
Non è la prima volta che Banksy si prende gioco del sistema dell’arte. Ma a quasi vent’anni da uno dei suoi blitz più noti – l’infiltrazione di un’opera al Metropolitan Museum of Art di New York – nuove rivelazioni gettano una luce inaspettata sull’episodio e sul destino del quadro “scomparso”.
Correva l’anno 2005 quando l’artista britannico riuscì a piazzare una sua opera tra le sale del Met, senza alcuna autorizzazione. Il dipinto, 25×38 cm in cornice dorata, raffigurava una donna con una maschera antigas, accompagnata da una targhetta tanto provocatoria quanto surreale: “Banksy, 1975. Ultimo respiro. Olio su tavola. Donato dall’artista”.
Il gesto fece scalpore. Ma oggi, John Barelli – all’epoca capo della sicurezza del museo – rivela al New Yorker che Banksy non agì da solo. A spalleggiarlo, tre complici: due attirarono l’attenzione delle guardie fingendo un litigio, mentre il terzo, camuffato con barba finta e cappello di tweed, approfittò della confusione per attaccare furtivamente il dipinto al muro con del semplice nastro biadesivo.
L’azione durò pochi minuti, ma lasciò il segno. E non solo sulla parete del museo.
Un mese dopo, secondo Barelli, Banksy avrebbe tentato di recuperare l’opera. “Ci chiamò il nostro ufficio legale, dicendo che l’artista la voleva indietro”, racconta. “Risposi: ‘Non può. L’abbiamo buttata via’”.
Ma la realtà pare essere un po’ più sfumata. Come spesso accade, la linea tra ciò che è stato fatto e ciò che si racconta di aver fatto si fa sottile. L’avvocato Raymond Dowd, esperto in diritto dell’arte, sottolinea come la questione della proprietà sia ambigua: “Una guardia può benissimo salvare qualcosa dalla spazzatura. Non è illegale, finché nessuno se ne accorge. Ma se quell’oggetto acquisisce valore… beh, allora cambiano le cose”.
E infatti: il Last Breath non è mai entrato ufficialmente nella collezione del Met, come confermato dal museo stesso. Ma Barelli, nel corso degli anni, ha offerto versioni differenti sul destino del quadro. A un certo punto, confessa di aver ordinato al suo assistente Ed Devlin di sbarazzarsene. Devlin – veterano della Seconda Guerra Mondiale e uomo di sicurezza al Met per oltre vent’anni – avrebbe dovuto farlo sparire. Ma non lo fece. “Lo lasciò nel mio ufficio”, ammette oggi Barelli.
E allora, dov’è finito il Banksy? Dopo anni di silenzi e versioni contraddittorie, arriva la confessione. Con tono ironico e sornione, Barell – oggi in pensione – chiude il cerchio: “Alla fine l’ho preso io. Se un giorno mi serviranno soldi… chissà”.













