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I colori sono solo dei nomi

Vassily Kandinskij, Giallo, rosso, blu, olio su tela, 1925
Vassily Kandinskij, Giallo, rosso, blu, olio su tela, 1925

Un’ode alla sinestesia tra figura retorica e condizione neurologica, partendo da Baudelaire, passando per Kandinskij e arrivando fino a un grande artista italiano: Luigi Veronesi.

Ragazzi, diciamocelo chiaramente: il martedì è blu. E guai a chi pensa che il mercoledì possa essere di un altro colore che non sia il rosso, o che il giovedì non abbia quell’incredibile tonalità verde scuro. Per tutta la vita, o almeno da che ho ricordo, i giorni della settimana si sono spartiti in maniera organizzata la tavolozza dei colori. Il lunedì è giallo, mentre il venerdì marrone, se ve lo steste chiedendo. Il week end? Totalmente bianco. Quale sia l’origine di questa cromatica divisione non sono mai riuscito a capirlo. Forse un qualche calendario visto all’asilo?

Oppure una strana filastrocca andata perduta, chi lo sa. Ma, perché no, potrei anche essere affetto da una perpetua neurologica condizione di sinestesia. Una strana contaminazione di sensi, che ha dato anche il nome alla figura retorica, per cui una stimolazione proveniente da una prima via cognitiva induce un’esperienza, automatica e involontaria, in un secondo percorso sensoriale. Che si tratta di un’esperienza straordinaria ci erano già arrivati i poeti simbolisti, nell’800, ancora prima che le neuroscienze nascessero e potessero certificare a livello medico tale fenomeno. Baudelaire, solo per fare un esempio, ne fece largo e ampio uso.

Qui un caso a mio parere significativo:

[…] Un’armonia troppo profonda
al corpo grazioso presiede,
sicché l’analisi è infeconda:
gli svariati accordi non vede.

In mistico vortice fusi
sono tutti i miei sensi in uno:
il suo respiro è per me musica,
la sua voce è per me profumo.

Charles Baudelaire, I fiori del male, Tutta intera

Luigi Veronesi, Visualizzazione cromatica delle misure dalla 1 alla 84 del Contrapunctus II a quattro voci in re minore da l'arte della fuga BWV 1080 di Johann Sebastian Bach, 1970
Luigi Veronesi, Visualizzazione cromatica delle misure dalla 1 alla 84 del Contrapunctus II a quattro voci in re minore da l’arte della fuga BWV 1080 di Johann Sebastian Bach, 1970

La sua voce è per me profumo. Cosa vuol dire? Non lo so, ma nemmeno mi interessa: il significato è superfluo. La logica è relativa in questa faccenda. Quando ci lasciamo coinvolgere dalla sinestesia, cediamo le redini della ragione a un’indecifrabile flusso che si incanala negli anfratti del nostro cervello senza un apparente criterio. Si rimane ammaliati da una suggestione indistinta, un’immagine fumosa, una descrizione irriducibile. È difficile, per quanto la percepiamo intensa, definire i caratteri di questa evocata sensazione. E questo quando facciamo riferimento alla figura retorica, figuriamoci cosa dev’essere esperire neurologicamente un evento sinestetico.
Appare veramente complesso per chi non percepisce questi fenomeni capirli appieno. Solo il 4% della popolazione vive esperienze sinestetiche pure – associando suoni a colori, grafemi a colori, odori a colori (solo per rimanere nell’ambito della cromia). E io non sono tra questi.

Anche chi non appartiene a questa cerchia, la sinestesia esercita su di noi un’enorme suggestione. Non a caso sono molti gli artisti che nella storia ne hanno fatto ricorso. Uno stimolo per produrre le loro opere, ma anche forza evocativa per chi sarebbe andato a goderne.
Oltre al già citato Baudelaire, un altro caso estremamente noto è quello di Kandinskij. Il pittore affermava di poter sentire le voci dei colori, come ha raccontato ne Lo spirito nell’arte. Del resto, è a questa sua spontanea associazione che dobbiamo la nascita dell’astrattismo. A certificare la bontà del suo sentire ci sono i vari scritti in cui ha dettagliato questo mistico rapporto. Teorie che il nostro comune percepire non può afferrare appieno. D’altra parte, l’apprezzamento che il pittore ancora riscuote testimonia la validità della sua ricerca e il coinvolgimento che a distanza di decenni ancora suscita.

LUIGI VERONESI, Studio, 1969-70, collage, acquarello e china su cartoncino, 36,5x51 cm
LUIGI VERONESI, Studio, 1969-70, collage, acquarello e china su cartoncino, 36,5×51 cm

Per provare a sviscerare le confuse emozioni che questo fenomeno genera, il Centre Pompidou di Parigi e Google Arts + Culture hanno messo a disposizione Play a Kandinskij, grazie al quale gli utenti possono “riprodurre” il capolavoro astratto Yellow-Red-Blue (1925). Il programma utilizza l’apprendimento automatico e le ampie teorie sui colori di Kandinskij per creare un’esperienza interattiva volta a interpretare ciò che il pittore potrebbe aver sentito quando lavorava o guardava questo dipinto. Una sinestesia illustrata, l’occasione di penetrarne gli oscuri meccanismi.

Un tentativo analogo è quello portato avanti, lungo tutto il suo percorso artistico, da Luigi Veronesi (Milano, 1908-1998). Il pittore ha realizzato un vero e proprio dizionario che associa ad ogni nota una precisa tonalità cromatica. Un sistema di trasposizione attraverso cui l’artista ha dipinto le visualizzazioni cromatiche, nucleo centrale della sua produzione. A chi è in grado di leggere il suo sistema, le opere rivelano l’intero evolversi del brano: le due linee superiori rappresentano le note da eseguire con la mano sinistra, le due inferiori quelle da eseguire con la destra. Gli spazi neri sono le pause. Una sorta di partitura alternativa, dove in luogo dei segni grafici del pentagramma, delle note e delle pause, sono utilizzati rettangoli colorati. In questo modo i dipinti – realizzati applicando sezioni colorate agli sfondi – offrono una comprensione immediata e istantanea della struttura ritmica di un brano.

Vasily Kandinsky, Circles in a Circle, 1923, Oil on canvas, 98.7 x 95.6 cm © Courtesy of the Philadelphia Museum of Art

Lodevoli sforzi di rendere esplicito, anche a chi è estraneo ai fenomeni sinestetici, la loro indiscutibile esistenza. Però, come già detto in precedenza, ai fini dell’esperienza sinestetica poco conta la ragione per cui la lettera B odora di violetta o il numero 4 appare sempre celeste. L’importante è che questo accade. Ma, ancora di più, è importante sapere che può succedere. La sinestesia è affascinante in quanto misteriosa, per certi versi irraggiungibile, in qualche modo ancestrale. Ci attrae perché confusa, miscelata, caoticamente piena. Ci permette, mischiandoli, di superare la linearità dei nostri sensi per raggiungere percezioni nuove. La sinestesia sfida i confini di olfatto, tatto, udito, gusto e vista, li strappa e li ricompone in soluzioni inaspettate. Incomprensibili e per questo meravigliose.

Se l’arte suggerisce aromi sinestetici, dobbiamo respirare a pieni polmoni le sue melodie spezzate, apprezzare i frammenti di carezze interrotte e stimoli dispersi, stupirci di lontani ricordi di colpo attuali, goderci immagini confuse, visioni che non possono verificarsi ma che un tempo, da qualche parte, pur devono essere state.

Esiste un momento del mondo molto profondo dove indistinti abitavano i sensi? È a questa mitologica golden age del percepire che la sinestesia anela: un momento ancestrale dove tutto ancora galleggiava in un’unità piena, realizzata, perfetta. In questo spazio l’odore ha la stessa natura di un suono, è possibile toccare i gusti e annusare un’immagine. Tutto appare come una densa nebulosa dove ogni sentire è illimitato. Ricordate la poesia di Baudelaire? Un’armonia troppo profonda affinché si possano distinguere i singoli accordi, tutto è fuso in un mistico vortice. Non ci sono differenze, categorizzazioni, limiti, canali, definizioni, percorsi tracciati. Districarsi con la ragione non ha utilità. Non ci sono appigli, nomi con cui indicare, con cui costringere, con cui domare e organizzare. È il territorio del più istintuale e puro percepire. All’alba della sensazione c’è tutto, c’è niente, ogni cosa è possibile.

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