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Vucciria. Fare critica d’arte a Palermo: intervista a Giuseppe Cipolla

Giuseppe Cipolla
Giuseppe Cipolla
Giuseppe Cipolla (Agrigento 1980), professore di storia delle arti visive all’Accademia di Belle Arti di Palermo, redattore di Zeusi e Papireto. Storico e critico d’arte, formato all’Università di Torino. Ho curato il catalogo della Gipsoteca dell’Accademia di Palermo (2016) e il volume sugli scultori Civiletti (Caracol, 2019). Si occupa di letteratura e arti visive (Luigi Pirandello e la critica d’arte, 2017); autore del volume Ai pochi felici, Sciascia e le arti visive (Caracol 2020). Dopo una esperienza all’estero (Pechino, Barcellona, Malaga, Sofia) è tornato a Palermo e tra una lezione e l’altra all’Accademia, è un pittore indipendente, ma questa è altra storia.

Come si insegna ai nativi digitali a riconoscere nella storia dell’arte, il valore trasversale dell’immagine e le evoluzioni degli stili?
Negli anni Settanta, Sciascia affermava che “le immagini bisogna saperle leggere”, una frase che ha influenzato il mio insegnamento. Trasmettere agli studenti di oggi le chiavi interpretative delle immagini è difficile, poiché viviamo un tempo complesso. È preoccupante notare che le nuove generazioni faticano a distinguere stili diversi nell’arte. Insegno loro a guardare oltre le apparenze ponendosi domande intelligenti.

Quali sono i temi che ti affascinano di più , di cui vorresti scrivere un libro oggi per domani?
Sono diverse. Dalla crisi dell’autenticità nell’arte, all’analisi del concetto di autenticità e originalità nell’era della riproducibilità digitale. O la sfida tra l’uomo e l’AI, gioco intellettuale e lotta per la sopravvivenza della mente umana. Di certo, partirei sempre dal passato per comprendere e analizzare meglio il presente.

Sei nato ad Agrigento e vivi a Palermo, quanto incide l’essere siciliano nel tuo sguardo critico sul mondo e le arti visive?
Se la Sicilia è – ancora – come scrisse Goethe, la “chiave di tutto”, e sciascianamente “metafora del mondo”, penso che la condizione di sicilianità o sicilitudine, rappresenti una sorta di vantaggio sul piano della riconoscibilità dei problemi nella loro intrinseca struttura, e quindi una visione critica diciamo più prospettica e meno appiattita. Ma tale punto di vista “privilegiato” non sempre rappresenta un vero vantaggio, soprattutto nel sistema delle arti visive, dove regnano logiche e dinamiche talvolta sfuggenti e inafferrabili, o con troppe implicazioni.

Di recente hai pubblicato il libro Ai pochi felici Leonardo Sciascia e le arti visive. Un caleidoscopio critico, ci racconti i contenuti e perché l’hai scritto?
Il volume è il frutto di un’analisi pluriennale dei suoi scritti di critica d’arte, da cui emerge un caleidoscopio di riflessioni sulle arti visive dall’arte antica al Novecento. Come intellettuale poliedrico Sciascia si è occupato di tutto: difesa dei beni culturali, scultura, pittura, grafica, fotografia e cinema, collocando l’arte quale riflesso essenziale dell’uomo nella società, nel tempo e nella memoria. Da giovane studioso a Torino, lessi alcuni suoi testi di critica d’arte, e ne rimasi affascinato.

Trionfo della morte, affresco a Palazzo Abatellis, Palermo

Perché citi nel titolo un libro di Leonardo Sciascia?
Si tratta di un titolo stendhaliano – dedicato a Zancanaro per la mostra alla Galleria Civica di Arte Moderna di Palermo del 1974 – una chiave di lettura di quegli artisti che lui riteneva “felici” in quanto liberi e indipendenti rispetto al sistema dell’arte e alle logiche di mercato, di orientamenti e di carriera. Mi è sembrato emblematico ed estendibile a tutta la sua estetica.

Quali sono le caratteristiche più sorprendenti di Leonardo Sciascia nel ruolo di critico d’arte ?
La sua particolare lettura delle immagini. Per Sciascia l’immagine è la sorgente primaria di tutto. Si pensi alle definizioni sulle immagini di Francesco Laurana, la cui “scultura è immagine dello spirito”; oppure quelle di “immagini luminose” sulle sculture di Emilio Greco; o ancora, alle incisioni di Bartolini, definito autentico “cacciatore di immagini”. L’arte per Sciascia è un raffinato gioco intellettuale, proteso a raffigurare la realtà umana nelle situazioni esistenziali più varie, che compongono il teatro della vita, esplorando le regioni dell’immaginario e del mistero.

Qual è stato il rapporto tra Leonardo Sciascia e Ferdinando Scianna?
É stato uno dei sodalizi più autentici e significativi. I due si conobbero nel 1963 alla prima esposizione a Bagheria del ventenne fotografo. Sciascia rimase colpito dai suoi scatti in bianco nero, reali e non artefatti. Fu la svolta per Scianna. Da li nacque un’amicizia incrollabile. Uno scambio continuo di opinioni, impressioni, idee. Le fotografie che immortalano lo scrittore in Sicilia e nei suoi viaggi a Parigi e in Spagna, fungono quasi da “incarnazione” del suo pensiero letterario. Il valore delle loro collaborazioni editoriali, a partire da Feste religiose in Sicilia (1965) sino Ore di Spagna (1984), rimane un connubio irripetibile tra letteratura e fotografia.

E con Enzo Sellerio, Sciascia quali rapporti ha avuto?
Rispondo pensando al miracolo della Sellerio. Immaginate Palermo nel 1969, con tutta la sua energia, ingovernabilità, caos, mafia e dislivelli sociali. Pensate a un fotografo e a sua moglie, a un antropologo, a uno scrittore, a questi quattro amici che decidono di aprire una casa editrice e seguire una follia: investire in cultura. Enzo ed Elvira Sellerio, Antonino Buttitta, e Sciascia – quest’ultimo a sfidare la similitudine che bisogna darsi l’ardire di capovolgere: “fare libri a Palermo è come coltivare fichidindia a Milano”. È stato questo incontro a costituire un fatto eccezionale e unico nell’editoria nazionale.

Quali erano gli artisti prediletti da Sciascia e perché?
Sono tanti: dal Maestro del Trionfo della Morte ad Antonello da Messina, Caravaggio, Courbet, Degas, Lautrec. E poi ancora Gaudì, Cambellotti, Savinio, De Chirico, Guttuso, Migneco, Caruso, Greco, Clerici, Guccione; tra gli incisori: Dürer, Platter, Bartolini, Maccari, Zancanaro; fotografi: Capa, Scianna, Sellerio, Leone. Artisti talvolta molto diversi tra ma accomunati in questa sua dichiarazione: «Mi piacciono i pittori che nel loro immediato rapporto con la realtà, le forme, i colori, la luce, sottendono la ricerca di una mediazione intellettuale, culturale, letteraria. I pittori di memoria. I pittori riflessivi. I pittori speculativi. Un sistema di conoscenza che va dalla realtà alla surrealtà, dal fisico al metafisico».

Gli scritti sull’arte di Sciascia denotano un carattere storico culturale, piuttosto che storico-estetico, questo parametro oggi sarebbe ancora valido per tornare a fare critica d’arte onesta ed autentica ?
L’approccio storico culturale, in chiave di Kulturgeschichte, quando vi è una solida formazione storiografica e un’ottima capacità di leggere i fenomeni artistici (nelle diverse accezioni stilistiche, iconografiche, iconologiche, sociali, ecc.) mi sembra possa essere una metodologia valida anche oggi. L’autenticità e l’onestà, poi, sono qualità che pertengono a pochi, ma sono tra le più importanti per fare bene questo lavoro.

La critica d’arte italiana è morta, perché?
Credo che uno dei motivi principali della morte della critica d’arte sia la mancanza di figure di riferimento, non abbiamo più i maestri. E i nuovi presunti-tali non sono lontanamente accostabili a loro. Poi vi sono tante altre ragioni legate al sistema dell’arte, troppo dominato da figure che tutto fanno tranne che vera critica.

Secondo te quali sono i principali difetti della critica d’arte attuale nell’epoca dell’intelligenza artificiale?
La mancanza di punti di vista originali, di schieramenti, la filosofia del politically correct che impedisce di esprimersi in maniera franca di fronte alle opere e agli artisti. Se c’è un aspetto che ci distingue dall’AI è proprio il gusto. Nulla potrà sostituirsi a un critico e al suo personale gusto estetico culturale, frutto di anni di percezione e studio. I sensi sono e rimarranno prerogativa dell’essere umano.

Hai mai scritto un testo critico usando l’intelligenza artificiale, quando e per quale argomento?
No. Ho provato per pura curiosità a testare l’AI e ho riscontrato le enormi contraddizioni che emergono quando chiedi qualcosa di significativo.

Quali sono secondo te i falsi miti del contemporaneo?
Ci sono sempre più personaggi e meno autori nel sistema dell’arte contemporanea (artisti, critici, curatori, manager, advisor, collezionisti, saltimbanchi e improvvisati sedicenti tali) che hanno quasi sempre una cosa in comune: l’idea che l’arte sia per pochi eletti, figli di una borghesia autoreferenziale, e una certa dimensione radical chic basata spesso sul nulla.

Antonello da Messina (Messina, 1429 o 1430 – 1479), Annunciata di Palermo, 1476, Galleria regionale di Palazzo Abatellis, Palermo, olio su tavola, cm. 46 x 34

Trasgressione, provocazione, il gusto per lo scandalo, costruzione di strategie di comunicazione per promuovere l’artista suscitano ancora interesse oppure è “un paradigma” fuori tempo ?

Nell’esercizio della critica d’arte, così come in tutte le professioni artistiche, credo che non esista il concetto di “paradigma fuori tempo”. Esiste l’operato dell’uomo e il relativo giudizio critico, che sarà pur sempre opinabile e relativo. La storia dell’arte è un continuum gnoseologico e percettivo.

Cosa ne pensi della famosa banana (Comedian) di Maurizio Cattelan?
Tralasciando le ovvie associazioni alla radice duchampiana, ritengo l’opera assolutamente inutile (così come perfettamente inutile sarebbe l’arte contemporanea) e altrettanto riflettente l’insensatezza e banalità della società contemporanea. Tuttavia, chi fa arte potrebbe sforzarsi di essere più audace dicendo cose nuove, anche con mezzi tradizionali. E comunque: a ogni tempo la sua arte, a ogni arte la sua libertà.

Chi sono i tuoi maestri di scrittura critica?
Uno sicuramente è stato il mio mentore: Gianni Carlo Sciolla; ma ve ne sono tanti altri, conosciuti attraverso le letture, che vedo più come fari cui ispirarsi nello stile, e vanno da Baudelaire a Paul Valery, da Ragghianti a Gillo Dorfles, per citarne alcuni.

Cosa dovrebbe fare un giovane per diventare critico d’arte?
Seguire tale vocazione con impegno e determinazione; ma la cosa più importante deve essere la curiosità: leggere e rileggere, vedere e rivedere sia il testo scritto che quello visivo come un unico flusso di conoscenza, da cui partire per crearsi una autonoma visione critica delle cose.

Una curiosità, nel nostro confuso presente chi sono “i pochi Felici” ?
Coloro che in qualsiasi campo delle attività umane ci mettono contemporaneamente onestà, passione, poesia, fantasia, gioco e leggerezza. Coloro che, nella società dove il successo si misura in followers e denaro, investono sulla propria interiorità, sull’appagamento e il piacere di fare, anche quando svolgono una professione difficile.

A quale progetto stai lavorando per far conoscere la cultura siciliana nel mondo?
Ultimamente sto lavorando a diversi progetti nuovi e stimolanti, sia editoriali sia curatoriali. Tuttavia, le idee senza percorsi concreti rischiano di rimanere tali. In particolare, posso anticipare, che sto lavorando agli scritti d’arte di Gesualdo Bufalino.

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