Qualche anno fa, in una Venezia meno calda e afosa, durante un incontro con un grande artista del nostro tempo, Leon Ferrari, alla domanda: “Cosa dovrebbe dire oggi un artista?”, lui rispose con un sorriso e una frase inequivocabile: “Deve raccontare il suo tempo, come è sempre stato nella storia dell’uomo”. Da questa riflessione nasce il desiderio di parlare di chi, a mio avviso, incarna pienamente il modo di “fare arte” dei grandi del passato.
In un’afosa mattina di giugno, il progetto “La desinenza estinta” di Lucia Veronesi viene finalmente inaugurato al Museo Ca’ Pesaro di Venezia. L’artista, affascinata dall’intersezione tra lingue in via di estinzione, botanica e storia della scienza, ha lavorato per mesi, raccogliendo materiali tra Londra, Trondheim e Zurigo.
La mostra è divisa in tre parti: la corte, la project room e l’androne. Appena si varca la soglia del museo, si viene accolti da una scena onirica. La corte interna del museo è stata trasformata in un giardino della conoscenza: testi accademici, piante medicinali e immagini di lingue perdute si fondono in un’esplosione di colori e forme. Si può passeggiare tra i pannelli, assorbendo ogni dettaglio. Le parole di Jordi Bascompte, Rodrigo Cámara-Leret e Richard Evans Schultes, estratte dal Glottolog, si intrecciano con le immagini di piante curative dell’Amazzonia nord-orientale. La sensazione è quella di essere entrati in un universo parallelo dove il sapere tradizionale e la biodiversità si incontrano.
L’arazzo esposto al pianterreno del museo è una danza di immagini e parole, una composizione che oscilla tra il figurativo e l’astratto. Piante esotiche emergono tra le silhouette di botaniche dimenticate, mentre i nomi delle popolazioni indigene in via di estinzione scompaiono e riemergono tra i fili dell’arazzo. Ogni filo racconta una storia, ogni immagine evoca un ricordo. Il racconto di queste piante, il cui uso medicinale è stato tramandato di generazione in generazione, rischia di essere dimenticato insieme alle lingue che le custodivano. Veronesi ha saputo trasformare la perdita culturale e naturale in un’opera d’arte potente.
Nella project room, un video proiettato sulle pareti, combinando immagini di archivio e riprese realizzate nei giardini botanici di Londra e Zurigo con la tecnica dello stop motion e del collage, dà vita a un viaggio visivo che mette in luce le scoperte scientifiche di alcune botaniche del passato. Il video ipnotizza, seguendo le avventure di queste donne coraggiose che hanno dedicato la loro vita alla scoperta e alla catalogazione delle piante medicinali.
La mostra è un richiamo all’importanza di preservare le popolazioni e le lingue indigene, le conoscenze tradizionali, in un periodo storico dove un multimiliardario porta internet in alcune di queste civiltà, danneggiandole violentemente solo per il suo diletto. Lasciando il Museo Ca’ Pesaro, si può sentirsi parte di qualcosa di speciale. “La desinenza estinta” non è solo una mostra d’arte; è un ponte attraverso il tempo e lo spazio, un racconto che invita a riflettere sulle conseguenze della perdita culturale e sulla necessità di preservare il sapere umano. Le lingue e le conoscenze tradizionali rappresentate nella mostra meritano di essere studiate, ricordate e celebrate. Lucia Veronesi, con la sua arte, accende una scintilla nel cuore di tutti noi, una scintilla che speriamo possa trasformarsi in fiamma anche dentro ognuno di voi che visiterà la mostra.
Questa mostra è il compimento di un anno di lavoro che l’artista e una serie di enti che la supportano hanno svolto all’interno del progetto vincitore della XII edizione di Italian Council, il programma di promozione dell’arte contemporanea italiana nel mondo realizzato dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.