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L’osservatorio del presente. L’arte italiana tra le due guerre, l’estetica della deformazione

Mario Mafai Tramonto sul lungotevere,1929 olio su compensato, cm 41,3x50,8 Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano
Mario Mafai, Le case del Foro Traiano, 1930 olio su tavola, cm 40×50 Roma, Galleria d’Arte Moderna
“L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano”, riunisce alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma 130 opere di artisti italiani attivi tra le due guerre, per tracciare una panoramica originale, e a tratti sorprendente, dell’altra faccia dell’arte ufficiale negli anni del regime

“Un’arte eccentrica e originale”. Così Roberto Longhi nel 1929 aveva definito la “Scuola di Via Cavour” in un articolo su L’Italia Letteraria, destinato a far emergere i talenti di giovani artisti come Mario Mafai, Antonietta Raphael, Marino Mazzacurati e Gino Bonichi, in arte Scipione. Ed è proprio dalle sulfuree opere di Scipione che prende le mosse una delle mostre più interessanti dell’estate: intitolata “L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano”, riunisce alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma 130 opere di artisti italiani attivi tra le due guerre, per tracciare una panoramica originale, e a tratti sorprendente, dell’altra faccia dell’arte ufficiale negli anni del regime. Promossa dal Comune di Roma in collaborazione con la collezione Giuseppe Iannaccone e curata da Arianna Angelelli, Daniele Fenaroli e Daniela Vasta, la rassegna rappresenta un ottimo esempio di proficuo confronto tra opere conservate in musei pubblici e raccolte private. La prima sezione della mostra è forse la più spettacolare, dedicata alla Roma tra le due guerre, si apre con le opere di Scipione, tra le quali spicca Il cardinal decano (1930), accompagnato da altri 7 dipinti, come l’intenso Autoritratto (1930) e La via che porta a San Pietro (1930) e 11 disegni, caratterizzati da un tratto nervoso e drammatico. La forza dirompente e innovativa di Scipione può essere paragonata a quella di un Caravaggio del Novecento, a confronto con le opere di Mario Mafai e Antonietta Raphael come Demolizione di via Giulia (1936) o Autoritratto con lettera (1942). Un altro outsider è Fausto Pirandello, qui rappresentato da 13 opere, tra olii e carte: capolavori come Composizione (siesta rustica) (1925-26) dagli intensi e spiazzanti cromatismi, La spiaggia (1940) o Paesaggio romano (1935-38), insieme a Figura meravigliata (1934), dal carattere più intimo e sognante, che dialoga alla perfezione con un gruppo di tre pastelli su carta, dove l’artista ha tratteggiato volti dai tratti molto accentuati, simili ai visi di Egon Schiele, Otto Dix o Christian Schad.

Arnaldo Badodi, Caffè, 1940 olio su compensato, cm 48×58 Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano

La seconda sezione della mostra, dedicata al gruppo dei “Sei di Torino” (1929-1931), presenta un gruppo di opere meno omogenee ma interessanti, caratterizzate da cromatismi più tenui e soffusi, dove spiccano i ritratti di Francesco Menzio, il Nudo sdraiato (1934) di Carlo Levi ma soprattutto Colosseo (1927-35) di Emilio Sobrero: una delle visioni più romantiche e originali del celebre monumento.

Emilio Sobrero Colosseo, 1927-1935 olio su tela, cm 68×89 Roma, Galleria d’Arte Moderna

L’ultima parte della rassegna è una panoramica della scena milanese, incentrata sull’esperienza della rivista Corrente, fondata da Edoardo Persico nel 1938 e pubblicata fino al 1940, che riuniva intorno alla redazione artisti legati a ricerche stilistiche diverse e assai eterogenee, più vicine alla vita reale e meno alle atmosfere sospese della Scuola Romana. Fedeli al pensiero di Corrente, legato all’idea di “parlare alla gente di cose vive”, ognuno degli artisti in mostra esprime una ricerca individuale, creando una visuale diseguale ma stimolante. Ottima la selezione delle opere di Renato Guttuso, tra le quali spiccano Autoritratto (1937) e Ritratto di Mario Alicata (1940), in dialogo con i dipinti fiabeschi e ludici di Arnaldo Badodi (Il Circo, 1939 e Ballerine, 1938).

Emilio Vedova Il caffeuccio veneziano, 1942 olio su tela, 43,2×55 cm Photo: Studio Vandrasch Courtesy Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano

Una sorpresa il piccolo ma intenso Il caffeuccio veneziano (1942) di Emilio Vedova e anche Natura morta con bucranio (1942): ottima prova di un giovane ma talentuoso Ennio Morlotti, mentre non si può dimenticare l’eleganza rarefatta del Nudo in piedi (1939), delicata scultura in gesso dipinto di Lucio Fontana. La rassegna si conclude in una sala con opere di Renato Birolli e Aligi Sassu dai colori forti e squillanti, stemperati dai ritratti di Ernesto Treccani e Bruno Cassinari e dalle sculture di Nino Franchina, Giacomo Manzù e Filippo Tallone, esposte al centro dell’ambiente. Da segnalare infine la presenza di un apposito percorso dedicato a persone con disabilità visiva, predisposto dalla Sovrintendenza Capitolina, che costituisce un ulteriore merito di una mostra da non mancare, per rigore espositivo e qualità di opere.

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