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In the sign. Quando il “sogno” diventa arte: il caso Thun

Angelo di Bolzano, Thun
Il percorso che porta al riconoscimento della tutela autorale di un’oggetto di design non è sempre lineare: come già accennato in alcuni precedenti articoli della rubrica, a fare la differenza per ottenere tale qualificazione è il riconoscimento, da parte dei Giudici, dell’esistenza di un c.d. “valore artistico” che, solitamente, viene acquisito e consolidato nel corso del tempo, attraverso alcuni “indicatori” come premi vinti (ovviamente, con rilevanza riguardo al numero e al soggetto erogatore degli stessi), esposizioni in musei, rassegne e manifestazioni artistiche, recensioni critiche, inclusione in opere di esperti, notorietà dell’artista che ha realizzato l’oggetto, etc.

È per questa ragione che si potrebbe rimanere stupiti del fatto che, non certo dall’oggi al domani, ma con una serie di battaglie legali durate più di un decennio, ad accedere a questa tutela siano stati anche alcuni piccoli soprammobili che, ne siamo certe, chiunque in Italia ha ricevuto in regalo o ha regalato almeno una volta – in particolare nel periodo natalizio (ragion per cui non c’è momento migliore per parlarne): le statuine Thun.
Una tradizione, quella di Thun, che ha avuto inizio nel 1950 con la nascita del primo Angelo di Bolzano e che, nel corso degli anni, ha dato vita a una serie di altri personaggi, perlopiù ispirati al mondo della natura (animaletti, insetti e fiori in primis) e a figure umanoidi caratterizzate da tratti a metà tra la morbidezza dei putti e i volumi dei quadri di Botero.
I procedimenti giudiziari che hanno visto protagonista Thun sono interessanti e di esito incerto, proprio perché la società trentina produce, e quindi ha cercato di tutelare come opere di design industriale, più di uno dei suoi “personaggi”, rappresentati peraltro anche in pose (e, quindi, con delle raffigurazioni) diverse. Una prospettiva nettamente diversa dall’analisi richiesta, per esempio, per valutare la tutelabilità della lampada “Arco” di Castiglioni o della Ferrari 250 GTO (di cui abbiamo parlato qui) dove gli elementi esteriori e caratterizzanti da valutare, riproducibili industrialmente, sono sempre gli stessi (e di ciò fanno la loro forza identificante).

In altre parole, il principale trait d’union tra le statuine Thun è lo “stile” delle loro forme. Ciò che è stato richiesto alle Corti di valutare è se risulti individuabile una linea comune, chiaramente distinguibile, che renda queste diverse “figure” tutte facilmente riconoscibili come prodotti provenienti da Thun, sebbene nessuna sia uguale all’altra.
Non stupirà scoprire che le motivazioni alla base dell’avvio di quasi tutte le azioni giudiziarie avviate da Thun, nell’ambito delle quali è stato richiesto – tra l’altro – il riconoscimento della tutela delle sue statuine come opere del design industriale, è stata l’esigenza, da parte della società di Bolzano, di combattere fenomeni di contraffazione dei loro prodotti e di contestazione di tale condotta come di concorrenza sleale, integrata immettendo sul mercato soprammobili talmente simili a suoi da poter essere scambiati per quelli originali. Violazioni commesse, dal punto divista di Thun, attraverso la ripresa non solo dei personaggi tipici delle sue collezioni, ma anche la loro specifica raffigurazione.

Le prime decisioni pronunciate dai Tribunali di Roma, Venezia, Milano, Firenze e Bologna (tra il 2009 e il 2017), pur dando per lo più ragione a Thun a proposito della sussistenza dei presupposti per condannare le varie controparti per contraffazione e concorrenza sleale, hanno ritenuto non sussistente il valore artistico e, quindi, hanno dichiarato l’assenza del requisito necessario a confermare la proteggibilità autorale dei personaggi di volta in volta oggetto dei predetti giudizi. In particolare, il Tribunale di Roma, pur non pronunciandosi espressamente sull’attribuzione di tale tutela alle statuette in questione, ha affermato che il valore artistico dovrebbe essere inteso come un “valore estetico spiccato”, dotato di una maggiore incisività creativa tale da evocare un apprezzamento collettivo (che, nel caso di specie, non è stato rilevato). I Giudici di Venezia, abbracciando la tesi per cui la tutela del diritto d’autore può essere riconosciuta solo in presenza di opere di design dotate di un significativo e spiccato merito estetico, hanno ritenuto che l’artista che aveva ideato le statuine (Lene Thun) non presentasse un pregio artistico sufficientemente elevato da giustificarne la tutela. Il Tribunale di Firenze, attenendosi alla valutazione degli “indicatori” del c.d. “valore artistico” menzionati all’inizio di questo articolo, lo ha escluso limitandosi ad affermare che, nel caso di specie, non sono state fornite evidenze circa l’esistenza di tali “indicatori”, appunto.
È a partire dal 2013 in poi che, prima con sorti alterne (non è contraddittorio e nemmeno strano che, per alcuni anni, Corti diverse abbiano raggiunto diverse conclusioni in proposito) e poi con un orientamento sempre più consolidato – dal 2018 in poi – le Corti si siano pronunciate sempre più spesso riconoscendo il valore artistico dei personaggi Thun: ciò, sia in senso più “generale” (ovvero ammettendo alla tutela del design industriale le statuine Thun in ragione del loro “stile”, ma indipendentemente dal soggetto raffigurato) che avendo riguardo di individuare, tra i soprammobili Thun, gli specifici soggetti (angioletti, fiori, farfalle, cammelli, elefanti, vasi, girasoli, orsetti, etc.) a favore delle quali la tutela autorale poteva essere riconosciuta.
La Corte d’appello di Milano, per esempio, oltre a rilevare il carattere innovativo della scelta stilistica per cui “all’epoca in cui le opere sono state create non vi era sul mercato nulla di simile” e la capacità distintiva data dalle linee morbide e arrotondate e dalle forme armoniose e tondeggianti, riconosce alle statuine Thun la qualifica di opere di design industriale anche alla luce del fatto che quest’ultima aveva prodotto in giudizio un amplissimo riscontro in termini di pubblicazioni sulle maggiori riviste, di esposizione in fiere e cataloghi, di diffusione di negozi monomarca e aveva dimostrato come queste avessero assunto nel tempo un significativo valore di mercato. Il Tribunale di Roma, a sua volta, ha ritenuto che il requisito fosse integrato anche grazie al fatto che alcuni prodotti Thun erano stati esposti presso la mostra “Quali cose siamo” presso la Triennale Museum di Milano, curata da un noto designer.
Infine, secondo il Tribunale di Napoli “(…) non appare revocabile in dubbio che, a prescindere dai singoli oggetti e soggetti realizzati ed utilizzati, effettivamente Thun abbia creato uno stile che ha reso non confondibile la provenienza dei prodotti. Si tratta, come più volte evidenziato dalla giurisprudenza di merito, di prodotti tutti evocativi e suggestivi che, attraverso la combinazione delle forme (tondeggianti e bombate), dei colori (anticati), delle espressioni dei volti, delle decorazioni (solitamente con fiori o insetti) richiamano alla dimensione del sogno e dell’infanzia.”.
È così che questi personaggi, il cui richiamo onirico è stato più volte riconosciuto dalle Corti italiane, hanno visto realizzato il loro “sogno” di essere qualificate come opere di design industriale.

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