Dunque, penserete anche voi di avere il mio stesso libro, ma fin da subito vi smentisco. Un po’ come quando Montanelli scrisse che De Gasperi e Andreotti andavano insieme a messa e tutti credevano che stessero facendo la stessa cosa, ma in chiesa De Gasperi parlava con Dio, Andreotti con il prete. Allo stesso modo il mio libro è diverso dal vostro, ma cominciamo dall’inizio. Innanzitutto: al Vasari dobbiamo tutto. Con quelle vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri che sono il testo di riferimento per chi si appassiona all’arte e al suo contesto.
Giorgio, infatti, come architetto e pittore fu molto attivo e di gran successo, ma avendo cercato di compiacere il gusto dei committenti anziché provare a forzarlo, è ricordato oggi dai più per essere stato il primo storico dell’arte moderno. E in effetti non ha molto senso seguire nell’arte il gusto imperante, nonostante tale atteggiamento porti immediato lucro e un trionfo svelto, come si usa nel tempo odierno, che lo considera piuttosto un pregio. E se così va il mondo, è molto meglio concentrarsi sul Vasari più interessante, ovvero quello delle biografie redatte per artisti e architetti considerati da lui importanti, pubblicati per la prima volta nel 1550 a Firenze da Lorenzo Torrentino in due volumi, che però sono in tre parti, e che hanno dato una grande mano a tutti noi successori appassionati degli eventi artistici. L’opera fu poi rivista e ripubblicata nel 1568 sempre a Firenze ma dai fratelli Giunti, con l’inserimento di correzioni, di altre vite di autori e, soprattutto, di tantissime illustrazioni con i ritratti degli artisti incisi. Da allora nessuno osò più scrivere di Cimabue, Leonardo o Masaccio senza aver consultato prima questo testo, o menzionare termini ancor oggi consolidati quali Rinascimento, Gotico, Maniera moderna, senza almeno pensarlo. L’aretino passò inoltre alla storia con certe frasi mitiche tipo “Tu sei più tondo che l’O di Giotto” o con il “fece de la notte giorno” del Perugino. Sempre lui riservò ai fiorentini il “primato del disegno” mentre ai veneziani quello “del colore”, con una distinzione molto acuta, tutt’oggi in parte mantenuta. E ancora: rimproverò Andrea Del Sarto “per lo appetitito d’una sua donna che lo tenne sempre povero e basso” e ricordò che non troverà mai morte la fama delle opere di Michelangelo “finchè dura il mondo”. Riportò l’aneddoto di come Filippo Brunelleschi fece star ritto l’uovo schiacciando leggermente una piccola parte del guscio, togliendo impresa e primato a Cristoforo Colombo, che arrivò ottant’anni dopo almeno. Scrisse che Cosimo de’ Medici commissionò un’opera a Fra’ Filippo Lippi per casa e che lì “lo rinchiuse perchè fuori a perder tempo non andasse, ma egli statoci già due giorni, spinto dal furore amoroso, anzi bestiale, una sera con un paio di forbici fece alcune liste de’ lenzuoli del letto, e da una finestra calatosi, attese per molti giorni a’ suoi piaceri”. E disse che il Francia era d’aspetto “tanto ben proporzionato”, definì “cervello stravagante” quello del Botticelli, ricordò una frase cara al Perugino ovvero: “dopo il cattivo tempo è necessario che venga il buono”… ma adesso qui mi fermo perchè con le citazioni poi mi dilungo.
E sebbene qualcuno abbia fatto notare che numerose imperfezioni sono presenti, troppi i pettegolezzi, parecchi sono gli assenti (dimenticati o volutamente tralasciati) e che sono chiari i favoriti, Michelangelo fra tutti e i toscani più degli altri, l’opera rimane fondamentale ed è tenuta da tanti pronta all’uso, da qualcuno, come il sottoscritto, addirittura sul comodino. Del resto nell’introduzione che dedicò a una recente edizione Giovanni Previtali scrisse: “Cento, o anche solo cinquant’anni fa, ogni persona che si interessasse d’arte italiana, dilettante, storico o artista, teneva le Vite del Vasari sul comodino. Ricordo che Roberto Longhi mi raccontò che, negli anni trenta, avendo in una discussione storico-artistica fatto a un professore tedesco un’osservazione giudicata troppo elementare, si era sentito rispondere, con aria di offesa: “Ho letto il mio Vasari!”. Oggi non si può dire altrettanto”. Era la metà degli anni ottanta.
Entrambe le edizioni furono dedicate al granduca Cosimo I de’ Medici con una dedica in forma di lettera, che era la forma più diffusa sino a tutto l’Ottocento. Testualmente cito quella del ’68: ALLO ILLUSTRISSIMO ET ECCELLENTISSIMO SIGNOR COSIMO MEDICI DUCA DI FIORENZA E SIENA SIGNOR SUO OSSERVANDISSIMO, ecco dopo diciassette anni ch’io presentai quasi abbozzate a Vostra Eccellenzia Illustrissima le vite de’ più celebri pittori, scultori et architetti, che elle Vi tornano innanzi, non pure del tutto finite, ma tanto da quello che ell’erano immutate, et in guisa più adorne e ricche d’infinite opere,[…] e via di pagina in pagina fino alla fine, che si conclude il 9 gennaio con il Vasari che si definisce “Di Vostra Eccell. Illustr. obbligatissimo servitore”.
Ma andiamo per le spicce e veniamo al dunque: perché la mia edizione è migliore della vostra? Innanzitutto ho la seconda edizione e non la prima, quindi la più completa, nella quale c’è spazio anche per i veneziani e compare finalmente anche Tiziano. L’edizione poi è proprio quella originale del 1568, e il solo guardarla mi riempie gli occhi di emozione. Le correzioni alla prima edizione sono dedicate ai lettori e il Vasari fa notare che sempre mai interviene (…) per diligentissimo che l’uomo sia, in facendo qualche cosa commettere delli errori, a noi ancora non è venuto fatto meglio che alli altri. Perciò del comune errore non doverremo anco essere piu delli altri incolpati, ma piu tosto meriteremo che con la piacevolezza, e varietà di tale historia si compensasse ogni riprensione di errore in che fussimo incorsi. Alli quali non abbiamo però chiusi li occhi del tutto, ne mancato con quella diligenza, che a noi per la scarsità del tempo era possibile, notarne alcuni piu importanti, lasciati al giuditio de’ prudenti lettori gli altri che facili fussino a conoscerli, e che non impedissino di molto la cognitione della storia. Ovviamente (altrimenti non avrei scritto questa storia) la mia edizione è un’ottima copia. La rilegatura non è coeva ma non è poi così lontana e risale al 1700, del resto sono testi che venivano letti parecchio. Immagino che a rifarlo fosse stato il successivo proprietario, ovvero Charles Hamilton, nato nel 1704 e denominato “onorevole” sin dal suo primo giorno. Era infatti il figlio minore di James Hamilton, sesto Conte di Abercorn, che si iscrisse alla Christ Church di Oxford il 4 novembre 1720. Conseguì la laurea, divenne politico e rappresentò la città di Strabane alla Camera dei Comuni irlandese, tra il 1727 e il 1760, dove sedette anche per Truro. Fu membro della Royal Society e creatore di Painshill Park che fu costretto però a vendere per ritirarsi a Lansdown Hill, dove costruì una casa che esiste ancora oggi, circondata da un giardino che fa strabuzzare gli occhi. Morì proprio lì, il 18 settembre 1786, circondato da piante e fiori e dai parecchi libri collezionati che anche grazie alla sua cura ci sono fortunatamente pervenuti. Nel suo ex libris su cartiglio applicato al frontespizio, su tutti e tre i volumi, si ammira un bellissimo stemma, con le navi e i fiori, l’elmo e l’albero in su, che copre parzialmente la parola THROUGH.
Il frontespizio è in cuoio, con bordo oro, e il dorso ha decorazioni e titolo. A dire il vero il frontespizio è stato un po’ ritagliato per adattarlo alla sede e anche le pagine di tutto il volume sono state leggermente accorciate, ma il lavoro è rispettoso e nessuna componente dell’illustrazione risulta oggi mancare, anzi vi posso tranquillamente scrivere che nel complesso a lato c’è parecchio spazio e tutto risulta di buon gusto. Le pagine bianche sono rimaste all’inizio e alla fine di ogni volume, dettaglio non sempre scontato perchè la carta era preziosa e le pagine vuote venivano spesso strappate per essere riutilizzate. Assenti sono invece i temuti forellini di tarlo e particolari macchie da incubo. Il volume fu studiato a fondo dal primo proprietario, un fiorentino con un cognome tale che non sono mai riuscito a decifrare, che aggiunse numerose colte glosse tutt’ora facili da leggere. E non si limitò solo a commentare le parole del Vasari ma addirittura abbellì certe immagini con decorazioni particolari, come nel caso di alcuni contorni realizzati con scenografiche fiamme ben eseguite, e aggiunse persino il simbolo ad Albrecht Dürer, che nell’italiano arcaico veniva chiamato Alberto Duro, e tanto altro ancora. Colorò il profilò di Cimabue, ad esempio, fece correzioni là dove l’aretino non fu preciso, come quell’ “intenzione” di Donato o quel Taddeo “Pittore senese” e non “fiorentino”. Completò alcuni ritratti degli artisti dove i cammei erano vuoti, come per Antonio da Correggio o Giovanni da Ponte, che sono una sua creazione, e ne rifece altri per esercizio, come testimonia quello del Francesco Salviati con il tratto a china, eseguito da una mano a dir poco fortunata. E dopo aver diligentemente collazionato tutto il libro secondo lo schema preciso che viene riportato a un certo punto del testo e che, con pazienza, ho personalmente verificato (A, B, croce, doppia croce, tripla croce e via per tutti i fogli quaderni ad eccezione del VVV che è duerno), posso infine aggiungere che ogni pagina sfogliata emana un rancido profumo erbaceo, con punte acide e un cenno di vaniglia su un magnifico sfondo muffa.
Qualcuno ha di meglio? E nonostante sia pronto a sfidarvi con Lachmann o i metodi stemmatici, a dispetto di tutto, recensio o examinatio, sapete cos’è la cosa più importante per questo libro?
Leggerlo.
Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano), curatore (Settantaventidue, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle. IG: nicolamafessoni