
Poco più di un mese fa Donald Trump si riprendeva ufficialmente la Presidenza della Casa Bianca e degli Stati Uniti d’America, firmando una quantità strabordante di ordini esecutivi e cambiando, repentinamente, politiche aziendali, sociali e culturali. E l’arte contemporanea, divisa, quale parte sta scegliendo?
Con un passo deciso e un’ombra lunga sulla geopolitica mondiale, Donald J. Trump ha riconquistato la Casa Bianca il 20 gennaio. Il suo ritorno al potere segna l’inizio di un’epoca di incertezze e trasformazioni, con riflessi che si estendono ben oltre la politica, toccando anche il mercato dell’arte. Secondo John Ikenberry – politologo di Princeton – gli Stati Uniti sono ormai uno stato revisionista pronto a sfidare l’ordine internazionale liberale.
Se per alcuni questo scenario rappresenta un’ombra scusa sulla scena globale, per il mondo dell’arte potrebbe rivelarsi una “luce inattesa”, con buona pace degli ormai sempre meno numerosi pubblici che ancora continuano per partito preso a stracciarsi le vesti.
Dopo due anni di incertezza economica, infatti, il mercato dell’arte, soprattutto quello d’élite, potrebbe risentire positivamente delle riforme fiscali favorevoli ai grandi patrimoni: Magnus Resch – imprenditore newyorkese e autore del libro How to Collect Art (2024), sottolinea che il ritorno di Trump favorirebbe i collezionisti di alto livello, mentre il suo approccio più aperto alle criptovalute potrebbe ridare vigore al mercato degli NFT e delle transazioni artistiche su blockchain.
Ma se i grandi collezionisti – sempre più “orientati” a destra – torneranno a investire, quale arte sarà favorita? Quella contemporanea spesso espressione di valori progressisti e liberali rischia quindi di perdere il suo ruolo da protagonista?
Il miliardario Peter Thiel – voce influente della destra tecnologica e sostenitore di Trump – ha dipinto il prossimo quadriennio come una resa dei conti con l’ancien régime liberale. “La moralità ha perso”, scrive sulle pagine del Financial Times, lasciando intendere che il mercato dell’arte, dominato negli ultimi anni dalla politica dell’identità, dovrà ridefinirsi.

D’altronde, fedelissimi come in poche volte si è visto nella storia ai propri padroni, Google e Meta – giusto per fare due nomi – dopo aver confessato l’ingerenza dell’ex governo Biden nella “supervisione” dei contenuti pubblicati dalle reti sociali durante l’epoca del Covid, da un mese esatto hanno rivisto in toto tutte le proprie posizioni liberal-woke. Un esempio su tutti? Google Calendar, proprio pochi giorni fa, ha rimosso in sordina dalle proprie tabelle il Pride Month e il Black History Month.
Sarà dunque ben curioso, prossimamente, osservare quanta voce in capitolo avranno a livello mondiale le culture “minoritarie” che negli ultimi anni hanno di fatto saturato l’opinione pubblica, e soprattutto quanto gallerie, musei, istituzioni e affini saranno disposti a farsi portabandiera dei “protestatori” seriali. Tra le decine di Ordini Esecutivi che Trump ha firmato nei primi giorni del suo nuovo mandato, oltre ai più curiosi cambi di nomi nella geografia politica (dal Golfo del Messico al Golfo degli USA, per esempio), alla riclassificazione di migliaia di dipendenti federali, rendendoli più facili da licenziare, decretando anche la fine del lavoro a distanza, c’è stato anche il ritiro degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi sul clima e dall’Organizzazione mondiale della sanità, e un Ordine Esecutivo in cui si afferma che esistono solo due generi: il maschile e il femminile.
Una decisione che ha mandato su tutte le furie il politicizzato mondo LGBTQ+, ma il cui tema della “biografia dell’artista” che si pone in primo piano rispetto al lavoro e che abbiamo visto abusato negli ultimi anni in innumerevoli variazioni sul tema erano state oggetto anche di riflessioni acute, come quella lanciata da Dean Kissick sulle pagine di Harper’s Magazine: “Da pittori della vita moderna siamo passati a pittori dell’identità contemporanea. E quando il sé diventa più importante dell’espressione, la vera cultura diventa impossibile”. Una variazione già in atto, silenziosa.
Una riflessione, quest’ultima, che trova riscontro anche nel mercato, dove si assiste a una crescente domanda di opere più “neutre” – cioè meno connotate politicamente – e dal forte impatto decorativo. Il successo commerciale dell’astrazione pura (Cecily Brown, Jadé Fadojutimi, Lucy Bull), della figurazione astratta (Flora Yukhnovich, Christina Quarles, Avery Singer) e del neo-surrealismo (Julie Curtiss, Ben Sledsens) è indicativo di questa tendenza, specialmente negli Stati Uniti.

“Keep The Moon Amongst Ourselves” da Corvi-Mora
Luc Haenen, collezionista di Anversa, conferma questo cambio di paradigma: “In tempi di crisi, le persone cercano conforto nell’arte. Vogliono qualcosa di bello, qualcosa che trasmetta serenità”. Una visione che si riflette anche nelle gallerie e nelle fiere, dove la pittura, ormai da diverse edizioni in tutto il globo, è tornata a essere il linguaggio dominante, come sempre d’altronde è accaduto nelle epoche di grande incertezza. E vi sono artisti, come Lynette Yiadom-Boakye (attualmente in mostra con una personale da Corvi-Mora, a Londra) che evitando il discorso politico esplicito, con opere che coniugano sensibilità pittorica e narrativa, continuano a catturare il mercato, con vendite che oscillano tra i 300mila e gli 850mila dollari.
Infine, negli ultimi giorni, il nuovo scossone: il Presidente Trump ha lanciato la sua criptovaluta-meme, il $Trump, capace di generare in poche ore volumi di scambio pari a 52,4 miliardi di dollari, quasi quanto l’intero mercato globale dell’arte nel 2023. E il collezionista parigino Sylvain Levy osserva: “Viviamo un’epoca di caos. Ma dal caos può nascere la creazione. Bisogna solo aspettare e vedere quale forma prenderà”.
Il mercato dell’arte, dunque, si trova a un bivio: adattarsi alla nuova realtà politica ed economica o resistere (a chi? E per cosa?), rischiando l’irrilevanza.
Nel frattempo, le gallerie, i collezionisti e gli artisti navigano tra incertezze e opportunità, in un panorama in cui il bello e il politico continuano a intrecciarsi, ridefinendo le “regole del gioco”. Per quelli che accettano di giocare, chiaramente, come del resto ha sempre giocato nella sua carriera Mister President, Donald Trump.