Amava dire Roberto Matta che l’arte è una cosa terribilmente seria ed aveva ragione, perché quelli della sua caratura erano artisti di un certo spessore che prendevano seriamente ciò che facevano. Questa affermazione, che possiamo ritrovare in quasi tutti i testi critici, sembra suggerire che l’arte, lungi dall’essere un semplice esercizio estetico, è una forma di conoscenza, una discesa negli abissi dell’inconscio umano, dove si nascondono le più oscure verità. E sappiamo bene che i grandi lì puntano, no? Matta, in fondo, era, a pensarci bene, un archeologo dell’anima; non un pittore che si limitava a stendere colori su una tela, ma un esploratore che cercava di rappresentare quel “non visto” che abita i nostri sogni e le nostre paure.
Partendo da qui, dal 25 ottobre 2024 al 23 marzo 2025, la Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro a Venezia ospita una retrospettiva dedicata a questo gigante dell’arte del Novecento. Una figura, quella dell’artista cileno, che spesso è rimasta in ombra nel panorama artistico italiano, sebbene il suo contributo al Surrealismo e all’arte moderna sia stato monumentale. In un certo senso, il suo destino sembra rispecchiare il carattere enigmatico e poliedrico della sua produzione: difficile da afferrare, sfuggente come i suoi labirinti spaziali, eppure presente, fondamentale, ineludibile. Insomma, uno che non era di certo “mainstream”, per dirla con un termine di oggi.
Curata da Dawn Ades, Elisabetta Barisoni e Norman Rosenthal, la mostra celebra un artista che non è solo pittore, ma anche architetto del pensiero. Le sue opere non si limitano a dipingere mondi onirici; esse costruiscono universi che sfidano le leggi della fisica, della logica e persino della percezione. Si pensi, per esempio, alla monumentale Coïgitum (1972), una tela di oltre 10 metri che ingloba architettura non euclidea e immaginario surrealista, come un gigantesco diagramma che vuole rappresentare il funzionamento stesso della mente umana.
C’è, in Matta, un atteggiamento che potremmo definire quasi leonardesco; non è un caso che egli stesso, con una certa ironia, amasse definirsi un ponte “da Leonardo da Vinci alla NASA”. Se per Leonardo lo studio dell’anatomia e del volo era inseparabile dall’arte, per Matta l’architettura, la fisica e la fantascienza erano elementi integranti del suo lavoro. E come Leonardo prefigurava le macchine volanti, Matta anticipava la fantascienza cinematografica, tanto da influenzare la costruzione visiva delle astronavi di Star Wars. È un caso che George Lucas, parlando di ispirazione artistica, lo citi? Non credo.
Ma non è solo il cinema a dover rendere omaggio a Matta. La direttrice di Ca’ Pesaro, Elisabetta Barisoni, ci ricorda che Matta “è un artista di collegamento, assolutamente da riscoprire”. Questa citazione ci fa riflettere su quanto il Novecento sia stato un secolo di connettori, di transiti, di traghettatori di idee che viaggiavano tra continenti, generi e discipline; Matta è stato uno di questi.
Questa retrospettiva non è solo un viaggio nel mondo visionario di Matta, ma una riscoperta di un artista il cui lavoro, oggi più che mai, si rivela profetico. In un’epoca come la nostra, in cui l’arte cerca sempre più di abbattere le barriere tra il reale e il virtuale, tra l’umano e il tecnologico, Matta ne è un precursore, un esploratore di nuovi mondi, come una sorta di Ulisse dell’arte moderna. Le sue opere ci parlano ancora, non solo come testimoni di un’epoca passata, ma come finestre aperte sul futuro. Matta, come tutti i grandi, non si limita a dipingere ciò che vede; egli ci costringe a vedere oltre. E in questo, forse, c’è una lezione che anche oggi dovremmo fare nostra: l’arte, se è davvero “una cosa terribilmente seria”, non è un semplice specchio della realtà, ma uno strumento per reinventarla.