L’amore libero e multiforme, tema protagonista dell’intera opera di Tracey Emin (Londra, 1963), è al centro della nuova nuova mostra dell’artista britannica «By the time you see me there will be nothing left», esposta dal 24 maggio al 27 luglio da Xavier Hufkens a Bruxelles.
Attraverso il medium espressivo della pittura, Emin esplora la complessità delle emozioni umane, rivelando una profonda comprensione dei nostri meccanismi più reconditi. Nota per le sue opere d’arte autobiografiche e confessionali, lavora dall’intima scala (personale) sino a quella monumentale (collettiva), al fine di esprimere un’urgenza catartica umana. Pennellate gestuali e un uso audace del colore evocano la segretezza del corpo umano e ne mettono a nudo il bagaglio emotivo. Artista poliedrica, si avvicenda tra disegno, scultura, videoarte, fotografia e pittura, tornando sempre a quest’ultima come elemento centrale della sua arte. La pittura le consente di indagare profondamente le proprie esperienze personali di amore e mortalità, sublimando passioni ed esorcizzando angosce.
L’amore permea l’intero corpus di opere di Tracey Emin. Trascende la mera emozione, manifestandosi sia come atto fisico che come stato mentale. Un desiderio, quello raccontato da Emin, che ha in sé l’amore platonico dantesco e quello carnale di Boccaccio. Tracey mostra l’amore nelle sue molteplici forme, nella sua realtà sublime, salvifica e velenosa a un tempo. Al centro di questi dipinti c’è la relazione simbiotica tra amore e tempo, esplorandone le manifestazioni passate, presenti e future. «You Loved Me Then» e «I Fucking Loved You» parlano al passato, esprimendo nostalgia e desiderio, mentre «Kissing», «Lust» e «A Feeling» incarnano l’immediatezza del presente. «Please Keep Loving me» è un inno al «sempre e per sempre», riflettendo così la convinzione di Emin nella resilienza e nell’eternità dell’amore.
Ma dall’altro lato della medaglia, legata alla caducità del tempo, c’è la morte. Un tema dal quale Emin non rifugge, costellando la sua carriera con una serie toccante di dipinti sul lutto per la perdita della madre. Ed ecco che dipingere per lei assume una funzione catartica: Emin sublima l’atrocità della malattia nell’arte, indissolubilmente legata alla bellezza. «There’s nothing Left of her» e «I Melted away» attestano entrambi questo raffronto con la mortalità. Ma è in «I watched Myself die and come alive» che assistiamo alla sua «rinascita», come fosse una fenice. Una figura avvolta in un sudario veglia sull’artista, seduta a un tavolo. Una chiara allusione alla resurrezione: guardare in faccia la morte e ritornare alla vita. Si rimane irretiti dalla figura spettrale nel limbo tra verosimile e subconscio, mentre il tavolo evoca una sala chirurgica, suggestiva di una visione onirica.
I sogni e il sonno, e le loro antitesi, gli incubi e l’insonnia, si intrecciano nella mostra, insieme ai fantasmi dei maestri del passato. Il suo dipinto «The Nightmare» riecheggia l’opera omonima dell’artista svizzero Henry Fuseli del 1781: un incubo scuro, come un «memento mori» sopra una donna pallida e supina. Un «escamotage» eloquente della profonda conoscenza di Emin della storia dell’arte, come denotano alcuni lavori precedenti ispirati a Edvard Munch. Da «My Bed» (1998) a «Insomnia Room» (2019), la notte diventa protagonista delle sue opere, nelle sue diverse accezioni. Il «Night Time» nel quale Emin può sognare di evadere in dimensioni parallele come accade in «I Kept Dreaming», ma altrettanto quelle nelle quali l’insonnia prende il sopravvento come in «Sleeping with my eye open». Anche l’acqua assume una carica simbolica dualistica, purezza e rinnovamento («I wanted to be clean») da un lato, e paura e ansia dall’altro («I Kept Drowning»).
Infine, tema ricorrente sono i letti, nella loro connotazione positiva e negativa. Quelli delle coppie innamorate dove nasce la vita e quelli terminali degli ospedali dove invece finisce. In quattro autoritratti verticali l’artista non è a riposo ma eretta di fronte allo spettatore. Intitolati «This is Me», «Always A Mirror», «You might drink me» and «I Feel So Much Older», suggeriscono un processo di accettazione di sé. Gli autoritratti di Emin mostrano l’artista che guarda fuori dall’inquadratura, predisposta a un’apertura, corporea e mentale, verso il mondo.