Dopo un restauro durato 14 mesi, Il giudizio di Paride (1632-5) di Peter Paul Rubens torna in esposizione alla National Gallery di Londra.
Dipinta nell’ultimo decennio della vita di Rubens, quando era all’apice dei suoi poteri, si tratta di una delle opere più importanti e conosciute dell’artista. Il Giudizio di Paride mostra il momento in cui Paride è chiamato a scegliere chi tra le dee Venere, Minerva e Giunone sia la più bella. La scelta, come ci racconta l’Iliade, ricadde su Venere, che gli concesse così l’amore della donna più attraente del mondo. La dea dell’amore aiutò quindi Paride a rapire Elena, moglie di Menelao, re di Sparta, scatenando di fatto la guerra di Troia. Un tema ricorrente nell’arte, su cui lo stesso Rubens tornò a più riprese, ma mai con lo stesso eccezionale risultato della tela appena restaurata dalla National Gallery.
Il trattamento conservativo ha visto la rimozione e sostituzione delle vernici scolorite, oltre che un’analisi – condotta tramite spettrografie a infrarossi e fluorescenze a raggi X – dei vari interventi e modifiche che la composizione ha subito nel corso dei secoli, sia da parte di Rubens che dai restauratori successivamente hanno lavorato sul quadro. Tra gli interventi più ingerenti c’è però quello operato da Rubens stesso, che che aggiunse alla struttura fisica del suo dipinto sei tavole orizzontali (una alla base e cinque ai lati), per estendere le dimensioni del pannello e consentire più spazio attorno alle figure.
La più significativa, tra quelle postume, è risultata essere quella condotta tra il 1676 e il 1721 da un artista francese – il dipinto arrivò in Gran Bretagna nel 1792 e fu acquisito dalla National Gallery nel 1844 – impiegato dal duca di Richelieu o dal duca d’Orléans. Il pittore in questione ha abilmente temperato gli aspetti erotici e voyeuristici della scena, senza però nascondere la nudità delle tre dee. Ma non solo: le gambe, i piedi e le vesti delle dee furono alterati; il collo del pavone, ora piegato per sibilare al cane da pastore, era originariamente eretto. Se Rubens aveva dipinto un putto che volava sopra la testa di Venere, un secondo putto nell’angolo in basso a sinistra dell’immagine e un terzo che dava il cambio a Minerva, successivi interventi eliminarono quest’ultimo e trasformarono il secondo in un cupido aggiungendogli le ali. Anche le posizioni di Paride e Mercurio furono modificate in Francia: nelle posture originali di Rubens, la gamba destra di Paride era sollevata, la gamba sinistra più in avanti e la sua mano stringeva la mela d’oro in grembo. Quel pomo della discordia con cui scelse Venere.
La versione francese, per intenderci, è stata quella che ha infine prevalso, con i restauratori della National Gallery che hanno riportato Il giudizio di Paride a quello stato di cose, eliminando degli interventi successivi che avevano alterato la scena e ripristinando così l’equilibrio e la coerenza del dipinto. Sono stati inoltre eseguiti importanti lavori strutturali per stabilizzare il pannello in rovere, sostituendo i listelli verticali con coppie di listelli più sottili che consentissero un certo grado di flessibilità per evitare future spaccature, invece di sostituire completamente l’intera struttura.
Infine, il dipinto è stato dotato di un’antica cornice francese Luigi XIV della fine del XVII secolo, acquistata dalla National Gallery appositamente per Il Giudizio di Paride. Una scelta dettata dal luogo di rinascita del dipinto, la Francia appunto, e dalla volontà di armonizzare il quadro con la maggior parte dei dipinti di Rubens conservati nel Museo, che presentano prevalentemente cornici realizzate in Francia nel XVIII secolo.