complicità di tutti, ora ch’è notte e che la nostra epoca pare un chiaroscuro di tenebre.