Musica, danza, opera, teatro e tanta arte contemporanea, per la 67° edizione del Festival dei Due Mondi a Spoleto, diretto da Monique Veaute con un cartellone che alterna classico e contemporaneo, con la presenza di star come Isabelle Adjani, Davide Enia, Damiano Michieletto, Ivan Fisher, Carla Bruni, Barbara Hannigan, Lizz Wright, Friedemann Vogel, Wayne McGregor e Mehdi Kerkouche.
Per suggellare l’alleanza tra il museo di palazzo Collicola e il festival, quest’anno il suo manifesto è stato firmato da Chiara Camoni (1974), protagonista di Inizio fine. Rotondo Tutte le cose del mondo, l’intensa e poetica personale dell’artista, curata da Saverio Verini e allestita nel piano nobile del museo. “Le opere dialogano con le stanze del palazzo, creando un percorso espositivo con richiami al mondo naturale e vegetale, fortemente presenti nella pratica di Camoni” spiega Verini. A collegare i diversi ambienti la scultura Sister(Serpentessa) (2024) che si snoda, come un fil rouge di materiali trovati, attraverso sale, camere e salotti, per condurre il visitatore in un mondo dove l’incoscienza dell’infanzia incontra la magia dell’arte, attraverso video, terracotte e porcellane. Sempre al primo piano, la project room ospita In My End Is My Beginning, la scultura in ferro forgiato di Lulù Nuti (1988), a cura di Spazio Taverna in collaborazione con l’Osservatorio Gravitazionale Europeo (EGO), il laboratorio CAOS dell’Università degli Studi di Perugia e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). Frutto di una residenza dell’artista nella sede dell’Osservatorio Gravitazionale Europeo a Cascina, la forma dell’opera rimanda ad un movimento di espansione e contrazione simile al movimento delle onde gravitazionali. Infine il piano terra del museo ospita Concerto, la mostra personale di Roberto Fassone (1986), curata dallo stesso Verini, che riunisce una serie di opere concettuali legate al significato dell’opera d’arte nel XXI secolo, mentre l’ultimo piano ospita La nuova debolezza. Fotografie dalla Collezione Attolico, a cura di Serena Schioppa e Saverio Verini, che riunisce scatti di artisti come Thomas Ruff, Elisabetta Benassi, Gabriele Basilico ed altri.
Interessanti anche le proposte legate ad alcuni spazi comunali della città: la chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo ospita Oggi, l’intervento pittorico di Luca Bertolo (1968), il museo del Tessuto e del Costume è sede del progetto Umru: racconti da un paesaggio idrosociale dell’artista Cecilia Ceccherini e del geografo Alberto Valz Gris, curato da Guy Robertson e sostenuto da Mahler & LeWitt Studios, che unisce tessitura, narrazione e tradizioni popolari in una narrazione complessa ma di notevole valore poetico, mentre negli ambienti della Casa Romana si può ammirare Paolina e il suo Doppio, un’installazione di carattere simbolico di Vettor Pisani, curata da Pietro Tomassoni. La Torre Bonomo ospita SL, una mostra di Jonathan Monk (1969) dedicata a Sol Lewitt e curata da Vittoria Bonifati: video, ceramiche e sculture per raccontare l’opera del padre dell’arte concettuale attraverso lo sguardo rigoroso e originale di un altro artista, altrettanto talentuoso.
Quest’anno l’impegno della fondazione Carla Fendi si è concentrato sull’archivio del festival dei Due Mondi, interpretato dal fotografo Luis Alberto Rodriguez con la coreografa Afra Zamara, protagonista della spettacolare mostra Legàmi nell’ex Battistero della Manna d’Oro. “I lavori di Luis Alberto sono totem animati” spiega Maria Teresa Venturini Fendi, mentre il fotografo sottolinea la dimensione immersiva della mostra, dove le opere emergono dall’oscurità. “Con la loro immaginazione le persone possono attribuire qualunque storia vogliano alle foto” aggiunge Rodriguez. La storia del festival viene raccontata anche dalla mostra Gli anni Ferrara 2008-2020, curata da Pietro Maccarinelli, che ricostruisce attraverso immagini, costumi e documenti la direzione di Giorgio Ferrara. Infine, da non perdere la mostra di Mario Merz, protagonista dell’Arte Povera, negli ambienti monumentali della Rocca Albornoz, parte del progetto La Sottile Linea d’Umbria che comprende anche l’intervento di Stefano Di Stasio nella chiesa di Sant’Agata. Curato da Costantino D’Orazio, il progetto riunisce 14 località della regione ed è tutto giocato sul rapporto tra antico e contemporaneo: un primo e coraggioso passo per aprire all’arte d’oggi una regione come l’Umbria, forse ancora troppo ancorata al Medioevo.