Tanti nomi, tanti progetti, tanto di tutto quello che si può fare col marmo (e non solo). Abbiamo visitato per voi l’edizione 2024 di White Carrara, dove il design è tornato di casa
«Parto subito coi numeri: 19 installazioni esterne…» e un via di seguito che aggiungiamo noi, tipo nota del redattore. L’esordio di Domenico Raimondi al timone di White Carrara 2024, o più semplicemente la White come la si chiama da queste parti (dopo 8 edizioni c’è una certa confidenza), ci è parso in linea col giugno 2024: un po’ freddino. Non per colpa di Raimondi stesso, che anzi ispira tutto l’opposto come persona e professionista, ma perché i numeri di per loro non scaldano gli animi. Di sicuro aiutano a dare l’idea del livello di un progetto a chi di quel progetto deve scrivere, così come i nomi di peso, su cui il direttore più volte si è soffermato, sia in conferenza, sia portando la stampa a spasso per Carrara (e che sgraneremo man mano, con calma). Ma da soli, i numeri, non fanno un progetto, almeno non per noi che siamo chiamati a riassumerlo – a modo nostro, ci piace sempre ricordare che per tutto il resto esistono i comunicati stampa – in un mondo di parole. Perciò abbiamo deciso che li tireremo fuori alla bisogna, semmai servissero e semmai aiutassero questo nostro incontro con la White: siamo troppo fondamentalisti delle scienze umanistiche, e troppo poco ragionieri prestati alla scrittura, per farci conto.
Col titolo “Design is back”, la White 2024 è una scommessa vinta. Lo diciamo così, senza girarci troppo attorno e a nostro insindacabile giudizio. A tratti, sentirne raccontare la genesi ci ha catapultati in un’epopea d’altri tempi. Non vogliamo dire che il nostro Raimondi sta a Carrara come Antonio Canova all’Italia post razzie napoleoniche, ma lo diciamo. E lo rivendichiamo pure, proponendo una fine selezione di citazioni calzanti: «Accade che la città di Carrara non goda di quello che è stato realizzato», sicché «Siamo andati a recuperare alcuni oggetti», ovvero «Pezzi realizzati per eventi privati, o magari per il Salone del Mobile». Pezzi che quindi, qui parafrasiamo, dalle cave e dalle aziende autoctone sono nati, senza aver mai visto e vissuto la loro città d’origine. Altro che star lì a snocciolare numeri, questo è il direttore “sanguigno” che ci appassiona e che ci piace. Che si dà da fare per contattare aziende, designer e far quadrare tutto in quel di Carrara. Lì dove Design is back, ma per davvero.
E intanto Carrara resta sempre lei, immersa in quella fascinosa decadenza che al bonus facciate ha fatto un baffo. Una decadenza che pare studiata per contrastare con la pulizia del marmo. Perfetta per dar risalto al bianco del cavatappi Anna G. di Alessandro Mendini per Alessi, in versione tripla XL non proprio capace di emanare la stessa simpatia dell’originale. Tutt’altro, fa quasi impressione. È un po’ come se il sogno del Mendini bambino, catturato – come raccontava spesso per indicare la genesi di Anna G. – dal movimento/danza del cavatappi, fosse diventato un incubo. Riferimento cinematografico: il gigantesco omino marshmallow contro cui combattevano i Ghostbusters. Proprio lui. Meno problemi pre-adolescenziali ce li crea il bollitore Plissé di Michele De Lucchi, sempre per Alessi, che essendo un oggetto inanimato (non state a questionare dicendoci che pure Anna G. lo è o ucciderete la meraviglia del design, delegittimando tutti i designer) se ne sta in piazza Alberica innocuo, fregiandosi d’essere – assieme al panda Bernardo – tra le opere realizzate appositamente per questa White. Ma a proposito di Bernardo, progetto di Elena Salmistraro per Bosa Ceramiche realizzato a mano da tre scultori di Studi d’Arte Carrara – Cave Michelangelo, con tre diverse lavorazioni sul marmo: si può non amare? Migliori attori non protagonisti i basamenti, costituiti da blocchi di marmo presi direttamente dalle cave, con tutte le indicazioni di lavorazione: perché questa è Carrara, la patria del marmo dove si mangia per strada il panino con la cecina, mica una patinata Milano tutta fingerfood.
Approvati da Artslife gli spazi interni, in particolar modo quei luoghi in disuso evidentemente da qualche lustro, coerenti con la decadenza carrarese e in cui vengono presentati progetti di un design prêt à vivre: dalle lampade ideate da svariati autori col supporto di Martinelli Luce, a quelli molto più raziocinanti dei ragazzi dell’Accademia. Da quest’ultimi, in effetti, ci saremmo aspettati qualche guizzo in più, pure se la cuccia in marmo Fifi di Giulia Simeoni dovrebbe diventare un must (laddove si campa di fingerfood la definirebbero “top”). E poi ci sono le sculture luminose di Paolo Ulian. Ma perché non parlare proprio di Ulian, nativo del luogo e perciò uno che col marmo ha un rapporto bello stretto. Senza nulla togliere agli altri, lui è il nostro sommo designer, capace di svelarne la leggerezza – certo che anche il pouf Soul di Simone Micheli, con tutte le sue estroflessioni, non scherza – nelle sculture luminose di cui sopra, fluttuanti come fossero in cartone ondulato; di creare intrecci privi di scarto col tavolo Gomitolo, oppure farti sentire scultore per un giorno, consegnando progetti come il lavabo Introverso per Antonio Lupi, dove armati di martelletto si può far uscire la forma dal marmo a proprio piacimento. Personalizzazione dal quid così michelangiolesco da ricordarci che design e scultura – quindi design e arte – sono intrinsecamente facce della stessa medaglia, pur se il primo, come afferma Raimondi, svolge la sua funzione «Se diventa popolare». In senso assoluto non possiamo che concordare col direttore. Tuttavia, tremiamo alla quantità di euro da sborsare per metterci a smartellare un Introverso. Ci fermiamo a un “popolare” nell’accezione di “conosciuto”.
Alla White 2024 non manca nulla. Nemmeno una gran bella sezione arti visive al mudaC – Museo delle Arti di Carrara, con le mostre di Paolo Cavinato e Gabriele Landi, entrambe a cura di Cinzia Compalati. Altro “Artslife approva”: tutt’e due sono decisamente riuscite. Cavinato gioca coi volumi, con le luci (talvolta pure col suono, ma in questo contesto pare più un accessorio destinato a perdersi) e una percezione intesa come distanza tra ciò che realmente è, e ciò che appare. Dal labirinto di Lost, allo specchio attraversabile Beyond (inciso: l’illusione di quel corridoio così a là Borromini di Palazzo Spada è fenomenale), ogni lavoro è di una godibilità affascinante, erede di una ricerca processuale che Cavinato ha affinato, facendone un coerente punto di contatto tra ricerca plastica scultorea e fruizione tipica del design.
Landi, in uno spazio più ristretto, col suo omaggio Alle montagne presenta due lavori. Ci concentriamo sull’inedito, a metà strada tra il pittorico e il plastico, tra l’artigianalità analogica e la sequenzialità digitale del pixel. Un enorme bassorilievo contemporaneo appeso a svariati metri d’altezza, fatto di precisione, pazienza e abilità dell’artista nell’intagliare – e aprire – innumerevoli finestrelle su lunghi rotoli di carta tinta in rosa. Un’orografia immaginifica, sentimentale soprattutto nel suo essere portata avanti senza schemi, con una buona dose d’inconsapevolezza, procedendo per giornate come in un affresco, finestrella dopo finestrella. Scoprendo il risultato finale solo installando il tutto nella Project room del mudaC: nel suo studio, racconta Landi, quei tre rotoloni era impensabile aprirli per intero.
Prima di scrivere la parola “fine” sull’incontro con la nostra White 2024 (la nostra, poi chiunque altro vi potrà dar conto della sua), vorremmo solo far notare una cosa: abbiamo iniziato col marmo e finito con la carta. Quando a Carrara c’è la White tutto è possibile.