Mai un museo italiano era stato sottoposto ad una furia mediatica come il Maxxi durante il 2024, con tanto di inchieste televisive, cambi di presidenza e accuse a segretari e consulenti. Eppure proprio in un momento di passaggio, l’attuale programmazione delle due sedi della fondazione (Roma e L’Aquila) rivela le sue potenzialità, con una serie di nuove mostre di indubbia qualità. E soprattutto ciò che sorprende ancora di più è la chiarezza espositiva (con qualche eccezione), che ogni museo—soprattutto quelli di cultura contemporanea—dovrebbe avere come regola aurea.
Cominciamo dal Maxxi in via Guido Reni, dove fa da protagonista la superba antologica del fotografo Guido Guidi (Cesena, 1941) intitolata Col tempo 1956-2024 e curata da Simona Antonacci, Pippo Ciorra e Antonello Frongia. Con una scrittura espositiva classica ma precisa e una scansione cronologica ineccepibile, la mostra rivela la dimensione sperimentale della ricerca visiva di Guidi, meno legato alla storia dell’arte rispetto a Luigi Ghirri (al quale il Maxxi aveva dedicato un’antologica nel 2013, allestita con meno precisione) ma assai più innovativa, soprattutto nelle serie iniziali degli anni Sessanta e Settanta, come Coincidenze e Andata e ritorno. Tanti i momenti alti, tra i quali spiccano i progetti di architettura degli anni Ottanta, come la serie sulla Tomba Brion di Carlo Scarpa che aveva attirato l’attenzione di Candida Hofer, interpretata da Guidi in maniera meno fredda e più poetica. Puntuale ed equilibrato il rapporto tra le opere e i documenti, collocati in una serie di teche disposte lungo il percorso, e notevole il filmato, girato da Alessandro Toscano all’interno dell’archivio dell’artista, a Ronta di Cesena.
Tutt’altra atmosfera domina The Large Glass, l’allestimento della collezione permanente firmato dall’artista americano Alex Da Corte (1980), tutto giocato sull’ambiguità prodotta dai riflessi sul vetro in una foto di Luigi Ghirri, Modena (1978). All’interno della galleria 4, immersa in una suggestiva semioscurità, in un percorso inaspettato e a tratti sorprendente, punteggiato da giochi di luce, emergono le installazioni di Massimo Bartolini (Mixing Parfumes, 2000), Atelier van Lieshout (The Globe, 2007), William Kentridge (Preparing the flute, 2005), Giuseppe Penone (Sculture di linfa, 2007), Kara Walker (For the Benefit of All the Races of Mankind, 2002) e Gal Weinstein (Fire Tires, 2010). Ottima la scelta delle opere bidimensionali—da Alighiero Boetti a Marisa Merz, da Stefano Cerio a Rachele Maistrelllo—che non aggiungono però molto alla narrazione, incentrata soprattutto sull’aspetto spaziale ed immersivo.
Altra sorpresa è Memorabile Ipermoda, la mostra sulla moda contemporanea curata da Maria Luisa Frisa e incentrata sulle relazioni tra il mondo fashion inteso come un corpo espanso, capace di contaminarsi con altri mondi. Grazie all’allestimento, curato dallo studio Supervoid, la Galleria 5 si trasforma in una scintillante showroom, dove le creazioni delle maison di haute couture come Balenciaga, Dior, Vuitton dialogano con le opere dei protagonisti della moda indipendente, in un percorso di incanto e meraviglia davvero memorabile.
Poco innovative e di difficile lettura le mostre proposte dalle aziende in questo contesto museale: Italia in movimento, proposta da Autostrade per l’Italia in occasione del centenario della costruzione della prima autostrada italiana nel 1924, è stata allestita in maniera prevedibile, con soluzioni espositive datate e poco stimolanti, a differenza della mostra L’alba dell’Autostrada del Sole, curata da Chiara Sbarigia alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, con un impianto espositivo più attuale, che vede coinvolti i fotografi Silvia Camporesi, Luca Campigotto e Barbara Cannizzaro. Le stesse carenze sono visibili in Joyn!, una mostra dedicata alla storia della Nutella, dove l’unico guizzo creativo è un wallpaper realizzato da Francesca Gastone che si confronta con scaffalature con diverse edizioni di barattoli di Nutella. In entrambi i casi appare davvero bizzarro che aziende italiane di questo calibro non abbiano pensato di affidare allo sguardo degli artisti contemporanei il racconto delle loro iniziative di punta, all’interno di un museo di arte contemporanea del calibro del Maxxi e non di una convention aziendale.
Da Roma ci spostiamo a L’Aquila, dove il Maxxi ospita Terreno. Tracce del disponibile quotidiano, intelligente collettiva multidisciplinare con uno spiccato taglio socio-antropologico, curata da Lisa Andreani. Una scrittura curatoriale interessante, che abbina ad opere di artisti e scrittori italiani e internazionali di diverse generazioni a manufatti provenienti dalle collezioni di Arti e Tradizioni Popolari del Museo della Civiltà. Tra le opere più sorprendenti spiccano i frutti di Francesco Garnier Valletti, il video Rice (2019) di David Blamey, la serie dei coltelli Del Taglio di Luca Trevisani e la sala con la documentazione di Agricola Cornelia, il progetto di Gianfranco Baruchello sviluppato tra il 1973 e il 1981 nel Lazio.
“L’obiettivo—scrive Andreani—è rendere il museo abitabile, lasciare libero il visitatore di comprendere le consonanze e differenze dei materiali presentati. Sono esposte opere d’arte che potrebbero essere lette semplicemente come oggetti così come manufatti della cultura materiale e rituale che potrebbero essere interpretati come lavori di artisti contemporanei”. Proprio a causa di questa ambiguità, forse sarebbe stato utile ribadire il concetto con un video esplicativo di presentazione, ad uso del pubblico generalista e meno preparato: se i musei continuano a parlare solo a visitatori già consapevoli non saranno mai in grado di attirare nuovi pubblici, come avviene in altri paesi europei.
Notevole anche il catalogo, ricco di contributi scientifici e pubblicato da Viaindustriae Publishing. Infine, da segnalare la piccola ma preziosa mostra Paola Agosti nelle collezioni del Maxxi, curata da Simona Antonucci e ospitata nella Project Room del museo: venti immagini scattate dalla fotogiornalista italiana Paola Agosti (1947) in diversi paesi del mondo, con una spiccata attenzione per la condizione delle donne impegnate nel lavoro.