“Il passato è l’argilla che il presente plasma a capriccio” diceva Jorge Luis Borges. Per la cultura italiana troppo spesso questa argilla è statica, e non viene mai riplasmata, trasformandosi in un peso per le giovani generazioni ma anche, in alcuni casi, in un’opportunità per costruire un futuro più solido, come dimostrano alcune interessanti mostre aperte a Roma in questi giorni.
Cominciamo da “Sal”, l’esemplare antologica che la galleria Mattia De Luca ha dedicato a Salvatore Scarpitta (1919-2007), dove sono allestire una serie di opere selezionate dal curatore Luigi Sansone, per documentare in maniera esaustiva le due fasi della carriera di Scarpitta, tra la Roma degli anni Cinquanta e New York, dove l’artista vive tra il 1959 e il 2007. Tra i capolavori esposti spiccano l’installazione Gunner’s mate (1961), le caratteristiche tele fasciate come Ammiraglio (1958) e Tensione (1958), ispirate ai rivestimenti delle auto da corsa, delle quali Scarpitta era molto appassionato. E lo dimostra la presenza in galleria di Sal’s Red Hauler Special (1966-67) la macchina da corsa dedicata a Jean Christophe Castelli, figlio del gallerista di Sal Leo Castelli, mentre nell’installazione Incident at Castelli (1987) i rimandi fotografici ai “car crashes” di Warhol vengono abbinati alle lamiere di una carrozzeria danneggiata, che ricorda le opere di John Chamberlain.
Un altro esempio di retrospettiva di alto livello scientifico è la mostra antologica di Renato Mambor (1936-2014), uno dei protagonisti della Scuola di Piazza del Popolo, ordinata da Maria Grazia Messina alla galleria Tornabuoni secondo un rigoroso percorso cronologico, che va dalle opere giovanili fino alle ultime produzioni. Come spesso accade nelle mostre da Tornabuoni, le prime opere esposte appaiono sorprendenti, come Oggetto verde (1960) e Oggetto rosso (1960), vicini alle ricerche di colleghi come Tano Festa e soprattutto Francesco Lo Savio. Due anni dopo Mambor si avvicina a Sergio Lombardo, attraverso opere come Uomo Segnale (1962), seguite dai Ricalchi, esposti nella prima personale dell’artista nel 1965 a La Tartaruga, nel bel mezzo di quel clima felice che vedeva convergere nella capitale giovani del calibro di Pino Pascali, Mario Schifano, Jannis Kounellis e molti altri. Decisamente sorprendente l’Evidenziatore (1970) un oggetto metallico che anticipa di 25 anni l’arte relazionale degli anni Novanta, ad indicare quanto Mambor avesse una visione del futuro lucida e consapevole, come questa mostra testimonia.
Il patrimonio archeologico di Roma è il motivo ispiratore delle opere dell’artista cinese Xu Bing, protagonista della mostra “A Moment in Time: Xu Bing in Rome”, curata da Ilaria Puri Purini e Lexi Eberspacher all’interno della galleria dell’Accademia Americana. Nella prima sala Xu Bing presenta alle pareti Ghost Pounding the Wall (1988-1991) un frammento dell’installazione realizzata 36 anni fa su una porzione della Grande Muraglia, riprodotta su carta su scala 1.1 con un antico procedimento di stampa a sfregamento, un particolare tipo di frottage, utilizzato nell’antichità per copiare reperti archeologici. Nel secondo ambiente invece l’artista ha esposto l’opera più recente, The Wall and the Road (1988–2024), realizzata lungo 22 metri di selciato lungo la via Appia, riprodotto con la stessa tecnica. “Gli stampi di Xu Bing di monumenti inamovibili, trasferiti e resi portatili, stimolano e modificano la nostra nozione di storia condivisa” spiega Puri Purini. Una maniera originale per rileggere la storia attraverso lo sguardo di un artista straniero, capace di interpretare il passato in maniera contemporanea.
Un’attitudine simile caratterizza “Mother, Laws, Matter”, la mostra della francese Isabelle Cornaro alla Fondazione Giuliani, concepita dall’artista come un paesaggio intimo, dove si fondono oggetti, immagini fotografiche, wall paintings e installazioni che riflettono sul rapporto tra le memorie dell’infanzia di Isabelle, trascorsa in Africa, e il rapporto con sua madre, sviluppato attraverso i gioielli da lei indossati. Una mostra rarefatta e raffinata, che unisce ad una trama concettuale una dimensione delicata e preziosa. Infine, per proporre un confronto stimolante e costruttivo tra antico e contemporaneo in un contesto monumentale non si può dimenticare “Effetto Notte. Nuovo realismo americano”, curata da Massimiliano Gioni e Flaminia Gennari Santori nelle sale di Palazzo Barberini. Centocinquanta opere provenienti dalla collezione di Tony e Elham Salamè – fondatori della Aishti Foundation di Beirut – raccontano l’evoluzione dell’arte americana degli ultimi tre decenni, in dialogo con l’arte barocca – da Bernini a Caravaggio, da Borromini a Pietro da Cortona – in un percorso espositivo davvero sorprendente che si snoda lungo tre piani dell’edificio. Molto suggestiva la quadreria al piano nobile, dove spiccano opere di Maurizio Cattelan, Urs Fisher, George Condo e Richard Prince, mentre nell’appartamento settecentesco al terzo piano segnaliamo le opere di Rashid Jonhson, Cindy Sherman e Camille Henrot, in un dialogo perfetto tra passato e presente.