Print Friendly and PDF

Edoardo Di Mauro, una scheggia impazzita nel mondo dell’arte

Edoardo Di Mauro e Maria Grazia Torri nel 1988 Edoardo Di Mauro e Maria Grazia Torri nel 1988
Edoardo Di Mauro e Maria Grazia Torri nel 1988
Edoardo Di Mauro e Maria Grazia Torri nel 1988

Un ricordo dello storico e critico d’arte Edoardo Di Mauro scomparso nei giorni scorsi a Torino all’età di 64 anni

A comunicarmi la notizia è stato, l’altra mattina, un amico stretto che mi ha telefonato, piangendo a tratti. “È morto Edoardo”. Come succede in quei momenti, ti passano davanti in pochi istanti decine di fotogrammi, immagini, ricordi. Chiamatela come volete, premonizione, telepatia, ma purtroppo mi aspettavo qualcosa del genere: avevo visto delle foto di Edo di pochi giorni fa e anche se non ci vedevamo ormai da tanti anni ci siamo conosciuti così bene che già avevo intuito che c’era qualcosa che non andava.
Nella cronaca si parla infatti di una breve malattia e ovviamente si dà risalto alla sua figura istituzionale all’Accademia di Belle Arti di Torino (dove oltre che insegnante e vice – direttore è stato direttore dal 2000 al 2023), e di animatore del progetto MAU (Museo e cielo aperto, che iniziò con l’artista e sodale Mercurio più di 20 anni fa) che però sono “solo” le sue ultima vesti.

Chi lo ha conosciuto tra fine anni ’80 e per tutti gli anni’90 sa che Edoardo Di Mauro è stato, meno semplicemente, uno dei più singolari personaggi ad aver attraversato la scena dell’arte italiana, amato moltissimo da tanti, inviso a molti e persino odiato da alcuni altri. Sono storie e situazioni che ormai si stanno sempre più allontanando nel tempo ma che forse è bene far conoscere nella loro interezza a chi non le ha vissute, e a far riflettere chi c’era.
In Italia la categoria non protetta dei pittori, tra fine anni 80 e inizio anni ’90, dopo il veloce declino della cosiddetta Transavanguardia Internazionale, se la vedeva maluccio: ritorno in auge dell’Arte Povera con conseguente schiere di “followers”), qualche pretenziosa teorizzazione riguardo ad un Ordine della Storia che avrebbe seppellito l’ ”arte tradizionale” 🙂 , spazi limitatissimi o relegati in realtà di bottega, le nuove gallerie più propositive ed aggiornate rivolte ad altro . In quel periodo vagavo, come chissà quanti altri, soprattutto a Milano in cerca di qualche buco. Ma le gallerie davvero interessanti erano, giuro, due o tre al massimo. Il proprietario di una di queste, molto importante per la pittura, nel 1986 mi aveva offerto di stabilirmi a Milano ma avevo tutta una serie di problemini per cui non potevo permettermelo. E con un altro, che con la pittura non c’entrava, ci ho litigato di brutta appena l’ho conosciuto perché, anche se intelligente, il più intelligente, rappresentava tutto quello che non mi piaceva del Nuovo che avanza :). Era il 1987.

 

Avevo sentito comunque che a Torino c’era qualche spazio, non allineato con il mainstream, che esponeva pittura figurativa, ma non mi ero ancora deciso ad allungare i miei tragitti in treno.
Casualmente, dopo qualche giro a vuoto, nel ‘90 conobbi la cugina di una mia amica, lei viveva a Torino e lavorava con Edoardo all’Aics, l’Associazione culturale del Partito Socialista: quando la mia amica la portò a visitare il mio studio a Udine lei mi disse che dovevo assolutamente conoscere questo personaggio.

Mi avvertì subito che non aveva un buon rapporto con lui e che, anzi, non lo sopportava ma che pensava che nel campo dell’arte Di Mauro era un qualcuno non uno qualsiasi, uno che si impegnava e faceva tantissimo. Lo avevo visto apparire su “Flash Art” tra un’inserzione e un servizio, spesso in compagnia con Maria Grazia Torri, ma non mi ero ancora fatto un’idea, anche se si vedeva che non si presentavano come tutti gli altri. La cugina della mia amica combinò l’appuntamento e così andai a Torino a trovare dei parenti e poi, mi pare una tarda mattinata, andai alla sede dell’AICS con due tele arrotolate. L’incontro credo fu memorabile per entrambi.

Riconobbi il tipo delle foto su “Flash Art”. Io non ero vestito male ma con i capelli allora lunghi somigliavo ad un fricchettone come in effetti per un po’ ero stato :). Lui era un po’ più alto di me, diciamo sull’1.85, decisamente più grosso, un quintale abbondante, vestito in completo giacca e cravatta, scarpe classiche pesanti, pochi capelli con il riporto e il sigaro in mano. Era una gara a chi si comportava in modo più assurdo, dicevamo poche cose scarnificate e lasciavamo che a parlare fosse l’atmosfera. Non che non fossimo a nostro agio, anzi. Forse quello più agitato era lui, che camminava su è giù per la stanza con passo soldatesco, rimirando i miei due dipinti stesi a terra. Quante parole disse in tutto? Poche, sempre le stesse ripetendole più volte. Disse che il lavoro era molto interessante o cose simili, che dovevamo fare qualcosa assieme e che lui aveva uno spazio che era stato chiuso per un periodo e che però stava per riaprire. Fu allora che venni a sapere di questa galleria alternativa che per una bella cerchia di persone fu mitica: la VSV di via Po. E la mia personale, fatta a pochissima distanza dal nostro incontro, fu quella della riapertura. Detto e fatto. Particolare non secondario, era la mia prima mostra in assoluto escluso quelle da studente.

 

Fiera di Pordenone nel 1996, da sinistra a destra EdoardoDi Mauro (curatore di Simbolica, una mostra collaterale alla fiera), Cinzia Pavanati (organizzatrice della fiera), Santina Zannier e Renzo Cignacco
Fiera di Pordenone nel 1996, da sinistra a destra EdoardoDi Mauro (curatore di Simbolica, una mostra collaterale alla fiera), Cinzia Pavanati (organizzatrice della fiera), Santina Zannier e Renzo Cignacco

Che cos’era esattamente la VSV? Visitazioni – Sono – Visive. Oggi molti nemmeno sanno sia esistita e riguardo alla quale, eravamo in era pre – cellulare, esistono poche fotografie. Solo nell’archivio del fotografo Tommaso Mattina, che in quegli anni era onnipresente in tutte le mostre di Torino, oltretutto nostra vera fucina di informazioni segrete, si potrebbe trovare qualcosa, ma Tommaso è morto da molti anni dopo sfortunate vicende familiari e non so che fine possa aver fatto tutto quel materiale. Edoardo aveva fondato lo spazio con Mercurio e Turi Rapisarda e non vorrei dimenticare altri. Siccome c’erano dei limiti di età per le associazioni giovanili, Mercurio barò sulla sua data di nascita, come sapemmo solo anni dopo quando anche lui morì precocemente, come Tommaso Mattina ma anche come Zanichelli, come Ferrazzi, altri due artisti meteora di Torino. Si trattava comunque di una piccola galleria dall’aria underground, uno spazio un po’ scassato a due piani, quello superiore con i muri storti, ma situata in una via centrale di Torino. Inviso a molti, questo spazio però era noto a tutti e alle inaugurazioni poteva arrivare chiunque, dal matto al personaggio importante. Era davvero un fortino avanguardista, spesso allo sbaraglio, contro l‘ufficialità.

Edoardo era nato nel 1960 ad Alessandria d’Egitto da una famiglia italo-greca poi trasferitasi in Italia. Dopo essersi laureato in Lettere con una tesi su Marinetti, genere di promotore dell’arte nel quale si è sicuramente identificato, si dedicò da subito, giovanissimo all’organizzazione di eventi culturali, vicino anche al mondo della musica, coltivando un’interdisciplinarietà che ha praticato anche più avanti. Ad un certo punto il fulcro del suo interesse si indirizzò alle arti visive e cominciò ad organizzare mostre a raffica, appoggiandosi all’AICS, collaborando con qualche galleria e raggruppando altri critici, soprattutto la già citata Maria Grazia Torri, in anni in cui non esistevano Musei d’Arte Contemporanea (escluso Rivoli) e in cui c’erano pochissime mostre per i giovani artisti. Tanto per chiarire, un fenomeno come la mostra della Brown Bowery del 1984, realizzata in uno spazio industriale in disuso, per molti anni venne dipinta come un evento quasi eccezionale, al di là del suo reale valore.

 

Edoardo si guardava in giro e stava maturando le sue preferenze per cui nelle sue prime rassegne passò una parte ragguardevole dell’Italia artistica di allora, con tanti che con il tempo sono spariti ma anche con artisti e critici poi diventati noti che allora erano agli albori.
In ”Nuove Tendenze in Italia – Tracce d’arte presente e futura”, catalogo Fabbri del 1986 (quindi organizzata 26 anni) coordinava i contributi critici di: Francesca Alfano Miglietti, Enzo Cirone, Enrico Cocuccioni, Gaetano La Rosa, Lorenzo Mango, Gabriele Perretta, Barbara Tosi. Alcuni degli artisti non dicono più nulla ma altri girano ancora o si ricordano: Guido Baragli, Dario Bodrato, Dario Brevi, Cristina Cary, Francesco Ciancibilla (che anni dopo fu condannato per l’omicidio di Francesca Alinovi), Andrea Crosa, Daniela Dalmasso, Aldo Damioli, Domenico David, Raffaello Ferrazzi, Cesare Fullone, Gino Gianuizzi (fondatore della galleria Neon di Bologna), Alfredo Pirri, Pierluigi Pusole, Fathi Hassan, Marco Lavagetto (autore molti anni dopo della “beffa” di Tirana a spese di Flash Art), Antonio Porcelli, Gregorio Spini, Milo Sacchi, Bruno Sacchetto, Maurizio Vetrugno, Bruno Zanichelli ecc.

Nel 1988 con Enzo Cirone e Maria Grazia Torri e in collaborazione anche con il Comune di Genova organizza “GE.MI.TO – L’ultima generazione artistica del triangolo industriale“, catalogo Fabbri nasceva nel titolo delle tre città coinvolte: Genoa, Milano e Torino e presentava opere di Luca Vitone, Antonio Porcelli, Elsa Boero, Andrea Crosa, Michele De Luca, Marco Lavagetto, Stefano Arienti, Guglielmo Emilio Aschieri, Fausto Bertasa, Umberto Cavenago, Aldo Damioli, Domenico David, Mario Dellavedova, Cesare Fullone, Piera Legnaghi, Amedeo Martegani, Marco Mazzucconi, Premiata Ditta, Satprakash3, Enzo Bersezio, Raffaello Ferrazzi, Santo Leonardo, Corrado Levi, Mario Marucci, Pierluigi Pusole . Eraldo Taliano, Maurizio Vetrugno, Bruno Sacchetto, Bruno Zanichelli ecc.

Sempre nel 1988, ancora un catalogo Fabbri, e oltre all’AICS , con l’aiuto del Comune di Torino, organizza “Gli arditi – Una stagione della galleria VSV”, che sotto l’ironico titolo neo–futurista celebra, con Maria Grazia Torri una stagione espositiva, presentando: Marco Lavagetto, Thorsten Kirchhoff, Giovanni Albertini, Bruno Sacchetto, Aldo Damioli, Eraldo Taliano, Enzo Bersezio, ecc

Queste sono solo alcune della miriade di mostre, mostrine, presentazioni, cataloghi che organizzò e che organizzerà più tardi: quando doveva presentarsi per proporre qualcosa arrivava con una pila di pubblicazioni. Intorno al 1990 ci doveva essere stata una battuta dì arresto, come ho raccontato. Al nostro primo incontro mi aveva detto che la VSV era stata chiusa per un periodo. In quel frangente si era rotto infatti anche il sodalizio con Maria Grazia Torri, in modo tutt’altro che pacifico.

Entriamo un attimo in profondità e diciamo qualcosa di più: già da solo Edo, futuro direttore dell’Accademia di Torino, poteva diventare un pazzo scatenato ma i due assieme erano dinamite pura. Per anni in un albergo vicino a Portogruaro i gestori se li ricordavano ancora: durante una lite furibonda Edo aveva buttato giù una porta a spallate e poi aveva vegliato tutta la notte davanti a questa porta seduto incazzato e inamovibile su una di quelle grandi sedie di vimini. Tutti quelli che hanno conosciuto davvero Edo sanno che lui è stato davvero il Keith Moon dell’arte italiana degli anni 90 e non per posa ma per davvero. Con lui ne ho viste di tutti i colori. In sé coltivava una parte oscura, un doppio che lo avvinghiava e che so che non l’ha mai abbandonato neanche in questi ultimi anni quando ha finito per predominare la sua personalità pubblica. Quando beveva poteva essere travolgente e divertente a dismisura, perdeva ogni freno ed era capace di farti finire sotto il tavolo perché non ce la facevi più dal troppo ridere: con lui poteva non esserci più niente di serio, cosa poco digeribile per i tanti che soffrono di amor proprio (e per questo molti ce l’avevano con lui).

 

Ma bastava un nonnulla, nella giornata sbagliata, per mandarlo in bestia o per scatenare i suoi deliri di persecuzione, tra l’altro non sempre immotivati. Si portava dietro chissà quali ferite del passato e nell’Arte aveva trovato una libertà che gli dava gioia e sollievo e l’affrontava con uno spirito completamente disinteressato: non era attratto dal guadagno, non ha mai voluto fare l’artista. Presentava e organizzava cose di ogni genere in giro per tutt’Italia ma non si faceva pagare da nessuno o al massimo ricavava dal budget quattro spiccioli per il rimborso spese e tanti lo ospitavano durante le trasferte, anche se sapevano che averlo in casa era sempre un’incognita. Alcuni gli volevano così bene che se lo portavano in qualche loro residenza di campagna per accudirlo nei suoi assurdi periodi di disintossicazione dove evitava l’alcool e si nutriva quasi esclusivamente di cipolle. Annaida, la sua nuova compagna lo seguiva e supportava dovunque, una persona dolcissima, l’unica che almeno un po’ lo poteva arginare,

Dopo le sue prime giovanili esperienze positive ed entusiasmanti si era trovato ad aver a che fare con la struttura e la rete degli interessi che stava dietro il sistema dell’arte, i suoi condizionamenti, la competizione, le strutture di potere, la parte commerciale, la megalomania di tanti. Tutte cose che la sua ipersensibilità gli rendeva arduo affrontare. Lui non è mai stato uno squalo ed era fondamentalmente una persona buona, eccessi a parte.
Era il compagno vero degli artisti, ne condivideva le gioie e le amarezze non amava le figure dei galleristi, tanto che con diversi dei quali ebbe alterchi. Per di più iniziò a focalizzare le sue preferenze e forse nemmeno i suoi artisti si rendono conto del coraggio che ha avuto andando, proprio a Torino, contro l’Arte Povera, ebbene si, diciamola tutta.

Quando nel 1993 si coalizza con altri tre spazi – associazioni culturali di Torino fondando CORDATA, Coordinamento delle Associazioni Torinesi d’Arte ( L’Uovo di Struzzo, Tauro Arte e Spazio Dinamico ) e organizza “Eclettismo” , pur mantenendo la difformità delle scelte che rimarrà una sua costante anti – ideologica, comincia a presentare un progetto più esplicitamente alternativo rispetto al contesto di allora . Quindi quasi nessun artista delle gallerie ma personalità indipendenti con un occhio di riguardo ad una pittura dal sapore “concettuale” ma in netta contrapposizione con l’arte post- concettuale che molti italiani avevano adottato.
Tra gli artisti, oltre al sottoscritto, c’erano Mercurio, Dario Ghibaudo, Daniele Galliano, Mariorusso (un decano di Torino), Sergio Cascavilla, Dario Ghibaudo, Turi Rapisarda, Andrea Renzini, Ferruccio D’Angelo, Antonio Riello, Antonio Sofianopulo, Gianni Caruso, Corrado Bonomi, Mario Marucci, Alessandra Galbiati , Fasoli m&m, ecc.

Seppi comunque che le stesse gallerie allora in auge, anche quelle potenzialmente più vicine, erano poco propense a prestare i loro artisti per iniziative simili, che vedevano concorrenziali e con presenze di valore troppo altalenante. Edo insisteva a dire che la VSV non era una galleria ma uno spazio di proposta non commerciale, ma non c’era niente da fare. Le gallerie, anche quelle che facevano pittura, avevano i loro spazi di manovra e facevano le loro scelte strategiche, andando sul facile o valorizzando gli artisti che rendevano.

Era un ambiente duro se non avevi protezioni e se non eri di buona famiglia. Dovevi farti valere. Se vedevano che non eri uno accomodante, che non facevi quadri a cottimo e che metà non glieli regalavi magari ti rispettavano ma ti tenevano a distanza. Un giorno seppi che uno di questi artisti che gravitava attorno alla VSV, uno che appena lo vedevi capivi che era stato un proto – punk del ’77, dopo aver avuto un rapporto di lavoro con uno di questi, andò in galleria e lo gonfiò di botte. Il gallerista era uno di quei piccoli presuntuosi forti con i deboli e deboli con i forti, carattere tipico dei pesci piccoli, come se ne vedono tanti e posso immaginare che quest’artista debba aver avuto qualche motivo: in ogni caso per lui carriera finita.

Tutt’altra storia invece per un artista noto tutt’ora che in un momento di provvisorio declino fu contattato da un altro di questi galleristi. Uno che era così tirchio che riciclava persino lo scotch usato. Questo, con un suo collezionista, andò nello studio del noto artista con una valigetta piena di soldi con l’idea di farsi dare chissà quanti quadri. Per l’artista erano però, dati i suoi trascorsi, pochi spiccioli. Si inferocì e li picchiò tutti e due e il collezionista fuggì barricandosi nel bagno mentre quello dello scotch stoicamente sopportò il servizio.

Quest’artista non risentì minimamente della carriera e ancora oggi ha un mercato niente male anche se non come nell’epoca aurea.
Tornando a Edoardo, la sua caratteristica non era di fare necessariamente le scelte più opportune o convenienti, ma di fare di testa sua, spesso per caparbietà e per follia, ma più spesso perché davvero parteggiava per gli artisti. Per alcuni, quelli soprattutto più inseriti nei piani alti, nutriva un’autentica avversione e non ne riconosceva il valore. Per quelli dell’Arte Povera e per il sistema onnipervasivo che li circondava era ben conscio che non c’era possibilità di dialogo. Come altri pochi critici coraggiosi della sua generazione il periodo del ’68 era visto con meno sussiego: gli anni 70 erano stati ben più trasgressivi e travolgenti. Ma mentre i sessantottini avevano potuto riciclarsi come personaggi di potere, ingigantendo a dismisura ogni piccola cosa che avevano fatto, per chi era sopravvissuto agli anni 70, si era aperto il periodo della precarietà e dell’incertezza.

 

Oltre che dell’omologazione televisiva. In questa situazione, per i personaggi laterali, sfigati e incompresi Edo aveva un occhio di riguardo e di simpatia. Insomma era il condottiero di una piccola armata Brancaleone, sempre più in rotta con quelli che contano. Intanto aveva sviluppato una rete di relazioni in tutt’ Italia, con varie piccole realtà indipendenti muovendosi soprattutto nel bolognese, dove viveva Anna Ida e insegnando lui in quel periodo a Ravenna. Cito il sodalizio del Campo delle Fragole, con sede in via del Pratello una comunità di artisti e amici che era l’ultimo lascito della gloriosa Bologna alternativa del ‘77; Maria Campitelli e la rivista Juliet di Roberto Vidali a Trieste, Boris Brollo a Portogruaro, Anna Carretta a Parma e molti altri ancora.

Intanto, con il fiuto politico che gli notai, si era staccato dal Partito Socialista, con lungimirante anticipo sullo scoppio di Mani Pulite e trovò altri referenti per quanto riguardava Torino.
Ad un certo punto si lanciò in un’avventura incredibile con i Verdi, che lo portò, sotto la giunta Castellani, ad entrare nel comitato direttivo dei Musei Civici di Torino e ad organizzare nel 1997 alla Promotrice la grande mostra “Vá Pensiero – Arte italiana 1984 – 1986”, che fu in buona parte un censimento dell’arte italiana non allineata. Per di più in uno spazio museale davvero e non nelle solite “cantine”. Praticamente una bestemmia in una chiesa. Con i funzionari, e qualche gallerista, ricordo, schiumanti di rabbia. Passata sotto silenzio come una cosetta da niente, tanto per dare un’idea a chi rimpiange la predominanza della carta stampata. Ma questo credo sia stato il vero colpo grosso della sua carriera.

Oltre al sottoscritto più di 60 artisti: Gianantonio Abate, Giovanni Albanese, KarinAndersen, Maurizio Arcangeli, Guglielmo Aschieri, Salvatore Astore, Luciano Bertoli, CorradoBonomi, Mercurio, Carmine Calvanese, Maurizio Camerani, Umberto Cavenago, Manuela Corti, Dantolo De Luca, Aldo Damioli, domenico David, Enrico De Paris, Chiara Dynis, Dario Ghibaudo, AleGuzzetti, Fathi Hassan, Iginio Iurilli, Ernesto Jannini, Gabriele Lamberti, Luigi Mastrangelo, Marco Lavagetto, Marco lodola, Mario Marucci, Antonella Mazzoni, Vinicio Momoli, Plumcake, Pierluigi Pusole, Odinea Pamici, Andrea Renzini, Turi Rapisarda, Antonio Riello, Gianni Pedullà, Antonio Sofianopulo, Nello Teodori, Bruno Zanichelli, ecc.

Il mandato ai Musei ebbe vita breve e Edo venne presto silurato ma ebbe tempo di organizzare un’ ultima mostra in un bello spazio che però era stato un magazzino frigorifero: piantare i chiodi era un impresa inenarrabile perché i muri erano durissimi e diversi quadri si imbarcarono a causa del clima. Anche se alle inaugurazioni veniva Marcello Levi si sentiva aria di sgombero.
Chiusa la VSV, grazie a Mercurio e suoi amici, Edo aveva già preso ad organizzare mostre alla neonata Fusion Gallery .
Poi ci fu il bis di “Và Pensiero” a Parma nel 2002 con la mostra “Una Babele Postmoderna – Realtà e allegoria nell’arte italiana degli anni ‘90” a Palazzo Pigorini e Mercurio morto proprio in quei giorni dopo che tanto aveva contribuito ad organizzare.

Oltre al sottoscritto erano presenti più di 50 artisti: Mercurio, Cuoghi e Corsello, Corrado Bonomi, Totò Cariello, Carmine Calvanese, Matteo Basilè, Matilde Domestico, Greta Frau, Luigi Presicce, Nello Teodori, Stefano Scheda, Robert Gligorov, Gabriele Lamberti, Stefania Fabrizi, Giuliana Cuneaz, Aldo Damioli, Dario Ghibaudo, Enrico Tommaso De Paris, ecc.
In una sezione a parte veniva esposta parte della collezione di Anna Carretta, una singolare gallerista, scomparsa precocemente nel 1998, altissima, misteriosa e appariscente, che nel suo accogliente appartamento aveva tenuto aperta per anni la galleria 4, 5 x 4,5.
Con la morte del carissimo e indispensabile Mercurio mi rendevo conto che una stagione era passata e mi venne la nausea di Torino, varie vicende mi portarono a seguire altre strade e altre faccende, ero stanco di andare a sbattere contro i muri e i rapporti con Edo si diradarono, anche se rimase l’affetto a distanza. Oltretutto lo scenario torinese andava cambiando e stava finendo la grande stagione dei galleristi carismatici. Anch’io avevo iniziato ad insegnare e mi godevo la vita.

Feci delle cose negli Stati Uniti e in Germania dove si respirava meglio. Se non sbaglio la nostra ultima collaborazione fu nel 2011 con “L’altra storia – Arte italiana dagli anni 80 agli anni zero” che si svolse tra Como, Torino e Milano: io ero presente nella sede di Milano al CRAB, Centro Ricerca Accademia di Brera. Edo viveva un periodo di oscuramento, tutti gli chiudevano le porte in faccia, ma con l’aiuto di diversi amici riuscì ad organizzare questa mostra con oltre 80 artisti. Oltre al sottoscritto: Angelo Barile, Gianantonio Abate, Corrado Bonomi, Carmine Calvanese, Paolo Brenzini, Vania Elettra Tam, Silvano Tessarollo, Michelangelo Galliani, Nebojsa Dešpotivic, Raffaello Ferrazzi, Paolo Grassino, Gaetano Grillo, Ale Guzzetti, Ernesto Jannini, Gabriele Lamberti, Mercurio, Antonella Mazzoni, Barbara Nahmad, Leonardo Pivi, Plumcake, Pierluigi Pusole, Gianfranco Sergio, Adrian Traquilli, ecc.

Siamo arrivati alla fine di questo lungo ricordo che non è solo un ricordo ma la realtà nascosta di un certo periodo: come introdotto all’inizio Edoardo ha concluso la sua carriera con l’insegnamento e la direzione all’Accademia di Torino dove vedo che era benvoluto da molti: non me ne stupisco dato che non poteva non conservare quella sua attitudine a dare una speranza e un’occasione per tutti. Sono sicuro che ha amato i suoi studenti come ha amato i suoi artisti. Ma quest’ultima è stata solo la sua veste finale, quella più ufficiale e normale. Ma credo che il suo piccolo posto nella Storia dell’Arte Italiana lo abbia guadagnato in quel grappolo di anni in cui è stato davvero una scheggia impazzita del sistema dell’arte, anni folli in cui ha messo a dura prova il suo fisico.

Riprendendo una famosa frase di Robert Musil esistono le norme, le medie statistiche, ma esistono pure i casi singolari che non rientrano in queste. Non c’è nessuna segreta ragione in questi incidenti. E la Morale non basta per valutarli. In passato si attribuiva a queste anomalie un’aura di predestinazione o il sigillo di una qualche romantica elezione superiore.
Edoardo di Mauro era un’anomalia, uno scherzo della natura, all’interno di un mondo che si finge avanzato e trasgressivo ma che è molte volte solo perbenista e opportunista. E quando uno non segue l’andazzo corrente pretendete pure che sia perfetto?

Commenta con Facebook