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Robert Rauschenberg: agire nell’infraspazio tra arte e vita

Galleria Gesti e Processi Rauschenberg, ph. Marco Bertoli
Robert Rauschenberg, Muse Poodle Roll (Phantom), 1991, Silkscreen ink on anodised mirrored aluminium, 125,7 x 246,4 x 5 cm (49,49 x 97,01 x 1,97 in), Signed & dated on the front (left side) 91.072
Milano e il mondo celebra il centenario della nascita di Robert Rauschenberg (Port Arthur, 1925 – Captiva Island, 2008), artista innovatore, un tornado americano che ha rivoluzionato la pittura e superato classificazioni e barriere tra diversi linguaggi. Passando dal New Dada, alla Pop art agli assemblaggi di materiali diversi in cui combinava object trouvè e ready made con immagini mediatiche e performance, il tornado statunitense ha dato un calcio all’Espressionismo Astratto di Jackson Pollock e Willem De Kooning.

Con John Cage e Merce Cunningham, incontrati durante gli studi al Black Mountain Collage in Carolaina del Nord, il suo percorso si fa sempre più concettuale e performativo, e la connessione tra vita quotidiana diventa opera d’arte. Come sostiene Rauschenberg nel 1961, rispondendo alla domanda del critico André Parinaud dalle colonne della rivista Arts: “I pittori impiegano dei colori che sono anche essi cose fabbricate. Desidero integrare nella mia tela qualsiasi oggetto legato alla vita”.

Come, lo dimostra con Bad (1955), uno dei suoi più importanti lavori, composto da un vero e proprio letto singolo, con il cuscino, lenzuola e coperta, incorniciato e appeso verticalmente, proprio come un quadro, sul quale segni di colore, molto simili alle pennellate dell’Action Painting, si accalcano come su una tela alle sue opere ai suoi combine-painting, ovvero opere combinate.

Con Monogram (1955-1959), la tecnica del collage esplode e comprendiamo ancora più chiaramente cos’è un combine-paintings, una tela stesa orizzontalmente dipinta ancora secondo metodi legati all’Espressionismo Astratto, sulla quale staziona una capra impagliata infilata in un copertone, in memoria di una capretta posseduta dall’artista da bambino.

Dal punto di vista tecnico questo assemblaggio di materiali differenti, fotografie istantanee e oggetti recuperati sovrapposti comprendono informazioni di ogni tipo, senza rispettare una gerarchia specifica tra i messaggi culturalmente elevati e quelli più comuni. L’uso innovativo dei materiali poveri deriva dall’Informale europeo di matrice materica, in particolare dalle opere di Burri, che Rauschenberg stimava e ha incontrato.

Nelle opere dell’artista statunitense la sfera personale è messa in rapporto con simboli e gli oggetti della società dei consumi e dei rifiuti, icone del tempo o immagini della nostra memoria, come dimostra il progetto espositivo concepito per il suo centenario al Museo del Novecento a Milano.

Sappiamo già che dal miart 2025 alle Gallerie d’Italia, passando da Bim a Bicocca, in Triennale a Milano con l’esposizione dedicata a John Giorno (1936-2019), fino alla mostra “Rauschenberg e il Novecento”, a cura di Gianfranco Maraniello, direttore dell’Area Musei d’Arte Moderna e Contemporanea del Comune di Milano, Nicola Ricciardi, direttore per il quinto anno consecutivo della fiera di arte contemporanea intitolata quest’anno among friends, con Viviana Bertanzetti; tutto ruota intorno alla pratica collaborativa e interdisciplinare del suo fare in riferimento all’omonima retrospettiva dedicata a Rauschenberg nel 2017 al Moma di New York. (fino al 29 giugno)

Al Museo del Novecento per la prima volta troviamo otto capolavori di Rauschenberg provenienti da tutta Europa, realizzate tra gli anni Settanta e Ottanta, ospitate nelle sale del Museo del Novecento in dialogo con le collezioni permanenti, intrecciando nuovi significati, contrappunti, narrazioni e trame tra la visione innovativa dell’artista e l’arte italiana dal Futurismo all’Arte Povera e oltre.

Robert Rauschenberg, Summer Glut Fence, 1987Assembled metal parts and plastic objects 107 x 220 x 19 cm © Robert Rauschenberg Foundation / ARS, New York, 2025 Courtesy Galerie Thaddaeus Ropac, London · Paris · Salzburg · Milan · Seoul Photo: Charles Duprat

Organizzata dall’Associazione Arte Totale e promossa dal Comune di Milano-Cultura con il supporto di Fiera Milano e di Marazzi Group, la mostra al Museo del Novecento rappresenta un caso unico di perfetto accordo tra città, gallerie e miart, la fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea organizzata da Fiera Milano.

Curiosità, sperimentazione e approccio collaborativo tra diverse istituzioni pubbliche e private. Rauschenberg è una figura centrale di transizione dall’arte moderna all’arte contemporanea, e questa proposta di nuova lettura nel dialogo anacronistico tra le opere delle collezioni milanesi del Museo del Novecento, nell’attesa dell’Arengario 2 e collegamento aero, passerella come copro vivo tra due edifici storici, con le opere dell’artista statunitense si creano cortocircuiti visivi, sovrapposizioni di visioni e materiali che permettono allo spettatore di ripensare l’evoluzione della storia dell’arte italiana, per trovare nuove trame e scambi di idee.

Il percorso espositivo si snoda su audaci ma azzeccati accostamenti di opere di Raushenberg all’insegna del superamento tra pittura e scultura, e i curatori della mostra con la collaborazione della Robert Rauschenberg Foundation hanno incastonato le sue opere nelle sale da percorrere con calma per scoprire il nuovo allestimento del Museo Novecento.

La mostra è una opportunità per cogliere associazioni formali e concettuali tra le opere delle collezioni in dialogo con quelle dell’artista americano, è il risultato di un riallestimento delle sale iniziato tre anni fa, a partire dal nucleo centrale Futurista, per chiudersi con Lullaby del 1994, realizzata con le macerie del Pac dopo l’attentato di Maurizio Cattelan.

Assemblare, scomporre frammenti di realtà attraverso materiali artificiali che la costituiscono, in sintesi è il fare di Rauschenberg: una pratica dell’avanguardia dal Dadaismo a oggi, che a partire dall’ammasso di ferraglie prese da un auto e Gas Station e pressate in una tela materica rettangolare, della serie Gluts, nella sala del Futurismo tra i capolavori di Giacomo Balla e Umberto Boccioni, l’automobile e per estensione la velocità e progresso, rappresentano un inno alla modernità, e qui tutto torna.

Galleria Gesti e Processi Rauschenberg, ph. Marco Bertoli

Al piano superiore, spicca Bonaparte valica il Gran San Bernardo– dipinto da Jacques-Louis David a inizio Ottocento e rivisitato da Rauschenberg negli anni Ottanta del Novecento, presentato tra i dipinti di Mario Sironi e Carlo Carrà, si respira un certo non so che di epico.

L’opera intitolata Able Was I Ere I Saw Elba, ispirato al leggendario palindromo che Napoleone avrebbe pronunciato prima di attraversare le Alpi, è posta in dialogo anche con la scultura di Arturo Martini, e i morti di Bligny trasalirebbero il cui titolo deriva da un discorso di Mussolini sulle complicate relazioni tra Italia e Francia a metà degli anni Trenta.

E’ un capolavoro la sala che ospita le opere degli anni Cinquanta, con le opere di Alberto Burri, incontrato di persona da Rauschenberg, dove fa capolino uno dei suoi Cardboards, la serie degli inizi degli anni Settanta realizzata con pezzi di cartone, non come supporto, bensì come materiale mostrato nella sua valenza di elemento di scarto.

Nella galleria “Gesti e processi” dedicata agli ultimi decenni del secolo, dagli anni Sessanta agli anni Novanta, recentemente riallestita, in cui metaforicamente dialoga presenza e assenza, tra ombre e figure evanescenti la Scultura d’ombra, opera site-specific di Claudio Parmiggiani per il Museo del Novecento, spicca Phantom di Rauschenberg, una breve serie di opere del 1991 con immagini serigrafate su alluminio specchiato e anodizzato: due immagini oniriche che appaiono e scompaiono a secondo della luce, dei riflessi sulle rispettive.

Bellissima la sala con opere del movimento del Nouveau réalisme, di Daniel Spoerri, Arman e Christo in cui si accorda l’opera Spread dell’artista americano in cui si mescolano immagini trasferite collage di tessuto e oggetti trovati in linea con la pratica assemblativa del movimento teorizzato da Pierre Restany, nel 1960.

Il percorso culmina nella luminosa sala con vista su Piazza del Duomo, che intreccia visioni tra dentro e fuori il museo, la città, e ospita Rosa Nera bianca di Jannis Kounellis e Festa cinese di Mario Schifano, in cui s’innesta Summer Glut Fence, tra i lavori più pop di Rauschenberg.

E’ un assemblaggio con una rosa fiorita, in accordo con quella stilizzata di Kounellis, ultima serie di sculture di metallo. Sul lato desto di questa indimenticabile sala emoziona Hoarfrost di Rauschenberg, un lavoro dei primi anni Settanta, e il titolo di questa serie è una citazione della brina dantesca, come ulteriore segno di legame tra l’artista americano e l’Italia.

Si tratta di un assemblaggio di tessuti di cotone e seta leggeri, drappi fluttuanti, che tra una piega e l’altra rivelano le immagini impresse dall’artista americano di ineffabile leggerezza e poesia.

Robert Rauschenberg, Onoto Snare / ROCI VENEZUELA, 1985, Silkscreen ink, acrylic and graphite on canvas with object
177,2 x 199,1 cm (69,75 x 78,375 in) Rauschenberg 85 (Recto – bottom – right) 85.054

Il percorso si conclude nella sala dedicata alla trasformazione della materia, con opere di Gilberto Zorio e di Eliseo Matiacci, dove Onoto Snare/ Roci Venezuela, del 1985, incarna una ideale sintesi della curiosità di Rauschenberg e del suo bisogno di scambiare idee e progetti con altri artisti.

Da questa mostra ne usciamo confortati, primo perché il nuovo allestimento frutto di un meticoloso lavoro curatoriale permette di cogliere “narrazioni” inattese tra un opera e l’altra prima non evidenti, secondo si comprende che la contaminazione di generi, tecniche, linguaggi è alla base della pratica operativa di Rauschenberg sempre collaborativo con altri artisti diversi da lui, che riflettono la casualità nella creazione e la necessità dell’artista di agire nell’infraspazio tra arte e vita.

E come scrisse l’amico John Cage (1912-1992) compositore sperimentale e teorico musicale, autore del rivoluzionario 4 minuti e 33 secondi di silenzio, del 1952, le opere di Rauschenberg sono la dimostrazione che “la Bellezza sta ora nascosta ovunque ci prendiamo la briga di guardare”. E a noi spettatori curiosi oggi e domani a noi spetta di riconoscerla là dove non ci aspettiamo di trovarla.

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