
Se dovessi morire fa che sia un racconto. Queste sono le parole con cui si chiude una poesia del poeta palestinese Refaat Alareer, ucciso a Gaza in un raid israeliano nella notte tra il 6 e il 7 dicembre 2023. Parole che oggi suonano come un monito a ricordare, a non dimenticare. Come un invito, cioè, alla responsabilità collettiva di una “vera” e reale narrazione. Quella narrazione – intensa, corale e necessaria – che dal 24 aprile al 2 maggio a Bagnacavallo, tra le mura cariche di storia dell’Ex Convento di San Francesco, prende vita grazie alla mostra fotografica di Lorenzo Tugnoli – unico fotoreporter italiano ad aver vinto il Premio Pulitzer – che, in 40 scatti di grande formato, immortala l’ultima escalation militare tra Israele, Palestina e Libano.
Le immagini, realizzate a partire dall’ottobre del 2023, si articolano in un percorso ad episodi, ciascuno dedicato a un tema “chiave” – come la documentazione, la testimonianza e l’evidenza. Ma al centro, resta l’idea di Sumud, parola araba che indica una forma di resistenza silenziosa, quotidiana e profondamente radicata.

Una mostra che, a cura di Francesca Recchia, non si pone l’obiettivo di dare risposte, ma di sollevare domande, offrendo una narrazione stratificata – integrata anche dall’elaborazione visiva di dati e statistiche – sulle difficoltà, le manipolazioni e i silenzi che hanno caratterizzato (e purtroppo caratterizzano ancora) l’atteggiamento dei media e del pubblico attorno al conflitto arabo-israeliano – iniziato proprio ad ottobre 2023.
Perché, come dice la curatrice, “se da una parte siamo testimoni – a volte passivi, complici o indignati – di una brutalità senza precedenti, dall’altra assistiamo al rischio di assuefazione di una presa di coscienza delle numerose omissioni da parte dei mezzi di comunicazione di massa”.

Degli aspetti che – come i giri di parole per indicare termini precisi o censure per velare orrori – non fanno altro che mettere in discussione “le radici stesse del diritto fondamentale di conoscere i fatti”. Quei fatti di fronte ai quali talvolta ci si sente forse anche un po’ colpevoli per non aver riservato loro una giusta attenzione.
Perché la mostra di Tugnoli è questo in fondo: un atto di resistenza culturale. Un’esortazione a non voltarsi più dall’altra parte per fermarsi. Fermarsi, anche solo per un attimo, a riflettere su ciò che è realmente stato e ciò che potrà ancora essere.














