
L’artista Marcella Vanzo analizza per ArtsLife una delle mostre più incredibili e controverse di questa stagione: “Monte di Pietà” dell’artista svizzero Christoph Büchel, alla Fondazione Prada di Venezia
Bene. Ora che sappiamo che per epater les bourgeois ci vogliono le cantine in grande stile, che cosa sappiamo in più di noi? Una valanga di spazzatura, spazzatura che ammassata e raccontata e validata, diventa alta cultura. Bene.
Così politico, mi dice un’artista tedesca e quando le faccio notare i milioni investiti da Prada in questa operazione, mi dice così ipocrita. Dove sta il confine tra avere moltissimo a disposizione e poco niente? Nel volume della spazzatura, che abbiamo tutti a disposizione e nel volume e la qualità degli spazi espositivi.
L’arte è l’ennesima spazzatura?
Che l’arte sia già spazzatura e manchi completamente di sostenibilità?
Che la gente fotografi con la stessa sorpresa e dedizioni le opere uniche esibite per la prima volta alla Biennale e la spazza di Buechel, così ben mostrata e raccontata?
Vediamo.
Contenere il presente. È questo che fa l’arte? Certo, c’è addirittura lo schermo di un computer collegato a una telecamera che riprende il confine occidentale di Israele con il Libano e una del confine con Gaza. La data è del 13 settembre e oggi è il 28, quindi con qualche gg di ritardo possiamo seguire i bombardamenti quasi in diretta.
C’è uno stanzino poi che assomiglia molto al seminterrato in cui dormono gli operai del Bangladesh sotto al pianterreno di casa mia all’isola. Qui c’è una cyclette e una tv accesa da cui un venditore indiavolato, tenta di vendere un Turcato – truccato? – a 14.000 euro.
Proseguiamo.

In una stanza da letto modello airbnb, troviamo un pasto take-away avanzato che dall’assenza di odore potrebbe essere finto o molto ben sciacquato.
C’è la reginadeschei di IG che in veneziano racconta semiseriamente la sua città. Un’invenzione di Christoph Büchel – e dopo l’apparizione in questa mostra aumenterà vorticosamente i suoi followers. Quanto lavoro! Nessun aspetto è rimasto impensato.
La gente sorride compiaciuta, che operazione, la realtà di la e di qua, la confusione ci arride e quando viene mostrata così non può che avallare la nostra weltanschaung, o quella dell’artista, o di Prada?
Una favolosa operazione artistica, piuttosto che un’opera d’arte. E le sue opere ridotte a diamanti racchiuse in un’unica valigia, in vendita anche quella
Il primo diamante fatto con la sua merda.
Poi la, anzi le, merde d’artista di Manzoni esposte accanto. Originali, prestate da diverse collezioni mi dicono.
Büchel ha costellato tutto il piano nobile di opere d’arte, Yves Klein, Herbert Diestel e vari altri, sornione, pazienti e quasi invisibili all’occhio frettoloso, ma ben catalogate all’interno del Bollettino delle Aste giudiziarie – fittizio – che riepiloga tutta la merce pazientemente raccattata, catalogata ed esposta al piano nella sala centrale del banco pegni.

Büchel ha fatto riprodurre le stanze pre-esistenti, i banchi del deposito pegni e ci fa muovere in una surrealtà fatta di memoria, ricordo e desiderio, all’interno di un palazzo anch’esso in vendita o in affitto, al miglior offerente. Questo è il catalogo del mondo ad oggi, qui si fluttua in continuazione tra debito e credito, tra posso e non posso.
La novità interessante di questa mostra è che ci si può sedere dappertutto: divani, letti, poltrone, panchine e si può persino ascoltare la Traviata all’impazzata.
Mancano persone in mostra qui dentro, se si eccettuano i visitatori e le guide e le guardie.
Mancano le persone vere e proprie, diciamolo ad alta voce, le persone qualsiasi che per un mondo così, o trai suoi avanzi, circolano o circolerebbero.
Qui dentro ci sono solo WEIRDos o secondo la definizione di Ellen Dissanayake Western Educated Industrialized Rich Democratic people, come quella che sta scrivendo e come voi che leggete. Che si fa, apriamo senza biglietto?