Chiara Dynys si racconta prendendo spunto dalla mostra “Lo Stile”, in corso a Venezia alla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro
“Cosa io prediligo esprimere attraverso il mio linguaggio? Un’idea di passaggio. Opere diverse tra loro, anche per i materiali usati, ma accomunate dall’idea del passaggio, del cono ottico, dell’attraversamento. Ti fanno accedere a un percorso, dov’è un focus da individuare. Concetto espresso più direttamente dall’idea di soglia da varcare, anche fisicamente, oltre che mentalmente…”. Con queste parole l’artista Chiara Dynys introduce i temi al centro della sua mostra “Lo Stile”, curata – fino al 25 settembre – da Chiara Squarcina, Alessandro Castiglioni ed Elisabetta Barisoni nelle Sale Dom Pérignon di Ca’ Pesaro. “Il titolo Lo stile? Ha questa valenza di descrivere la mia posizione eretica nei confronti dello ‘stile’, che io con il mio percorso in qualche maniera rinnego. Quello che invece non rinnego è il perseguire un linguaggio, che è un minimo comune denominatore che abbraccia tutta la mia produzione”.
Come si inserisce in questo il dialogo con Mondrian che tu instauri in questa mostra?
In questa mostra, più che instaurare un dialogo con Mondrian, che è un archetipo straordinario, dialogo con il Neoplasticismo: movimento che ha dettato dei parametri, che erano quelli del rigore, della leggerezza, del perseguire un certo tipo di geometria. Io sono partita dalla costruzione di questo grande lavoro, che certamente ricorda la composizione di quei grandissimi autori: ma che tanti nei materiali quanto nella modalità di presentazione, la contraddice. Piuttosto che la leggerezza, ho utilizzato un importante solido, costruito con la pietra vulcanica. Un lavoro eretico: pesante oltre 300 chili, sostenuto da spessi ferri. Un grande monolite, con l’impatto di una pala d’altare, per la mia visione. Una rappresentazione del mio percorso, che qui diventa una demistificazione di un movimento coordinato…
La scelta dei materiali ha un ruolo centrale nel tuo lavoro. Come procedi, nell’ottica del risultato che ti proponi?
C’è un’idea, un concetto. Da cosa partono? O da una lettura, o da una mia riflessione filosofica, per me sono importanti personaggi come Adorno, come Hegel, anche per le loro contrapposizioni. Da piccola mi sono nutrita molto di cinema, grazie a mia madre critica cinematografica, ad esempio ho amato fin da bambina Bunuel… L’ispirazione per l’opera a cui sto lavorando ora, una di quelle che prossimamente sarà esposta alla galleria Building di Milano, mi è venuta da un’opera particolare di Bram Stoker, l’autore di Dracula. Una lamiera incisa, tagliata come ci si potrebbe tagliare la pelle. Ma piuttosto che sangue, da questa incisione esce un diverso liquido rosso…
Altro elemento che impatta nel tuo lavoro è spesso il rapporto con lo spazio. Come l’hai modulato nella mostra di Ca’ Pesaro?
A Ca’ Pesaro avevo a disposizione due stanze: in una ho pensato di presentare accanto all’opera che si oppone allla visione del Neoplasticismo una serie di libri in metacrilato che riportano concetti contrapposti legati al tema dello stile, o alla negazione dello stile. Ma volevo fosse anche un lavoro di sospensione, con libri che – in qualche maniera – danzassero. C’è una grande attenzione ai colori. Per la seconda stanza ho presentato una porta, elemento che ho utilizzato spesso anche in altre esposizioni, associata a delle onde gravitazionali per le quali mi sono ispirata alla teoria dei buchi bianchi proposta da Carlo Rovelli.
Il contesto di questa mostra è comunque quello della Biennale Arti Visive. Per te questo ha una valenza particolare?
Io mi sento molto legata ai temi di questa edizione della Biennale, per certi versi li avevo anticipati molti anni fa, prima del Covid, con il mio lavoro su Sabra e Shatila. Ho lavorato molto sul binomio nord e sud del mondo, sulle migrazioni, sull’accoglienza. Ho fatto anche un film sulla condizione dei ragazzi destinati alla guerra, e sul loro desiderio di sfuggire a questo destino…
Ci puoi anticipare qualcosa sui nuovi progetti ai quali stai lavorando?
Accennavo alla galleria Building di Milano: qui farò un progetto che riunisce lavori di varie epoche, raccolti dal titolo Atlas, strutturato su dodici vetrine ognuna delle quali sarà in mostra per un mese. Una sorta di antologica presentata per successivi step. Poi parteciperò ad una mostra sul libro alla Galleria Tornabuoni a Parigi, con artisti come Kiefer e Agnetti tra gli altri. E posso anticipare che la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma allestirà un’intera sala donata dalla Galleria Building con le 7 porte in fusione di vetro di 7 colori simbolici prodotte a Murano alla Vetreria Berengo. Una delle porte èra stata esposta a Glasstress durante la Biennale del 2022, un’altra a Villa Panza di Biumo e una alla Building e tutte e 7 all’Aeroporto Malpensa. Sarà una sala di grande impatto.