
Cosa hanno in comune la critica all’imperialismo, l’humour inglese e il cinema folk horror? Normalmente, nulla. Questi mondi così distanti vengono tuttavia a fondersi nel caso di Get Away (2024), diretto da Steffen Haars ma soprattutto sceneggiato e intrepretato da Nick Frost – divenuto celebre grazie alla “Trilogia del Cornetto”, irriverente serie di film diretti da Edgar Wright e interpretati da Frost insieme a Simon Pegg –, alla sua prima prova di scrittura in solitaria
Presentato in vari festival internazionali, tra cui l’International Film Festival Rotterdam 2025 – e distribuito da Shudder, piattaforma straming americana interamente dedicata al cinema horror –, il film racconta la storia della coppia composta da Richard (Frost) e Susan (Aisling Bea), i quali hanno prenotato una vacanza insieme ai due figli, Sam (Sebastian Croft) e Jesse (Maisie Ayres), sulla remota isola svedese di Svalta. Nonostante l’evidente diffidenza della popolazione locale ad accogliere i nuovi arrivati, la famiglia porta avanti indisturbata (o quasi) la propria agognata vacanza, mentre le ostilità crescono fino ad arrivare ad una sanguinosa e inaspettata svolta.

I rimandi ad alcune tematiche più o meno attuali sono tra i primi elementi narrativi che risaltano in Get Away. Da un lato infatti la spregiudicatezza con cui i protagonisti ignorano gli avvertimenti dei locali di tenersi lontano dall’isola porta alla mente i recenti avvenimenti in cui i residenti di alcune città particolarmente assediate dal turismo di massa – in particolare, Barcellona – hanno reagito manifestando il loro disagio a fronte di un costo della vita sempre più insostenibile, aggravato dalle invasive presenze straniere. Dall’altro, il fatto che si tratti di un nucleo famigliare inglese non può non far nascere negli abitanti dell’isola una spontanea antipatia dovuta alle aspirazioni imperialiste che hanno così spesso contraddistinto la Gran Bretagna.
Le reazioni si scatenano, a maggior ragione, nel momento in cui il loro arrivo sull’isola coincide con il Karantan, festività che ogni 10 anni mette in scena una rappresentazione teatrale di 8 ore volta a celebrare uno dei momenti più duri nella storia di Svalta: quando, nel 1824, l’isola fu messa in quarantena proprio dai britannici a causa di una pandemia pluriennale, costringendo la popolazione al cannibalismo come unica forma di sopravvivenza.

La prima parte del film procede con un buon ritmo seguendo queste premesse, anche grazie a personaggi semplici ma ben delineati. Ai figli disinteressati alle vicende familiari e ai genitori, che si ostinano a chiamarsi “mummy” e “daddy” con un misto di affetto e ironia, si contrappone la comunità locale, guidata dalla gelida e intransigente Klara (Anitta Suikkari), da cui si distacca solo Matts (Eero Milnoff), colui che di fatto ha portato gli stranieri sull’isola affittandogli l’ex casa della madre. In questo contesto i dialoghi, a tratti brillanti, si mescolano con una generale inquietudine stemperata dall’atteggiamento noncurante dei quattro.
Proprio quando i piani architettati da Klara, e messi in atto da Matts – che oltre ad ospitare i forestieri teneva d’occhio i loro movimenti per mezzo di telecamere e passaggi nascosti, arrivando a impossessarsi della biancheria intima di Jesse –, per rendere particolarmente unico il duecentesimo anniversario del Karantan sembrano aver messo in serio pericolo le vite dei villeggianti, la regia di Haars interviene mescolando le carte in gioco e ribaltando i ruoli di vittima e carnefice.

Il giudizio su Get Away, seguendo il dipanarsi della sua trama, potrebbe essere influenzato da fattori esterni. In tal senso pesa il ruolo centrale di Nick Frost, “reo” di creare nello spettatore – almeno in quello che già lo conosceva e apprezzava i suoi precedenti lavori – un’aspettativa ingigantita nei confronti del film. Di certo si tratta di un progetto sostanzialmente volto a intrattenere un pubblico amante di un genere specifico come quello dalla commedia horror.
Il fatto che il plot twist non sia perfettamente celato, così come la presenza di alcuni punti poco chiari sulle relazioni che realmente uniscono quella che inizialmente ci era stata presentata come una famiglia innocente, non sminuiscono necessariamente il valore di una pellicola che va intesa per quello che è: un prodotto pensato per stupire, con una (esilarante) extra dose di violenza che non ha nessun fine se non quello di celebrare sé stessa.