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Deborah Needleman intreccia mondi a Casa Yali

Deborah Needleman, Weaving Between Land and Sea, foto di Giacomo Bianco, courtesy CASA YALI_ in foto Deborah Needleman in Forte Sant'Andrea
Casa Yali, ph. Milda Bend
Metti che un giorno decidi di lasciare New York — la città che corre — e vai a Venezia — la città che si disfa lentamente — per imparare a intrecciare ceste con l’erba salata raccolta tra le barene. Cosa può succedere? Se sei Deborah Needleman, succede che trasformi una residenza artistica in un piccolo miracolo quotidiano. Succede che passi mesi a camminare lungo le isole scomposte della laguna, a sporcarti i pantaloni nel fango, a tirare su piante dimenticate da chi ha smesso di guardare troppo in basso. E succede, soprattutto, che ne venga fuori qualcosa di così preciso e commovente che chi passa per caso da Ramo Malipiero, a Venezia, si ferma, respira l’aria salmastra e resta.

Dall’8 maggio all’8 agosto 2025, CASA YALI ospita Weaving: Between Land and Sea, la prima mostra veneziana di Needleman. Non un’esposizione tradizionale: piuttosto una confessione lenta, sussurrata tra materiali naturali, arte antica e mani che si ricordano come fare. Ma prima della mostra c’è stata la residenza. Tre mesi di lavoro aperto, di porte che non si chiudevano mai davvero, di studio che diventava laboratorio e poi, ancora, luogo di incontro. Gente che entrava per curiosità e usciva con le mani che pizzicavano dal desiderio di costruire qualcosa.

L’idea era semplice. Semplice come sono le idee buone: Deborah voleva raccogliere piante autoctone — quelle che vivono dove l’acqua si ferma e la terra galleggia — e usarle per intrecciare. Non solo ceste, ma storie. Oggetti che parlassero il dialetto della laguna. Perché a Venezia tutto parla: le pietre, le pozze, i gabbiani, perfino le vere da pozzo. Needleman, che ha lavorato una vita con l’estetica e la materia delle cose, ha saputo ascoltare.

Deborah Needleman, Weaving Between Land and Sea, foto di Giacomo Bianco, courtesy CASA YALI. in foto Deborah Needleman in Forte Sant’Andrea

Ha visto, ad esempio, nella decorazione a intreccio della vera da pozzo di Corte Gregolina un’eco delle ceste antiche. Ha letto, nelle pieghe del portico di San Marco, la memoria di mani spagnole che un giorno portarono qui l’arte dell’intrecciare diagonale. Ha trovato, nell’affresco di Giandomenico Tiepolo a Ca’ Rezzonico — quel San Gerolamo Miani che prega con la cesta a lato — una scusa perfetta per andare fino a Bagnacavallo, in Romagna, all’Ecomuseo delle Erbe Palustri, e imparare davvero, alla radice, l’antica sapienza delle paludi. Ogni gesto, ogni filo, ogni torsione è diventata allora parte di una nuova grammatica, una lingua senza parole fatta di vimini, paglia e sale.

E il pubblico? È invitato. Invitato a sporcare le mani, a sentire la resistenza della fibra sotto le dita, a riscoprire che la creatività non è una fuga dalla realtà, ma un modo diverso di starci dentro. Martedì 6 maggio, per esempio, c’è una giornata intera pensata proprio così: una raccolta mattutina tra le barene della Laguna Nord, un laboratorio pratico a CASA YALI, e poi un pranzo condiviso — niente catering algido, ma una vera tavola di persone che si sono appena conosciute e hanno già qualcosa da raccontarsi. E poi, giovedì 8 maggio alle 18:30, Deborah Needleman parlerà con Jane Da Mosto, fondatrice di We Are Here Venice, di lagune, intrecci e resistenze. Dopo, ancora, cibo buono, cucinato da Lorenzo Barbasetti di Prun — quello di The Tidal Garden — con ingredienti raccolti tra terra e acqua, proprio come le piante che hanno dato vita alle ceste.

Deborah Needleman, Weaving Between Land and Sea, foto di Giacomo Bianco, courtesy CASA YALI

Weaving: Between Land and Sea non è (solo) una mostra. È una dichiarazione d’amore a un modo di vivere più attento, più lento, più vero. È una promessa: che anche oggi, nel tempo delle notifiche e dei jet lag, possiamo ancora imparare a intrecciare i nostri giorni con la cura di chi si china, raccoglie, e crea. CASA YALI, ancora una volta, diventa così il teatro naturale di queste metamorfosi gentili. Uno spazio che sa ospitare senza sopraffare, che accoglie senza bisogno di alzare la voce. Un posto dove, per qualche ora, possiamo forse ricordare chi siamo davvero.

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