
Il March Meeting 2025, tre giorni di conferenze, conversazioni, performance, che si svolge ogni anno a Sharjah intitolato “to carry songs” è stato un momento di riflessione e di incontro volto ad approfondire il tema più generale della 16 Biennale di Sharjah dedicato al concetto di trasportare (to carry) secondo il suo più ancestrale significato di casa, terra e commercio, fino a quello sociale e attivista di storia, documenti, cambiamenti e rotture a quello più intimo e relazionale di linguaggio, canzoni, sorellanza.
Da questa pletora di significati è stato estratto quello legato alle canzoni con i loro retaggi di tradizione e risonanza, innovazione e spiritualità. Abbiamo assistito infatti a performance musicali ultra-digitali e perturbanti con evocazioni fluide e diasporiche come quella della prima serata di houaïda a interventi che si innervano nella tradizione indigena come la performance del neozelandese Mara TK, che fonde il kaupapa Māori con sonorità sperimentali attraverso un approccio multidisciplinare. L’artista è presente nella Biennale con l’intensa installazione sonora che risponde alle opere di Daniel Boyd al Flying Saucer, intitolata Ngā Mata o Hina, 2025, che evoca le relazioni dei Māori con la luna e il maramataka, il calendario lunare Māori.
Le performance finali di sabato hanno esplorato il legame tra musica e cibo, tra identità e storia con un forte accento di resistenza e decolonizzazione rispetto alle imposizioni dei modelli della globalizzazione delle merci. Si è assistito alla lecture-performance di Suvi Wahyudianto e una performance di Dicky Senda mediati dalla curatrice della 16 Biennale di Sharjah Alia Swastika. Infine la musicista Ata Ratu ha suonato il tradizionale strumento a 4 corde Jungga e cantato nella lingua nativa Kambera dell’isola Sumba in Indonesia, sempre con riferimenti al cibo come strumento attorno a cui raccogliere le persone, recuperando saggezza e conoscenza locali.
Il MM si è chiuso con la performance musicale di Char Yaar – The Faqiri Quartet con il cantante, scrittore e compositore Madan Gopal Singh, il chitarrista Deepak Castelino, il suonatore di sarod Pritam Ghosal e il percussionista Amjad Khan. Il trascinante repertorio musicale si rifà alla poesia Sufi che intreccia elegie e lamentazioni. Le loro performance frequentemente traggono ispirazione dalle leggende del Punjab mentre riflettono sulla partizione dell’India, le sue lotte e tradizioni secolari.

Beings, Dissident Chorus, with Athena Farrokhzad (poet, playwright and translator); Meena Kandasamy (poet, author and translator) at March Meeting. Sharjah Art Foundation, 2025. Photo: Motaz Mawid
Il MM si è aperto con i saluti ufficiali della Presidente e Direttrice della Sharjah Art Foundation Hoor Al Qasimi e l’introduzione di Noora Al Mualla, Direttrice degli studi e ricerca della Sharjah Art Foundation, seguiti dalla prima conversazione dell’artista emiratino Hashel Al Lamki la cui fluttuante e avvolgente installazione site-specific di tessuti Maat (2025) accoglieva i visitatori nel cortile principale della Scuola Al Qasimiyah dove si svolgeva il convegno.
Parlando con la co-curatrice della 16 Biennale di Sharjah Amal Khalaf ha fatto riferimento ai fili del tempo e alla narrazione comunitaria attraverso il materiale tradizionale con il recupero di antiche tecniche per estrarre i colori. La citazione del film marocchino del 2023 “Blue Caftan” spiega la dedizione alle antiche tecniche artigianali della prospettiva di resistenza rispetto alle economie attuali dell’artista, che confronta attraverso i workshop le pratiche di diverse comunità di Maiorca, Kerala, Cairo.
Il momento più emozionante del convegno è stato l’incontro dedicato a Desiring Beings, Dissident Chorus tra la co-curatrice della 16 Biennale di Sharjah Natasha Ginwala e le poetesse Athena Farrokhzad, iraniana che vive in Svezia, e l’indiana Meena Kandasamy: Athena rivendica il suono poetico, il puro significante, come alieno a qualsiasi asservimento economico o sociale, riposizionando il corpo e il desiderio al centro dell’essenza umana in una chiave di resistenza, Meena rivendica la funzione dell’intellettuale militante, del poeta o giornalista attivista che non può chiamarsi fuori dalla lotta e dalla rivendicazione, stando dalla parte del popolo in lotte impari, ma necessarie.
Le due poetesse hanno recitato loro poemi alla fine della conversazione riposizionando la poesia in quanto essa stessa corpo. Nella sezione intitolata Legacies of Transformation coordinato dalla co-curatrice della 16 Biennale di Sharjah Megan Tamati-Quennel un momento di schietto interesse è stato quello della presentazione del musicista, compositore e attivista navajo Raven Chacon della sua ricerca in cui le note musicali e le musiche hanno singolari e schematiche corrispondenze visive, che creano un’architettura cosmico-naturale. La sua installazione sonora nel Buried village di Al Madam, parte della Biennale, risvegliava echi e immaginari che si intrecciavano e riempivano l’aria di magia con cori provenienti da diverse case abbandonate nel deserto che avvolgevano lo spettatore nelle diverse sonorità dei nativi americani e dei gruppi emiratini.

Interessante le ricerche dell’artista Olivia Plender e della sociologo-antropologa Celia Plender che analizzano le fonti storiche per chiarire il presente attraverso una prospettiva marxista, militante e attivista. Olivia usa pratiche comunitarie e una pedagogia alternativa. La sessione era coordinata dalla co-curatrice della 16 Biennale di Sharjah Zeynep Öz.
Megan Tamati Quennell introduce Luke Willis Thompson e il suo video presente alla Biennale, Whakamoemoeā (2025), in cui in uno scenario para-fantascientifico la protagonista annuncia il passaggio costituzionale da uno stato coloniale ad uno Indigeno e plurinazionale. Il riferimento è all’ultimo documento redatto dalla filosofa e giurista Moana Jackson, chiamato “Matike Mai Aotearoa”.
Infine gli artisti Dilek Winchester e Ana Iti ragionano con Zeynep Öz sul linguaggio, gli alfabeti come sistemi e archivi di conoscenza. Entrambi gli artisti presenti in Biennale ragionano rispettivamente sulla stampa e la disseminazione del linguaggio Māori (Iti) e sul passaggio dall’alfabeto turco a quello latino, Winchester.
Il MM 2025 si è concluso con un dibattito tra le cinque curatrici, tra cui è da ricordare anche Alia Swastika, che ha ruotato attorno ai temi legati alla terra e alle acque, alle tecnologie e all’agricoltura. Il concetto di curatela è stato più volte avvicinato a quello di narrazione, narrazione e conversazione nello scambio con artisti e comunità. L’ascolto e lo stare insieme sono stati posti come valore imprescindibile nella curatela di una Biennale, rivendicata come atto politico per un’arte politica.
“La Biennale”, bella questa frase in chiusura di Natasha, “è un modo di continuare a definire che cos’è una mostra”.