A pochi chilometri dal centro di São Paulo c’è una dimora che da poco più di un anno ha riattualizzato il proprio concetto di “residenza”: è Domo Damo, progetto che vive negli spazi della prima architettura brutalista di Paulo Mendes da Rocha. Commissionata, ai tempi, da un italiano…
C’era una volta Gaetano Miani, artista nato in Sicilia negli anni ’20 che, ben giovane, si trasferì a Milano per studiare sotto la guida di Aldo Carpi all’Accademia di Brera. Gli anni difficili della Seconda Guerra Mondiale li trascorse in Italia, ma dal 1947 anche Miani divenne uno degli “italiani diasporici” che lasciarono il Belpaese per l’America del Sud, precisamente per il Brasile, dove realizzò gli affreschi della Basílica de Nossa Senhora do Carmo a Campinas, quelli della cattedrale di Taubaté e decorò gli interni del Palácio da Fazenda, a San Paolo, tra gli altri incarichi. Amico prossimo di Pietro Maria Bardi, Miani insegnò pittura e disegno nei corsi del MASP e alla Fondazione Armando Álvares Penteado.
Questa, però, non è esattamente la storia di Miani, anche se il risultato è in parte merito suo: nel 1962, infatti, l’artista commissionò al grande architetto Paulo Mendes da Rocha la costruzione della propria dimora in zona Granja Julieta, a sud del centro di São Paulo: una villa brutalista con piscina, tre camere da letto e una vastissima area al piano terra affacciata su un giardino di mille metri quadrati che, nelle idee di Miani, doveva essere il proprio atelier. La casa, inoltre, è nientemeno che il primo esempio “brutalista” di Mendes da Rocha.
Il destino volle, però, che la dimora fosse consegnata esattamente durante lo scoppio della dittatura in Brasile, nel 1964, quando Miani decise di ritornare in Italia, a Roma, senza mai riuscire a vivere in quella che oggi è diventata la Domo Damo, casa dell’amore in esperanto.
A creare questa residenza molto speciale (che funziona solo su invito), riscattando dall’oblio un capolavoro architettonico che quasi nessuno al di fuori di una piccola cerchia di addetti ai lavori conosceva, ospitando artisti gratuitamente per un periodo di novanta giorni che occupano gli spazi della casa come studio, è stato il collezionista di origine francese David Laloum, fondatore di Distrito, azienda focalizzata sulle tecnologie emergenti, e di United Creators, società di comunicazione. Da quando Laloum ha comprato la casa di Mendes da Rocha, Laloum non vi ha mai abitato, ma l’ha adibita a spazio per la creazione emergente.
Con una caratteristica: tutto è rimasto come allora, conforme al progetto dell’architetto, dalla cucina al giardino, passando per gli ambienti comuni e quelli di servizio. L’unica aggiunta alla casa è uno spazio per pittori ricavato a lato della villa, “per chi ha bisogno di maggiore concentrazione o utilizza materiali che possono incomodare gli altri ospiti”, racconta Stephanie Guarido, project manager della residenza.
Laloum, tra i fondatori di quello che fu il Bar Secreto di San Paolo, locale che ospitò nella prima decade degli anni 2000 anche Madonna e Bono Vox, e della galleria losangelina M+B che nel 2023 ha aperto un suo avamposto anche a Milano, in corso Magenta, ha dichiarato che Domo Damo è un investimento nel potenziale di artisti che possano produrre con meno limitazioni di spazio, materiale o tempo, dove le esperienze degli incontri, con il luogo e con il pubblico – nonostante Domo Damo non sia aperto alle visite – possano aiutare a concretizzare quello che magari tra 20 o 30 anni sarà identificato come un “nuovo percorso” dell’arte brasiliana: “La nostra casa cerca, con la sua giovane esistenza, di dare un piccolo contributo come piattaforma per potenziare artisti, partendo dalla costruzione di narrazioni, immaginando di portare prospettive che saranno sinonimo di una nuova generazione”.
Tra gli ultimi artisti che hanno avuto la possibilità di passare un periodo di residenza nella Domo Damo c’è Mateus Moreira, pittore di base a Belo Horizonte che nella casa ha passato gli ultimi tre mesi e, entusiasta, ci racconta di come questa esperienza abbia cambiato il suo modo di lavorare: “Ho iniziato a interessarmi a una palette più luminosa, con tonalità più vivaci: mi rendo conto che nuove mescolanze sono arrivate dopo questo soggiorno. Anche le composizioni sono cambiate e associo molto questi cambiamenti all’architettura di questo spazio. La presenza della natura del giardino e l’equilibrio del cemento della casa, il clima che cambia quotidianamente, un insieme di fattori ha suscitato rotture e scoperte: la principale sensazione è di espansione, movimento, sviluppo”.
E a proposito di sviluppo: “Domo Damo nasce dalla volontà di creare un’oasi per artisti, un luogo dove si crea e si congiunge in un tempo differente, più lento, con più spazio fisico e mentale. In un tempo dove la materialità ha meno limiti e più possibilità. Dove l’immaterialità si unisce al pensiero, al processo, alla produzione”, spiegano gli organizzatori.
E ancora: “Il progetto inizia con un’intenzione, andando oltre un luogo, attraversando origini, idee e storie. Costruendo ponti, generando esperienze, vite, idee e visioni, ma anche condividendo conoscenze e tecniche. […] Condividiamo l’idea di sostenere, incubare, integrare e aiutare a rivelare talenti a volte dimenticati, nascosti o ancora in sviluppo, partendo dal presupposto che le strutture sia pubbliche che private non riescono sempre a tenere il passo o a promuovere questi artisti con lo stesso focus. […]” – spiega Laloum. “La nostra intenzione è pensare a come una casa sia una materializzazione di ciò che va oltre la sua struttura, ma di ciò che esiste nei suoi abitanti, nella possibilità che entrambi hanno di coniugarsi a partire dalle proprie narrazioni, sembra allinearsi con l’idea della nostra residenza. Costruendo, nei prossimi anni, un luogo con amore per le persone, credendo nell’arte e nella vita come dono e necessità, in un luogo di comprensione e trasformazione”.