
A sinistra: foto di Robin de Puy. A destra: foto di Alexandre Guirkinger.
Alla Biennale Arte di Venezia del 2026 (in programma dal 9 maggio al 22 novembre), Paesi Bassi e Lituania annunciano i loro artisti, segnando due percorsi distinti ma accomunati da uno sguardo profondo sul nostro tempo.
Per la prima volta, il padiglione olandese ospiterà una performance dal vivo. A firmarla sarà Dries Verhoeven, artista noto per le sue installazioni e interventi pubblici che mettono in discussione le fratture sociali, la vulnerabilità collettiva e il ruolo dello spettatore. L’intervento pensato per Venezia rifletterà su un senso di incertezza che, secondo Verhoeven, pervade oggi l’Europa. Il padiglione stesso – edificato negli anni del dopoguerra, intrisi di ottimismo – diventa non solo spazio espositivo, ma soggetto e simbolo della riflessione. “Le tensioni geopolitiche sono gravi, per usare un eufemismo”, afferma l’artista. “Voglio rendere tangibile questo disagio all’interno dello ‘spazio sicuro’ della Biennale”. Il progetto è curato da Rieke Vos e promosso dal Mondriaan Fund, ente sostenuto dal Ministero dell’Istruzione, Cultura e Scienza dei Paesi Bassi.
Nel 2021, Verhoeven aveva fatto parlare di sé con Brothers, rise up to freedom, un lavoro che vedeva dieci artisti bulgari – tutti lavoratori migranti – intonare canti sul lavoro attraverso i secoli, immersi nello spazio asettico di un centro di distribuzione automatizzato.
Per la Lituania, sarà invece Eglė Budvytytė a rappresentare il Paese con un nuovo film multicanale e un’installazione che attingono all’eredità di Marija Gimbutas, archeologa lituana nota per le sue teorie sul neolitico e la spiritualità femminile. Il progetto intende indagare il legame profondo tra sacro e quotidiano, tra memoria arcaica e percezione contemporanea.
Il padiglione lituano è commissionato dal Museo nazionale d’arte lituano e curato da Louise O’Kelly, fondatrice del festival londinese Block Universe. Budvytytė, che l’anno scorso ha esordito in Francia con una personale al Frac Île-de-France di Parigi, aveva già esplorato l’universo di Gimbutas nel film Songs from the compost: mutating bodies, imploding stars (2020), girato tra le dune e le pinete della Penisola di Curlandia.