Alla fine di questa fiera – Artissima – l’opinione in prima persona, senza cravatta e senza troppi filtri, di un gallerista che da anni partecipa alla manifestazione: Nicola Mafessoni, autore de “Il sole allo zenit” e fondatore di Loom Gallery
Avere una galleria significa dover partecipare alle fiere, tappa obbligatoria, secondo l’opinione comune. In realtà io le fiere le sopporto poco e anni fa ho addirittura discusso educatamente con una persona socialmente molto attiva che giudicava il valore di una galleria in base alle partecipazioni che vantava: “questa è buona perché fa Basilea e Londra, questa va meno bene perché fa solo Miami e Bologna”. Ma la galleria, mi sembra chiaro e piuttosto stupido doverlo scrivere, si giudica dal programma e dagli artisti che rappresenta prima che dalla strada percorsa con la valigia pronta. E, anzi, io guarderei con più attenzione una galleria che se ne sta addirittura a casa, che vuol dire che è forte abbastanza da attirare i collezionisti nella sua zona.
E poi, parliamoci chiaro, fare una fiera vuol dire spendere un sacco di quattrini per stare con le luci bianche puntate addosso tutto il tempo, non vedere la luce del sole, chiacchierare per 8/9 ore, e saltare negli argomenti di palo in frasca per ogni buona anima che varca la soglia. Ma non è meglio vedervi in galleria, seduti con calma, e intavolare un discorso magari più completo, con le mani pulite e senza la forfora sulla giacca? Poi certo, alcune fiere sono meglio di altre, e qualcosa rimane pur sempre attaccato. S’incappa nella signora che mi aggiorna sulla rapida crescita della sua meravigliosa nipotina o si rivede l’artista che non ce l’ha fatta e che mi lascia una brossura aggiornata della sua ultima, originalissima, ricerca. S’incontra poi qualche collega da compiacere perché non sia mai che serva a qualcosa o addirittura che sia già (o possa un giorno entrare) nel comitato della fiera. Perché, sapete la contraddizione? Chi decide quale galleria può partecipare o meno alla fiera è un collega rivale. E allora viene naturale non favorire qualcuno che potrebbe avere successo e fortuna con una collezione che vorresti avere in esclusiva o penalizzare un artista del tuo programma che oscura un’altrui posizione, e a pensar male si fa peccato, vero, ma spesso ci si azzecca pure.
Del resto, come mi disse un mio collega sull’orlo della chiusura, alla mia constatazione di come tutti nel settore lo tenessero in simpatia, mi rispose, deluso e rassegnato, che ciò accadeva perché non veniva considerato abbastanza minaccioso o pericoloso per la loro impresa. Quindi ho imparato a prendere bene certe posizioni defilate come la nostra di Artissima in questa edizione, che dovrebbe essere la fiera italiana dell’avanguardia e della ricerca ma, a guardare le zone chiave, dominate sempre dai soliti nomi noti, sembra sempre più la fiera delle cariatidi. Dunque evviva il penultimo corridoio nemmeno ad angolo e con il quadro elettrico imposto, perché significa che qualcuno ci sopporta poco, ed è un buon segno. Dispiace invece il tentativo di attirare l’attenzione delle gallerie internazionali con agevolazioni che fan venir da ridere perché è palese che Torino, e forse in generale, l’Italia, nella scacchiera internazionale, conta come nella briscola il due.
E m’importa poco se i vari premi assegnati riguardano spesso solo le stesse cinque o sei gallerie, e se un paio di loro negli ultimi quattro anni sono state premiate tre volte addirittura. Attenzione! Vincere sempre i premi porta sfiga. Per fortuna in qualche modo ho provato a passare il tempo e a divertirmi tutto sommato. Guardando quei signori che fanno lunghe code da Illy per prendere i caffè gratis, chiacchierando con un critico d’arte moderna che ha preparato la mostra del Guercino a Roma e che mi ha rivelato i vari retroscena, aggiungendo pure particolari sulla vita di altri artisti e del Caravaggio in particolare. Ovvero: che il suo cane si chiamava Cornacchia ed era ovviamente di colore nero, o che i suoi genitori si chiamavano Fermo e Lucia, dunque Manzoni, Alessandro, doveva aver già consultato quelle carte che noi oggi conosciamo bene. O ancora: ascoltando tutti quei collezionisti o presunti tali che adesso portano Salvo in venerazione e che si vantano di averne alcuni sulle pareti delle loro abitazioni comprati in tempi antelucani, e quelli che adesso pensano di fare buoni affari vendendo anche il Salvo poverista, che sembra soffrire di più nella compravendita. A proposto: c’è una lapide unica, con la scritta “Viva L’Italia” in offerta: vi interessa? Alla fine della fiera, a conti presto fatti e cravatta già abbandonata, non vedo l’ora di tornare a casa.
PS: testo scritto dallo stand di Loom Gallery, Artissima, Torino, corridoio arancio o rosso, piuttosto in fondo
Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano), curatore (Settantaventidue, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle. IG: nicolamafessoni