Nato in Abruzzo, a Roccaraso, nel 1953, Claudio Cerritelli s’è spento ieri dopo una lunga malattia a settantun’anni
Claudio Cerritelli s’è spento ieri dopo una lunga malattia a settantun’anni. Era nato in Abruzzo, a Roccaraso, nel 1953. L’ultima volta che lo vidi a Milano, dove viveva da sempre, lo raggiunsi a un bar e, insieme, ci inabissammo nel suo studio. Lo studio di Claudio era infatti sotto il livello stradale. Questa sua tana intellettuale si presentava come un labirinto di libri e opere d’arte con un’apertura, simile a una radura in una foresta di carta, dove, a una scrivania, era solito scrivere i suoi saggi. Di lui sapevo quasi tutto, sapevo che si era formato all’Università di Bologna e che aveva cominciato ad interessarsi alla pittura analitica. Argomento di cui seguì le vicende portando il suo apporto critico sino alla soglia del periodo più problematico dell’aniconismo.
Dal 1993 dirigeva la rivista “Nuova Meta”, e aveva curato in precedenza il premio di pittura, scultura e arte elettronica Guglielmo Marconi. Poi aveva diretto i progetti espositivi della Casa del Mantegna a Mantova. Claudio ha mantenuto una coerenza critica supportata da un rigore filologico utilizzato spesso per dissipare la fumosa cortina mistificante delle mode. A ciò univa una innata curiosità che lo spingeva a cercare nuovi talenti e nuove formule visive. Fu proprio uno di questi talenti, il pittore Marco Grimaldi, che mi introdusse alla prosa di Claudio. Attento a non scadere nella retorica ondivaga e citazionista, Claudio è stato forse uno tra i più spericolati commentatori della pittura non figurativa italiana contemporanea. Come ponte tra due generazioni s’interrogò sul concetto di avanguardie in un momento in cui vacillava ogni schema storiografico, a sua volta, interrogò la scena artistica alla luce dei continui spostamenti imposti dalla postmodernità.
Cerritelli era sarcastico e smaliziato, all’apparente cinismo affiancava una sensibilità mai cedevole all’ingenuo gregarismo, aborrendo il commento ottuso ha sempre dribblato l’ovvio allineamento. Colto interlocutore dei maggiori galleristi meneghini, Claudio era legato a Milano dove dal 1986 era docente di storia dell’arte all’Accademia di Brera, una posizione dalla quale poteva narrare la profonda conoscenza della pittura e dalla quale sollecitava intellettualmente nuove generazioni di artisti. Proprio questo è stato il lato più affascinante che sedimenta in un ricordo di stima e riemerge ogniqualvolta rileggo i suoi libri. Un ricordo che andrebbe onorato istituendo un premio di pittura a suo nome.