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Tessere è umano. Isabella Ducrot dialoga con le opere tessili del Museo delle Civiltà

Tessere è Umano. Isabella Ducrot… e le collezioni tessili del Museo delle Civiltà Tessere è Umano. Isabella Ducrot… e le collezioni tessili del Museo delle Civiltà
Tessere è Umano. Isabella Ducrot… e le collezioni tessili del Museo delle Civiltà
Tessere è Umano. Isabella Ducrot… e le collezioni tessili del Museo delle Civiltà, vista della mostra

Al Palazzo delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma selezione di opere tessili delle collezioni storiche del museo in dialogo con opere di Isabella Ducrot

S’intesse qui per voi un dramma -Isabella Ducrot l’ha concepito-
che ha per personaggi Trama e Ordito. […]
Straccio o boccato, ogni tessuto è dunque il risultato
di questo stringersi costretti insieme da un progetto
il cui concepimento è dato solo all’ingegno umano:
un matrimonio che mai in natura potrebbe avere luogo.
Prendete il ragno, poveraccio. Imbroglia. Il ragno mica tesse, il ragno incolla.

Patrizia Cavalli, da Tessere è Umano, in Isabella Ducrot. La matassa primordiale, nottetempo, Roma, 2008.

Al Palazzo delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, il Museo delle Civiltà ha inaugurato la mostra Tessere è Umano. Isabella Ducrot… e le collezioni tessili del Museo delle Civiltà, aperta al pubblico fino al 16 febbraio 2025. L’esposizione, curata da Andrea Viliani, Anna Mattirolo e Vittoria Pavesi, presenta una selezione di opere tessili delle collezioni storiche del museo, in dialogo con alcune opere di Isabella Ducrot (Napoli, 1931). Che, da sempre, pone al centro della sua produzione artistica la pittura e la collezione di prodotti tessili raccolti durante i suoi viaggi in Tibet, India e Sudamerica.

Ciò che affascina Ducrot del tessuto non è tanto la decorazione apparente, quanto la sua composizione: la relazione tra la storia del tessuto e la sua struttura. Per Ducrot il tessuto è un documento che dichiara “gusti, regole estetiche, emigrazioni di segni, testimonianze visibili e tattili di una cultura”. In questo senso, l’intento dell’artista e dei curatori consiste nel ripensare l’opera, rinunciando allo statuto di unicità di quest’ultima, per far emergere, piuttosto, l’intelligenza e la sensibilità della memoria collettiva, che si compone di gesti semplici quanto radicali. Nella sua visione, Ducrot avvicina il tessuto alla struttura e all’andamento del linguaggio umano, secondo due modalità: la ripetizione e la narrazione.

Di fatto, l’incrocio ripetuto dei fili dà origine ad un tutto organico – la trama -, il cui andamento coincide con la narrazione degli usi di una specifica cultura, o, come direbbe il filosofo Wittgenstein, di una forma di vita, vale a dire, l’orizzonte di senso entro cui si dà la totalità delle pratiche linguistiche di una comunità, e gli utilizzi che si fanno di quelle pratiche.

Soffio vitale

In Ducrot il tessuto è anche strettamente connesso alla dimensione spirituale e religiosa. È nello spazio vuoto della tessitura, tra un filo e l’altro, che opera il ‘soffio vitale’: lo spirito che anima e ordina la materia. Nelle religioni Buddhista e Induista, il dato della ripetizione è associato al noto rito dei Mantra (man, mente, tra strumento), il cui fine è quello di liberare la mente ed elevare l’individuo ad una dimensione spirituale. Ci accorgiamo che nelle opere di Ducrot il procedimento è molto simile: in Ripetizione Blue (2023), l’effetto di estraniamento è dato dalla ripetizione delle sfere blu rappresentate. Anche Arazzo rimanda al tentativo di una ricerca spirituale, tramite la ripetizione di alcune parole incise sul tessuto.

 

Tlamachayatl, XVI secolo (?) Tlaxcala, Messico tessuto di lana e cotone con trama supplementare in seta, lana e cotone ritorto con piumino collezione Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 31378
Tlamachayatl, XVI secolo (?) Tlaxcala, Messico tessuto di lana e cotone con trama supplementare in seta, lana e cotone ritorto con piumino collezione Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 31378

Nell’esposizione sono presenti opere nella quali Ducrot inserisce come protagonista la corteccia. È il caso di Frammento Vegetale (2023), che si pone in dialogo con alcuni tessuti-non tessuti in corteccia d’albero delle collezioni museali, datati al XIX secolo. Nello specifico, questo tipo di manufatti è generalmente chiamato Tapa (termine polinesiano che indica, appunto, le stoffe ricavate dalla lavorazione della corteccia interna di alcuni alberi); è usato per la produzione di coperte, tessuti per indumenti o accessori. La tecnica di realizzazione della Tapa è antichissima. E consiste del far macerare strisce di cortecce ricavate dal gelso, fino ad ottenere una fibra morbida e flessibile. Questa lavorazione è diffusa in Africa, Asia, America del Sud e America del Nord.

Tecnica, materiale e comunità

Altre opere tessili come il Tlhamachayatl scandiscono ulteriormente il rapporto che intercorre tra tecnica, materiale e comunità. Si tratta di un manufatto costituito da due trame: una di base, cucita in lana, ed una trama supplementare policroma, cucita in seta, lana e cotone. L’eccezionalità di questo manufatto è data dall’inserzione di un soffice piumino fra le fibre tessili. Che, nei secoli scorsi, veniva considerato un materiale pregiato di cui si serviva la nobilità indigena per rimarcare il proprio status.

Nel percorso di mostra sono esposte anche le opere tessili dalle Collezioni di Arti e di Culture Asiatiche: dai manufatti himalayani ad una veste cinese in raso di seta databile alla dinastia Qing (1644-1911). In quest’ultimo manufatto, come ha spiegato uno dei curatori, i disegni tessuti nella veste rappresentano il ciclo delle stagioni. Tramite l’uso simbolico di alcuni alberi, tra cui l’acero, il pino e il pesco. Sono rappresentate le foglie rosse dell’acero in autunno, che, invece, assumono il colore giallo o verde durante l’estate. Il pino, i cui aghi cadono in abbondanza alla fine dell’autunno. Ed infine sono rappresentate le gemme dei fiori di pesco che annunciano l’arrivo della primavera.

Visione simbolica dell’universo

Si tratta di immagini semplici, che ci suggeriscono l’importanza attribuita dai popoli alla tecnica tessile, i cui prodotti non sono riducibili all’elemento di mera funzionalità, tutt’altro: il tessuto è il palinsesto su cui iscrivono questioni legate alla praticità della vita, ma soprattutto è la testimonianza dell’attività mitopoietica degli uomini, che da secoli elaborano una visione simbolica dell’universo. Nello specifico di questa veste, la rappresentazione della tartaruga imperiale è il simbolo -presso i popoli asiatici- di equilibrio e stabilità. In riferimento al tempo ciclico della natura e della vita stessa.

 

Camicia di corteccia d’albero ornata a strisce di color rossiccio, XIX secolo Ecuador corteccia d’albero collezione Museo delle Civiltà, Roma, n. inv. 3318

L’immersione in questo percorso espositivo si concretizza nella possibilità di un dialogo, reso possibile dai curatori, tra passato e presente. E ci permette di fare luce su tecniche tessili antiche, che, tuttavia rivendicano con vigore la propria attualità, in quanto portavoce del carattere autentico dei popoli del mondo.

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