Dedicata al mondo dell’arte WUF è pensata come un dispositivo contemporaneo di connessione tra giornalisti e protagonisti dello scenario artistico e ha debuttato con uno speciale appuntamento e due intense giornate di attività martedì 11 e mercoledì 12 giugno 2024. La nuova organizzazione WUF (We Understand the Future) è dedicata a connettere voci creative e valorizzare progetti artistici emergenti attraverso un approccio guidato dall’arte e dalla tecnologia. L’edizione inaugurale prende vita con un evento esclusivo per la stampa realizzato negli spazi dell’iconico Bar Rouge, con la partnership di ArtsLife e de La Lettura de Il Corriere della Sera.
La parola ai protagonisti: FABIO GIAMPIETRO
Buongiorno Fabio Giampietro. In questo mondo in continua evoluzione, che tipo di artista ti definiresti?
Ah, bella domanda. Allora, io penso di essere un artista… io parto come artista pittorico, però avendo anche una carriera abbastanza lunga, tipo 20 anni, diciamo che le urgenze e i principi che mi hanno guidato durante la mia ricerca e il mio percorso sono stati diversi. Mentre all’inizio c’è stato un momento in cui il messaggio e la poetica erano la cosa fondamentale, la politica anche del lavoro, poi c’è stato un altro periodo molto concentrato sulla pittura, in cui ho cercato di trovare uno stile riconoscibile, una tecnica. Quello è stato un lungo periodo della mia carriera. Ultimamente, parlo degli ultimi 10 anni, sono molto affascinato dal rapporto che ha proprio il fruitore dell’opera con l’opera stessa. È un lavoro molto condizionato dall’idea neuroscientifica, quindi le reazioni sia cognitive che emotive che ha il fruitore dell’opera quando entra in mondi artificiali. Si tratta di estraniazione, di spavento, di sorpresa che ha quando la realtà si stravolge. È un concetto che si chiama neuroplasticità, che è il sistema di adattamento del cervello a uno stimolo visivo completamente inaspettato e nuovo. Questo lo faccio attraverso le tecnologie, quindi parto dalla pittura che è sempre il seme di tutto, il mio stile pittorico, la mia riconoscibilità, per poi utilizzare le tecnologie e creare questi mondi.
Quindi concretamente le tue opere si sviluppano con la realtà virtuale?
Sì, esattamente. Questo è proprio un’installazione con un’altalena, una delle mie opere più grandi. Ci sono poi degli schermi che vengono guidati dal modo di andare sull’altalena di chi sta provando l’esperienza. Ultimamente, sto lavorando molto con le sale immersive, che sono una possibilità di trasformare una stanza in un mondo. E poi, naturalmente, lo strumento che mi è più caro è la realtà virtuale. Lavorare con la tecnologia è difficilissimo, soprattutto con tecnologie che non sono ancora accettate in ambito artistico. La realtà virtuale nasce come strumento per l’entertainment o per i videogiochi, ma utilizzarla nell’arte è stata una sfida. Sono stato uno dei primi ad adattarla, prendendomi il rischio di cercare un giusto rapporto tra l’integrità artistica e la percezione ludica del mezzo.
Credo che il tuo background pittorico possa aiutare a fare da ponte tra un tipo di arte tradizionale e un tipo di arte più innovativa.
Sì, esattamente. Non potendo competere con gli studios che fanno videogiochi in 10 anni, cerco di sopperire a quella mancanza con escamotage artistici. Un progetto che ho fatto con la realtà virtuale nel 2015 è ancora attuale. Secondo me, il modo in cui un artista rispetto a uno sviluppatore trasmette cosa vuole comunicare è più semplice e immediato. La realtà virtuale permette di sperimentare mondi che altrimenti non sperimenteremmo. Uso molto la vertigine nelle mie esperienze, creando situazioni di stupore o terrore che innescano nuovi modi di percezione.
C’è qualche opera specifica che esemplifica quello che ci stai raccontando?
Sì, per esempio l’altalena è molto rappresentativa. Un’altra opera importante è stata una sala immersiva al Meet di Milano due anni fa. Era una mostra che doveva ricreare un ambiente reale con quadri proiettati sulle pareti, ma poi le pareti crollavano e la stanza si trasformava in un ascensore che portava a un universo immaginifico. Un altro progetto è stato “Hyper Plans of Simultaneity,” che si basava sul concetto dell’universo blocco, dove passato, presente e futuro coincidono. Era un’installazione con tele circolari e un visore al centro che trasportava in un mondo distopico.
In questi anni hai percepito un calo delle resistenze verso questo tipo di arte?
Conosco molto bene il sistema dell’arte italiano, che ha guardato con diffidenza questo tipo di arte. Qualche galleria giovane ha cercato di cogliere le opportunità di questo nuovo mercato, ma internazionalmente vedo molta più curiosità. Le sale immersive nei musei sono un segnale di un grande interesse culturale per queste nuove tecnologie.
Hai in mente qualche nuovo progetto che partecipa a questa evoluzione?
Sto esplorando il rapporto sinestetico con la musica e creando dei mondi con il mio progetto prossimo che si chiama “X-Scapes.” È un progetto che unisce paesaggi generativi e arte sinestetica. Voglio creare un guscio in cui il mondo viene forgiato dall’audio. Sto aspettando il guscio giusto per renderlo fruibile. Ho sempre cercato di superarmi e di evolvermi come artista, esplorando nuovi territori.
Dove possiamo vedere le tue opere?
Ho appena finito una mostra in Cina e sto organizzando un evento a Shanghai entro la fine dell’anno. C’è anche un’installazione a Milano durante un festival di crypto poesia, ma sto valutando se inserire elementi di blockchain. Al Meet di Milano è possibile vedere le mie installazioni immersive su appuntamento. È un’opportunità unica di fruire le opere in un archivio permanente.
Siamo arrivati a un punto in cui abbiamo evidenziato come l’arte possa evolversi e guardare avanti coinvolgendo vari aspetti. Pensi che questo sia il futuro dell’arte?
Sì, penso che un’unione saggia e rispettosa di arte, tecnologia e neuroscienza allargherà tantissimo i confini di quello che oggi consideriamo arte. La tecnologia gioca un ruolo cruciale, non solo nel mercato artistico, ma in tutti gli ambiti. Le nuove tecnologie permetteranno di esplorare e creare opere d’arte in modi che non avremmo mai immaginato.