Nella chiesa di San Marcello al Corso di Roma, Il Cristo di San Giovanni, di Salvador Dalì è stato esposto fino al 23 giugno accanto a un disegno che la tradizione vuole realizzato da San Giovanni della Croce. Ad accomunarli l’inusuale prospettiva dall’alto sulla crocifissione di Cristo.
Nel cuore di Roma, circondato da un drappo rosso bordeaux e illuminato con una luce soffusa nel buio circostante di una chiesa, si protrae verso l’esterno l’immagine di un uomo che con forza e vigore sembra voler uscire dalla tela suscitando emozioni contrastanti nello spettatore, che spaesato si abbandona alla contemplazione di un’immagine quasi cinematografica: Il Cristo di San Giovanni, di Salvador Dalì (1904-1989).
Fino al 23 giugno, nella chiesa di San Marcello al Corso era esposta una tra le opere più celebri del surrealismo, il cui allestimento essenziale ma scenografico, progettato da Roberto Pulitani, catturava il visitatore all’interno del sacrario. In occasione del terzo appuntamento della rassegna “Il Giubileo è cultura” è stata dunque esposta l’opera, un olio su tela del 1951 soprannominato Il Cristo di Port lilgat, prestata eccezionalmente dal Kelvin Art Gallery and Museum di Glasgow. Curatore dell’esposizione era Don Alessio Geretti.
Per la prima volta, accanto al capolavoro del pittore surrealista è stato inoltre esposto, in una teca rossa sottostante il quadro, il disegno-reliquia del cristo crocifisso. A realizzarlo nel XVI secolo, secondo la tradizione, da San Giovanni della Croce in seguito a una rivelazione mistica. L’opera, oggi conservata al monastero De La Encarnacion di Avila, è realizzata con rapidi tratti a inchiostro su carta e raffigura il Cristo in croce, in prospettiva dall’alto con il volto nascosto e di sbieco, schiacciato dal dolore, con le braccia stirate e mani trafitte da grandissimi chiodi. Una forte novità è la prospettiva che non vede Gesù raffigurato dal basso come siamo abituati dalla tradizione e come secondo le scritture era visto da Maria e i discepoli, ma dall’alto, come visto dal Padre Eterno.
L’immagine del disegno così composta affascinò Dalì, che ne trasse ispirazione per il suo Cristo. Si tratta dunque di un’esperienza unica e inedita per il visitatore, che può ammirare/confrontare le opere finalmente riunite. Nell’opera di Dalì è centrale la croce, un solido pesante appeso nel vuoto, nel buio, avvolta in una sospensione metafisica quasi onirica. Sembra appesa, ma allo stesso tempo immobile, galleggia all’interno dello spazio rappresentato dall’opera. Nel 1951, anno della realizzazione della tela, l’artista si trovava in un momento di riavvicinamento alla fede cattolica.
Dallo studio del disegno di San Giovanni della Croce, Dalì riprende quindi la prospettiva dall’alto, ma in modo innovativo iscrive il Cristo in un triangolo equilatero costruito dalle vigorose braccia il cui vertice culmina nella testa. Gesù ha il volto riverso verso il basso, una sottrazione iconografica che crea nel fruitore un forte senso di mistero. Tuttavia, a differenza dello schizzo del Santo, Dalì rappresenta Gesù non sofferente, non ci sono traccia di chiodi o di sangue. Cristo non ha segni della passione. Egli ha scelto la crocifissione, si è donato per la salvezza eterna dell’uomo; sceglie di essere crocifisso, con il suo dolore impresso dal peso del suo corpo, che lo tira e lo trascina, tendendo ogni muscolo verso l’esterno della tela.
Il Cristo di Dalì presenta una fisicità perfetta, statuaria, un corpo che rimanda a una divinità greca. Sintesi di bellezza, genio, spiritualità e mistero. Nella parte inferiore dell’opera, sottostante il crocifisso, il dipinto presenta una veduta di Port llgat, che simbolicamente rappresenta il mondo intero. Dalì raffigura una baia con una luce soffusa, una barca e alcune figure inconsapevoli di ciò che accade oltre il cielo. Le tonalità delle acque e del cielo sono di un blu così intenso da contrastare quello sovrastante, aumentando dunque la drammaticità e il contrasto all’interno del dipinto. Pathos che si riflette anche nel disegno di San Giovanni della Croce, con le opere che diventano quindi una specchio dell’altra creando un dialogo che supera spazio e tempo.