Come funziona il padiglione Croazia? Tutto gira intorno al fatto che la consegna delle opere avviene tramite mezzi “non convenzionali”: per realizzarlo ti sei affidata alle persone e alla loro disponibilità a partecipare.
Gli artisti partecipanti devono trovare qualcuno diretto a Venezia e chiedergli di consegnare a mano l’opera al padiglione; per ogni opera che ricevo, in cambio invio un mio lavoro realizzato durante la permanenza in Biennale, che verrà a sua volta consegnato tramite conoscenti diretti nelle città dove vivono gli artisti. Ci sono molte persone coinvolte disposte ad improvvisarsi corrieri per la buona riuscita del progetto, e non esagero quando dico che quasi ogni giorno ci sono visitatori che si rendono disponibili per trasportare un’opera. È estremamente incoraggiante assistere a tutto ciò.
Come hai scelto gli artisti partecipanti?
Premetto che nel mio lavoro mi metto sempre delle regole, delimito il mio campo d’azione e vedo cosa posso fare entro questa cornice. In questo caso ho deciso di invitare artisti che già conoscevo e di cui avevo già il contatto email, a cui ho scritto individualmente. All’inizio erano circa 150 persone, poi gli artisti a cui ho scritto hanno iniziato a suggerire altri artisti, così ho rotto la regola iniziale e la rete è cresciuta. Ad oggi sono circa 250 gli artisti che hanno accettato di partecipare.
E com’è stato infrangere la regola che ti eri posta?
In realtà mi piace lavorare creando sistemi di regole strutturati in modo tale da rimanere sempre aperti alla possibilità di cambiamento, all’improvvisazione, alla sorpresa e al gioco. Ci sono aspetti definiti e altri che sono deliberatamente indefiniti. Sono una grande fan del “vediamo cosa succede”, ma devo dire che invitare amici di amici non è un vero e proprio strappo alla regola: ho sempre fantasticato sull’allargare il gruppo iniziale.
Ho l’impressione che l’esperienza che hai vissuto alle scuole superiori abbia in qualche modo impostato questa tua mentalità di avere sì delle regole, ma aperte alla possibilità e al cambiamento.
È bello che tu lo dica, non è una cosa scontata. Credo che a un certo punto della vita si decide di vivere lasciando aperta la porta alle cose perché accadano senza che ci sia un piano. Mi è capitato di trovarmi in momenti in cui è successo qualcosa di inaspettato, come capita a tutti, ed è lì che si decide se ci si vuole aprire alla possibilità che le cose vadano diversamente da come ci si aspettava. È bello che ci sia una scelta, non sempre c’è, ma in ogni caso ci si aggiusta, riposiziona, resetta e si va avanti.
Da progetto, gli espositori non dovevano essere completamente pieni al momento dell’inaugurazione. Com’è stato aprire un padiglione incompleto?
Spaventoso ed eccitante. Sono sempre stata attratta dalle mostre che inaugurano incomplete, che cambiano nel corso del loro svolgimento. La natura del mio progetto è quella di essere un processo, e la sua realizzazione dipende molto dagli artisti invitati, ci sono molte incognite: gli artisti realizzeranno le opere? Troveranno qualcuno che le porti a Venezia? I corrieri arriveranno al padiglione con l’opera? Prima dell’inaugurazione a volte scherzavamo… e se all’inaugurazione non ci fosse nulla, solo strutture espositive vuote? La Biennale dà molta importanza alla settimana di anteprima, i giorni in cui tutti sono qui e tutto accade, poi tutti se ne vanno e rimangono le persone che gestiscono le mostre. Naturalmente non è così, ma la settimana di apertura dà questa impressione. Realizzare il Padiglione Nazionale è un momento incredibile per un artista, non lo do per scontato, e desideravo che lo slancio di quei giorni fosse significativo. Avevo una sorta di doppia attrazione, come una danza: volevo che si mostrasse il processo di 8 mesi che doveva ancora svolgersi, ma allo stesso tempo volevo un’apertura straordinaria. E così è stato!
Ho sempre pensato alla Biennale e a Venezia come a una vetrina per le arti, il punto di arrivo, non tanto un luogo di produzione, mentre questo progetto è entrambe le cose, e per me è molto interessante.
È un’ottima osservazione. Uno dei punti di partenza nella fase di ideazione era chiedermi se avessi potuto realizzare questo tipo di mostra, molto ambiziosa, coinvolgendo un gran numero di artisti che vivono in tutto il mondo ma senza generare viaggi extra, quindi in modo sostenibile. Così mi è venuta l’idea di sfruttare i processi già legati al contesto, in questo caso si tratta dei viaggi: molte persone vengono già a Venezia per la Biennale stessa o per altri motivi e ne avremmo potuto approfittarne, sfruttando a nostro vantaggio il grande problema dell’overtourism. Quando abbiamo pianificato il progetto siamo stati categorici nel dire che non avremmo generato nuove spedizioni o nuovi viaggi, ma che avremmo sfruttato quelli che sarebbero comunque avvenuti.
C’è una critica alla produzione massiva di mostre?
Sì. La realizzazione di questo tipo di mostre è una macchina enorme, molto pesante in termini di risorse e impattante in termini di emissioni di anidride carbonica. Antonia, la curatrice del nostro padiglione, a volte dice che questo progetto è una critica istituzionale non convenzionale, perché abbiamo pensato a come studiare un nuovo modello per realizzare una mostra di questa portata che aggirasse tutti quei meccanismi di gestori di opere d’arte, compagnie di trasporti, agenzie di assicurazione… e per essere esplicita, naturalmente abbiamo pensato all’emergenza climatica e all’impatto che questo tipo di mostre ha sulla città e sulla laguna, concludendo che non potevamo rimanere indifferenti. Rientra nella stessa logica anche il fatto spostare l’attenzione dalla settimana di anteprima al processo lungo 8 mesi, di cui abbiamo parlato prima: rallentare, minimizzare lo spettacolo, portare alla scala del quotidiano. Questo progetto si realizza su questo piano molto umano: le opere passano di mano in mano, e perché funzioni, richiede un’enorme quantità di fiducia da tutte le direzioni.
Fondamentalmente, ti sei fidata dell’umanità delle persone.
Vlatka Horvat è un’artista che lavora in un’ampia varietà di forme, dalla scultura, installazione, disegno, collage e fotografia per prestazioni, video, scrittura e pubblicazione. Il suo lavoro è presentato a livello internazionale in diversi contesti tra musei, gallerie, festival di teatro e danza, e in spazi pubblici. Tra le esposizioni più recenti: MSU – Museo d’Arte Contemporanea di Zagabria, PEER (Londra), Kunsthalle Wien, Padiglione Croazia alla 16a Biennale di architettura, Musei Sheffield, Theater Spektakel Zurigo, Renata Fabbri (Milano), Galleria GAEP (Bucarest), CCS – Centro per gli studi curatoriali presso il Bard College (NY), Wilfried Lentz Gallery (Rotterdam), CAPRI (Düsseldorf). Vive a Londra.