Per il periodo natalizio, fino al prossimo 12 gennaio, presso la sede torinese delle Gallerie d’Italia, sono esposte due opere sublimi, l’una di Antoon Van Dyck e l’altra di Orazio Gentileschi (anche se qualche studioso suggerisce che il quadro sia in realtà opera della più famosa figlia, Artemisia).
Entrambe le opere risalgono al 1600 e dal 1700 sono esposte presso la Galleria Nobile di Palazzo Corsini alla Lungara in Trastevere, a Roma. Si tratta di due Madonne del latte, ovvero, secondo l’iconografia classica, di due Madonne con bambino colte nell’atto dell’allattamento o meglio, come in questi casi, nel momento immediatamente precedente o successivo ad esso. Il tema è dunque fortemente allusivo e ha una marcata componente simbolica, ma nello stesso tempo è ricco di toni pieni di tenerezza e umanità.
L’opera di Orazio Gentileschi risale al 1610 e fu dipinta a Roma. Il soggetto sacro è impersonato, come secondo l’influenza caravaggesca che Gentileschi avvertiva vivace, da figure reali, una donna del popolo con il suo bambino. L’atmosfera è giocosa, i colori brillanti e vivi, anche grazie alla luce, ancora una volta ispirata al genio di Michelangelo Merisi. Il bambino tira a sé la mamma per la veste e la mamma lo accoglie nelle sue braccia. C’è un dinamismo dolce, ritmato, nelle figure, e l’immagine è di grande impatto. Siamo colpiti dal fatto che, se non ci fosse un accenno di aureola sulla sua testa, il soggetto del quadro potrebbe benissimo essere profano. E tuttavia sappiamo che si tratta della madre di Cristo. La bellezza della giovane donna che nutre il suo bambino, impersonando la Madonna, evoca così atmosfere molto dolci e intense (e, volendo, persino una famosa canzone di De André).
Qualche studioso, come anticipavo, ha ventilato l’ipotesi che questo quadro, su cui è apposta la forma di Orazio Gentileschi, sia in realtà opera di Artemisia. Addirittura si narra che Artemisia stesse dipingendo proprio quest’opera nel momento in cui Agostino Tassi s’intrufolò nel suo studio per offenderla. Solo un racconto di gossip storico-artistico o verità storica? In realtà non abbiamo una risposta certa e la questione resta sospesa.
La seconda opera ci introduce invece in un’atmosfera più rarefatta e simbolica. Antoon Van Dyck dipinse questo quadro a Genova tra il 1625 e il 1627. Largamente ispirato ai capolavori del Rinascimento italiano, in particolare del Correggio, il soggetto è ambientato in un contesto tipico delle Natività. C’è la capanna diroccata e un asinello. Una nube che sovrasta il cielo sulla coppia madre/figlio, la paglia in primo piano (che dà il nome all’opera, nota come Madonna della Paglia) forma il segno di una croce, mentre la donna avvolge il figlioletto in un panno che ricorda un sudario. Questi elementi sono presagi della morte e resurrezione del Cristo, e tuttavia non inficiano l’infinita delicatezza e tenerezza dell’immagine.
Qui il bambino è ritratto nell’attimo immediatamente successivo alla poppata, addormentato sul petto della madre, in un gesto naturalissimo e struggente. La madre non ha occhi che per lui. Lo spettatore è in qualche modo escluso dalla scena: nessun personaggio o dettaglio lo coinvolge nell’immagine. Questo aspetto amplifica l’idea di intimità e familiarità del momento ritratto, al di là della dimensione simbolica dei dettagli.
La mostra, che porta il titolo Gentileschi e Van Dyck. Due capolavori dalla collezione Corsini, è realizzata in collaborazione con le Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma e rientra nella rassegna L’Ospite Illustre, grazie alla quale ormai da quindici anni le sedi espositive di Intesa San Paolo espongono al pubblico capolavori della storia dell’arte del passato provenienti da prestigiose sedi museali italiane e internazionali.
La particolarità molto apprezzabile di questa rassegna è il fatto di puntare su un numero esiguo di opere esposte, anche solo una o due, facilitando così una fruizione meditata, approfondita e raccolta. Lo spettatore può soffermarsi sui dettagli, ammirare i particolari e farsi trascinare dalle atmosfere di ciascun singolo quadro, senza alcuna fretta o smania, ma con la giusta calma.
Questo aspetto dell’esposizione è particolarmente apprezzabile nel caso delle due opere di Van Dyck, e Gentileschi che, per altro, sono esposte in maniera molto accurata: ad altezza di sguardo, prive di vetri che rifrangono la luce. È così possibile gustare ogni dettaglio, ogni sfumatura di colore, e godere in pieno della bellezza di questi capolavori.