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L’Arte, per morire bene

Vincent Van Gogh, Teschio con sigaretta accesa, 1885 Vincent Van Gogh, Teschio con sigaretta accesa, 1885
Vincent Van Gogh, Teschio con sigaretta accesa, 1885
Vincent Van Gogh, Teschio con sigaretta accesa, 1885
Quando la “morte sociale” è una scelta di vita. Una nuova riflessione trascendentale dell’artista Bruno Ceccobelli

Signore, tuo è il Regno, tua è la Gloria, ma Signore ti avviso: sul pianeta terra l’umanità è morta, ha vinto il pensiero alieno. Il “pensiero alieno” è il pensiero debole, quello fluido e supergender, un pensiero materialista-relativista, un pensiero cieco che domina da almeno mezzo millennio la nostra “palla” mondo.
– Alzatevi in piedi, festeggiamo! –
n.b.: Ultime Notizie su T. (quello che c’ha il dazio più grosso de tutti): “Muoia Sansone con tutti i Filistei!” Adieu au Capitalisme!

Gli induisti chiamano questo tetro periodo storico Kali Yuga. Signore, perdona loro perché non sanno quello che fanno… Oggi, sul nostro pianeta questo potere complottista si chiama “Matrix Tecnocrate”, una spira che obnubila le coscienze mondane; voilà la Società Ketaminica chat-robotica… sì, ecco, la Realtà si è arresa al virtuale, al falso, agli allucinogeni e ai militaristi: tutti viviamo affogati dentro la Post-Realtà.

 

 

Signore, troverai sulla vita terrena solo una peste meccanica con tante anime perse che accendono e spengono le intelligenze artificiali per sganciare le bombe intelligenti.
– Seduti superbi –
Esseri umani diminuiti a figurine, doppioni globali segnalati come un insieme di piccolissimi input, tanti puntini luminosi di qubit… info dati; ora siete solo quei ricordini simil-veri, siete voi questi algoritmi fasulli schedati dentro il Big Data globale: “Bene, bene, complimenti, Facite Vobis!”, vi riconoscete?
– In piedi, memento mori, vanitas! –

 

Frans Hals, Giovane uomo con teschio, 1626
Frans Hals, Giovane uomo con teschio, 1626

 

Non fa niente, tanto sono già morto volontariamente… solo pochi artisti apprezzano la fugacità del tempo, e così io per salvare la mia coscienza, bevvi con convinzione la cicuta dell’invisibilità e passai a miglior vita e anche ad un altro secolo, scelsi il mille e duecento, a T’odi in Natura Naturalis. Ruppi con il sistema dell’arte, attaccai briga con tutti i più grandi galleristi e mercanti, con critici e direttori di musei e di riviste… risultato: sono veramente morto, ma libero artisticamente! Nel ventennio che andò dai fine anni Settanta ai fine anni Novanta, per me, partire per mostrarmi era un po’ morire, “con te partirò”… paura.

Viaggiare per mostrare le opere è stato soprattutto un lavoro spossante, una condanna, prendevo il via con ogni apparecchio, mi affannavo sempre più, ad ogni distacco, la mia anima mi perdeva… nei vari approdi artistici: in lidi lontani o di successo, comunque, mi sentivo estraneo a tutto. All’entrata del mio trentatreesimo compleanno, nel 1984 (anno distopico di George Orwell), dopo aver fatto esposizioni in mezza Europa e una mezza dozzina di mostre a N.Y. City, decisi che fosse giunta la mia giusta ora per morire perché consideravo di aver dato tutto e raggiunto il mio apice.

Nel 1980 ebbi la fortuna di fare mostre in Olanda, sia ad Amsterdam in una collettiva e poi in una personale, nella galleria di Riekje Swart*, sia al Groninger Museum, in una collettiva organizzata dallo storico direttore del contemporaneo Frans Haks, con la collaborazione dei galleristi Yvon Lambert di Parigi e Ugo Ferranti di Roma. Per noi giovani europei dell’epoca sia l’Olanda che Amsterdam erano le piazze più colte della movida promulgatrici delle libertà civili** e artistiche; i musei di punta erano il Museo di Vincent Van Gogh, il classico Rijksmuseum*** (esibisce capolavori di Rembrandt, Hals, Vermeer, Van Dyck) e il contemporaneo Stedelijk Museum****.

 

Rembrandt, La ronda di notte, 1642
Rembrandt, La ronda di notte, 1642

Alcuni stagisti dello Stedelijk Museum, ammirando il mio lavoro esposto già nella galleria Swart, mi fecero avere il permesso di un mese come ospite negli studi del museo, in una darsena del porto, accanto alla grande stazione ferroviaria Amsterdam Centraal. Felice di questa inaspettata sistemazione produssi molte opere ispirate a quell’aria fresca, freschina, di novità che il panorama culturale norreno mi offriva, con quel riscatto cosmopolita d’orgoglio della scommessa fatta sulla mia sorte… una quindicina d’anni prima ero in Umbria, figlio di contadini, ora mi sentivo contadino del Cielo.

“La bellezza è discesa dal cielo per salvarci” diceva Platone. A’DAM, una metropoli che everyday sembrava in festa a misura di biciclette, bionde valchirie in minigonna inforcavano veloci poderose pedalate solcavano la città dagli stretti canali con ponti e altri ponticelli arcuati, è la città delle case su chiatte nere galleggianti ormeggiate in successione lungo le banchine dei navigli con aggiustamenti di sopravvivenza personali, camini fumanti, con orticelli di mariagiovanna, gatti e bici a poppa.

Al centro città quelle eleganti “straten” piene di bandiere con case di mattoni variopinte, inclinate in avanti, da fiaba incantata, addossate a forza, strette, strette, alte a tetti acuti come merletti, poi ad ogni angolo abbondanti cesti di tulipani variopinti dal profumo dolciastro, mi stupivo dalla gioia e non volevo crederci. Mi abbeverai alle opere di quegli artisti locali peculiari contemporanei esposte in tutte le gallerie e coffeeshops della città e ai loro riferimenti storici e ad alcuni di essi feci visita e ne divenni amico, come per esempio il pittore e scultore Alphons Freimuth e il suo amico Reinier Lucassen…

 

Alphons Freimuth, Giaci nudo e libero nel sogno di Lucassen, 1975, 480 x 480 cm
Alphons Freimuth, Giaci nudo e libero nel sogno di Lucassen, 1975, 480 x 480 cm

Questi pittori furono influenzati dal gruppo CO.BR.A., soprattutto da Karel Appel, e da quel “periodo vache” di René Magritte con una somiglianza con le opere del coevo artista americano Philip Guston. Alphons, dodici anni più di me, fu molto alla mano, alto e magro, frugale e sornione, barba sempre incolta, abitava e dipingeva in uno studio situato nel bel mezzo del quartiere rosso, proprio sopra ad una di quelle vetrine del sex-market; diceva che gli era più facile avere collezionisti, modelle, amicizie… e affitto a buon profitto!

Ma la scoperta artistica più eclatante fu quella molto chiacchierata nelle gallerie della città, ma sconosciuta all’estero: la strana realtà dell’artista comportamentale, vicino al movimento Fluxus, Anton Heyboer. Chiesi più volte al critico d’arte amsterdamese più in voga, l’italianofono Hans Sizoo (parlava la nostra lingua perché all’estero la Storia dell’Arte si studia in italiano; Sizoo per dieci anni venne fino al 2010 a girare le città storiche umbre inforcando, senza fatica, la sua usuale bicicletta da corsa gialla), di poter visitare lo strambo pittore Anton Heyboer, 1924-2005, mi rispondeva senza eccezione che sarebbe stato difficile… più avanti ne compresi il riserbo.

 

Hans Sizoo, 2019
Hans Sizoo, 2019

In Nederland, Anton Heyboer era considerato un artista vero, mistico e alter ego ombra di Joseph Beuys; in effetti aveva una sua versione filosofica esistenziale intimista, tutta particolare a dir poco; nato da genitori Tedeschi, naturalizzato olandese, nel 1951 si fece ricoverare volontariamente in un ospedale psichiatrico a causa di un esaurimento nervoso*****, Anton era di carattere instabile, nutriva una idiosincrasia sociale.
Nel 1980 viveva nel nord della capitale, isolato in periferia, con una comunità di fedeli: quattro mogli e parecchi cani, in un atelier da self-made man, “bidonville”.

 

 

Heyboer, pittore autodidatta, filosofo cinico, evitava la sua presenza nelle gallerie e nei musei e tra il pubblico, fece molte incisioni che anticipavano la maniera dei graffitisti americani e disegni che cercavano di collimare con le sue teorie poetiche-esoteriche ed erano una sua Action-Painting che auspicava la distruzione delle forme e una società più naturale e religiosa, un’estetica che noi, oggi, definiremmo “anarco-ambientalista”.

La mattina, prima di iniziare qualsiasi lavoro, Anton aveva il suo rituale, quello di mettersi in croce… una sua continua rinascita imitando il Cristo, così sperava di ottenere un nuovo paradiso; nei suoi paradigmi schematici tratteggiava numeri (inventò un sistema come l’Enneagramma da lui chiamato NONIUS), donne e uomini nudi ritratti insieme ad animali (simboli dell’inconscio) in amorosi contatti.

 

Anton Heyboer, cristo e mogli
Anton Heyboer, cristo e mogli

Uno dei suoi concetti era, in sintesi,”…L’arte comincia dalla religione, quindi il vero nell’arte è basato sulla religione, religione significa: liberarsi della materia…”. E diceva anche “…Fisicamente sono un uomo, ma ho un’anima di donna…”.

 

Anton Heyboer, disegni teoretici, 1963
Anton Heyboer, disegni teoretici, 1963

 

Anton Heyboer, grafiche, 1963
Anton Heyboer, grafiche, 1963

 

Anton Heyboer, pitture, 1963, 1963 e 1985
Anton Heyboer, pitture, 1963, 1963 e 1985

– In piedi bot umanoidi –
Rendiamo grazie al Signore, Signore, tu mi hai dato la Vita io ti darò l’Arte. E così morii bene. “Amai l’arte più della mia vita”.

*Riekje Swart nel 1980 era un’anziana gallerista dalla figura asciutta, vestiva sempre di nero, con occhiali spessi e pesanti che le segnavano il naso, tabagista, fumava esclusivamente sigarette al mentolo… la sua galleria, nella capitale olandese, era la più considerata da lunga data; negli anni sessanta fece anche la mostra di Lucio Fontana e mi parlò di lui come di un uomo molto elegante, gentile e generoso con i giovani.
**Diritti Civili in Olanda nel 1980 erano i valori consolidati dalla controcultura degli Hippies, Punk ed Emo: “sesso droga e rock’n’roll”.
***Lo Stedelijk Museum è stato in quegli anni il museo più d’avanguardia in Europa, soprattutto mostrava una sala intera dedicata alle opere e ai disegni di Kazimir Malevich e io ne ero estasiato.
****Al Rijksmuseum c’era la famosa “Ronda” di Rembrandt; lì imparai la lezione della luce come materia e la pasta del colore come atmosfera soave nella pittura della notte.
*****Ospedale Psichiatrico: in quegli anni ho riscontrato che in quelle terre strappate dal mare, questa anomala metodologia rituale mitica romantica di “passaggio” nell’ospedale psichiatrico, risaliva al passato “imperfetto” dall’eccentricità di Erasmo da Rotterdam che scrisse “Elogia della follia” nel 1509, risaliva ancora ai vari ricoveri nei manicomi, fino al suicidio di Van Gogh… questa sindrome volontaria colpiva, classicamente, soprattutto gli artisti giovani che lì conobbi, forse una patente per il successo.

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