Si è inaugurata lunedì 28 ottobre la seconda puntata della mostra dedicata all’opera di Mario Merz che ha luogo presso le sale della Fondazione Merz di Torino. La mostra procede, così, a tappe, aggiungendo via via nuove, bellissime opere nell’intento di disegnare il percorso artistico e creativo dell’artista di cui il prossimo anno si celebrerà il centenario della nascita.
Il titolo della mostra è tratto da un testo scritto dallo stesso Merz. Se la prima fase, inaugurata la scorsa primavera (ne abbiamo parlato qui) s’intitolava Qualcosa che toglie peso, ora il dire poetico dell’artista procede e si aggiungono nuove parole. Il titolo della mostra è ora Qualcosa che toglie peso, che mantiene l’assurdità e la leggerezza della favola…
Così come il titolo si compone di nuove parole, anche, e soprattutto, la mostra si arricchisce di nuove opere. Sono tre: due igloo di grandi dimensioni e un dipinto a parete su carta, anch’esso emblematicamente imponente per la sua grandezza.
Il dipinto, con colori vividi e pennellate vigorose, risale al 1983 e raffigura un geco così grande da evocare per la sua forma il celebre coccodrillo con il codice Fibonacci che sempre campeggia all’interno delle sale della Fondazione. L’animale dipinto, così come la stessa opera, secondo le parole dell’artista, letteralmente “si arrampica” sul muro. Sono parole intense, così come l’opera, tutt’altro che casuali. L’idea è che alla pittura, e all’arte in generale, sia attribuita una capacità attiva di agire, di porsi dinamicamente nei confronti della realtà, del tempo e dello spazio che la ospita. Così non è appesa la tela, o l’opera, ma si arrampica sul muro, ponendosi e imponendosi, come con un gesto personale e attivo, alla nostra presenza.
Anche i due igloo hanno dimensioni significative. Il primo, che si pone accanto a quello ricoperto di foglie d’oro già presente nella prima mostra, è del 2002 e misura 5 metri di diametro. È interamente ricoperto di pietre rosa che provengono da una cava argentina. Il secondo è posto invece nella seconda sala, poco distante dal tavolo ricoperto di cera e dalle opere a parete. Questa volta l’igloo si compone di pani appena sfornati, che emanano un poetico profumo. È il famoso Igloo del pane, realizzato per la prima volta nel settembre del 1989 in occasione della mostra personale di Merz per il Solomon R. Guggenheim Museum di New York.
Ciascun igloo si compone di materiali poveri, naturali e semplici, cose che incontriamo naturalmente nella nostra esperienza quotidiana. L’arte, lungi dall’abitare il luogo lontano e distante della malinconia delle cose perdute, assume così un ruolo completamente nuovo: è presente e viva, attinge all’esperienza del mondo e vi partecipa, ponendo al fruitore un appello impossibile da ignorare.
L’idea della “leggerezza” e dell’ “assurdità della favola” si configurano allora come azioni programmatiche, fantasiosi ma serissimi piani per il futuro: non solo quello dell’arte, ma anche il nostro. Non si tratta però di utopia, ma piuttosto dell’idea di fare arte con qualsiasi cosa, in un doppio scambio con la vita capace di trasformare entrambe, in un circolo virtuoso e dialettico che insieme rende tutto più profondo e più leggero, impalpabile e spirituale come le favole.
Il 28 ottobre sarà presentato anche il catalogo ragionato dell’opera di Mario Merz, realizzato dalla storica dell’arte Maddalena Dish. Il catalogo, che consta di 560 pagine e contiene 350 immagini, contiene un testo di Beatrice Merz. È un progetto di Fondazione Merz edito da hopefulmonsters ed è realizzato con il sostegno della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura nell’ambito del programma Italian Council 2023.
Ma le iniziative non finiscono qui. In mostra è presentato anche il video Che fare?/Mario Merz di Roberto Cuzzillo e per il mese di gennaio è prevista, in fondazione, una due giorni di incontri e convegni dedicate al Maestro torinese.