Concludiamo il nostro tour nel Centro-Ovest brasiliano proprio dalla Capitale Federale, Brasília: un incontro tra le architetture monumentali della città di Costa e Niemeyer e l’arte contemporanea
Brasília: città utopica, città pianificata, città giardino. Quante cose si possono dire della capitale federale del Brasile, dal 1960, progettata da Lucio Costa ed “eseguita” da Oscar Niemeyer, a partire dal 1957. Pochi anni per sognare un nuovo Paese, che sarebbe dovuto evoluire di cinquant’anni in cinque, secondo i desideri dell’allora Presidente Juscelino Kubitschek: “Da questo Planalto Centrale, da questa solitudine che in breve si trasformerà nel cervello delle alte decisioni nazionali, lancio un nuovo sguardo al domani e prevedo questo nuovo inizio con fede indistruttibile e una fiducia senza limiti nel suo grande destino”.
Concludiamo da qui il nostro tour nel Centro-Ovest brasiliano, forse in una modalità meno “trionfalistica” rispetto alle parole di Kubitschek e più vicina al sentimento di spaesamento provato da Clarice Lispector, raccontato nella sua seconda visita alla nuova Capitale Federale, nel 1974, quando Brasília non aveva ancora completato il suo 15mo anno di vita.
“Brasília è il fallimento del più spettacolare successo del mondo. Brasília è una stella distrutta. Sono sbigottita. È bella ed è nuda. È l’indecenza che si ha nell’intimità. […] Brasília è implacabile. Mi sono sentita come se qualcuno mi indicasse, come se potessero prendermi e ritirarmi i documenti, la mia identità, la mia verità, la mia ultima intimità”.
Il Centro Cultural do Banco do Brasil (CCBB) – che ha le sue sedi espositive anche a San Paolo, Rio de Janeiro, Salvador e Belo Horizonte – a Brasília si trova decisamente fuori dal “centro” della città (per centro dobbiamo considerare il Plano Piloto progettato da Costa, più noto come la famosa “pianta ad aereo”) quasi sulle rive del lago, in un edificio dalle dimensioni colossali progettato da Niemeyer e aperto nel 2000 per “contenere” tutte le forme d’arte. Così, altre al teatro e all’auditorium, vi sono una infilata di sale espositive che oltre ad ospitare la collezione permanente dell’istituto di credito più famoso e potente del Paese, offrono mostre temporanee. “Paisagens Ruminadas”, attualmente itinerante sul territorio brasiliano, è la retrospettiva dell’artista Luiz Zerbini (SP, 1959) che, in comune con l’edificio, ha la monumentalità: quella di una ricerca che attraversa quattro decadi di pittura e installazione, immensa e incommensurabile, dotata di tutta la potenza e la magia della natura tropicale e della capacità di mostrare la crudezza e l’asperità di un Paese diviso, sanguinante nell’eterno incontro tra il mondo poverissimo e quello elitario, impressionante per varietà umana, ambientale, culturale. Un mondo di colori estremi e brillanti cieli che strisciano al lato della violenza, di una storia fatta di sangue e sfruttamento, per un presente non ancora riappacificatosi con la sua eredità più pesante, quella coloniale. Così, i “Paesaggi ruminati” di Zerbini sono colpi di bellezza e, contemporaneamente, colpi bassi a raccontarci, con la più tradizionale delle tecniche dell’arte, i contraddittori volti del País Tropical che spesso restano occulti a chi si ferma al “colore”.
Un po’ come Brasília resta occultata per chi non ha il coraggio di perdersi dentro le sue “quadre” – come sono nominati i suoi “isolati”, nell’Ala Nord e nella Sud – come di non misurarsi con le sue rarefatte distanze, dentro le quali si scoprono spazi molto più che curiosi, alimentando uno scenario artistico la cui tradizione contemporanea è ancora molto giovane e molto connessa all’Università.
Appena fuori dall’Ala Nord, in quella che era considerata una delle prime “comunità” di Brasília, Varjão, l’artista Miguel Simão ha aperto Casa Aerada, nel 2021, dividendo il suo atelier e facendo spazio a quella che è una vera e propria galleria d’arte che a sua volta supporta i giovani artisti, e non solo, senza distinzione di tecniche e poetiche: “Il circuito culturale brasiliano, smantellato dallo Stato, sopravvive piegato sugli assi del mercato – si legge nella “dichiarazione di intenti” di Casa Aerada, che continua – Non possiamo dire che il circuito culturale attiri l’attenzione verso il Centro-Ovest, verso una città satellite. Ma alla Casa-Aerada rispondiamo con il rafforzamento delle voci dell’arte locali, dell’arte periferica. Rispondiamo con un futuro post-massivo per il Distrito Federal e la sua regione: un futuro oltre il centro”.
Oltre l’impressionante ponte JK, ben fuori dal centro e collocato nell’Altopiano Est, c’è un altro spazio indipendente e ricco di sorprese: Vilarejo 21, “officina creativa” anch’essa aperta nel 2022, che offre laboratori di collage, incisione, serigrafia e che collabora com diverse realtà cittadine, nell’intento di sostenere e fomentare l’arte nel DF.
deCurators, situata in una bella quadra di ristoranti e vita notturna accanto dal Parque Olhos d’água, è uno spazio indipendente creato dall’istrionica Gisel Carriconde Azevedo, che ha ideato i cinque comandamenti per i curatori e che al grido di “efficienza, amore e selvaggeria” si fa portabandiera di progetti che hanno certamente una dimensione più sperimentale, performativa, contemporanea. Al piano terra l’innesco è dato da una vetrina che funziona come anticipo o continuazione alle attività, visibile anche mentre lo spazio espositivo si trova fuori dall’orario di apertura, mentre nel seminterrato un ex studio di massaggi ha mantenuto intatta la sua anatomia architettonica, composta di piccole sale che si trasformano in spazi espositivi.
Tre spazi che profeticamente hanno anticipato l’attenzione che al Centro-Ovest in questo periodo si sta riservando, dovuto anche all’arrivo, dal 2023, di Galleria Cerrado che a Brasília non solo ha aperto una seconda sede (oltre alla prima di Goiânia), ma anche una terza: Cerrado Cultural. Localizzata in una grande villa, Cerrado Cultural ha inaugurato con una panoramica di dodici artisti della galleria, intitolata “O centro é o Oeste insurgente”, in riferimento tanta alla storica “marcia” verso il centro dello stato, quanto ai confini di questa area del Brasile con molti degli altri stati del Paese, ma soprattutto con una splendida mostra dedicata a un artista-simbolo brasiliano: Rubem Valentim. “Mito, Rito e Ritmo Interior: fazer como salvação” ha raccolto opere di diverse fasi dell’artista, per la maggior parte provenienti da collezioni private e dunque non in vendita – una vera e propria mostra museale – in un omaggio anche alla città: Valentim, infatti, era stato professore all’Università di Brasília nell’epoca del rinnovamento e della nuova speranza per il Paese.
Fuori dal Plano Piloto è anche la monumentale galleria di Karla Osorio, aperta nel 2016 e che ha contribuito a internazionalizzare la capitale con la presenza di artisti come gli AES+F, e molti brasiliani-globali: Cildo Meirelles, Hélio Oiticica, Miguel Rio Branco, Sebastião Salgado, Vik Muniz…
Un’altra galleria che merita una visita, stavolta rientrando nell’Ala Nord, è Referência Galeria, attiva da quasi 30 anni, dove scopriamo l’universo di Léo Tavares, che con tratti delicati e poetici ci trascina in un’onda di poesia visiva contemporanea, ricca di infiniti dettagli e aperta a multiple interpretazioni, e gli oggetti di Carlos Lin, che a sua volta indaga il concetto di “espressione” su un piano più oggettuale, costruendo sculture-mobili che utilizzano fogliame e legno locale.
Léa Juliana, artista che con Referência collabora, a proposito di ricerca sui materiali, ci mostra nel suo atelier una complessa ricerca sulla pelle del paesaggio, in diversi formati: se le pietre “spellate” – l’effetto è realmente impressionante – ci possono sembrare quasi oggetti surreali, con un allure di curiosità post-naturale, le grandi “pelli di pietra” assemblate e appese, dai toni della terra e del sangue, soggette anche ad una viva modificazione della loro consistenza al base al clima e all’umidità, ricordano anche le costruzioni dell’artista belga Berlinde de Bruyckere, in una forma meno inquietante e più legata all’ambiente. E visto che, come abbiamo spesso osservato, a queste latitudini l’ambiente non è una questione secondaria, ecco altri due artisti che vivono e lavorano nell’area del Planalto Centrale e per i quali il “paesaggio” non è una questione secondaria.
Elyeser Szturm, professore all’Istituto delle Arti all’Università di Brasília, ha il suo atelier nascosto in uno splendido angolo di cerrado perfettamente conservato, a una trentina di chilometri fuori dalla città. Tra la sue produzioni più recenti, su grande formato, Elyeser lavora su paesaggi quasi ancestrali o – come ha scritto la critica Daniela Maura Ribeiro – sul paesaggio come orizzonte, sul liminare tra archeologia, fossile, rovina e, aggiungiamo noi, con una modalità che rimette molto alle tecniche di conservazione degli antichi affreschi, preparando e strappando intonaci che vengono modellati come bassorilievi, aggregati con pigmenti e altri materiali inorganici, come sabbia e piccole pietre, che si “rivelano” come un corpo cosmico, una costellazione astratta e allo stesso tempo vicinissima al nostro immaginario.
Infine, João Trevisan. Nato a Brasília nel 1986, da circa dieci anni João, che ha una formazione in Giurisprudenza e in Geografia, investiga attraverso una pittura lenta e fatta di innumerevoli stratificazioni, una geometria molto peculiare e – ancora una volta – legata ad un paesaggio vissuto in prima persona: dormienti di binari (o “traversine”) sono l’elemento cardine della ricerca dell’artista, trasformati in intervalli spaziali e temporali, che danno corpo a un percorso pittorico estremamente originale e ben riconoscibile.
Una pittura che potremmo definire analitica, dove l’oscurità è protagonista fondamentale nella costruzione dell’immagine, pennellata dopo pennellata, in uno studio perfettamente organizzato nel Settore Commerciale dell’Ala Sud, dove tempo, meditazione e percezione si confondono in base alle variazioni della luce.
D’altronde, sempre restando fedeli a Clarice, “[A Brasília] i due architetti non pensarono di costruire bellezza, sarebbe stato facile: hanno invece eretto lo stupore inesplicabile”.