
Una wunderkammer del Ventunesimo secolo, dove al posto di conchiglie rare e corna di narvalo si incrociano sguardi di ibis, ghepardi, pettirossi e fenicotteri, minuziosamente disegnati con colori pastello su grandi fogli di carta di gelso taiwanese. La seconda personale di Marta Roberti Due mondi – e io vengo dall’altro, curata da Cecilia Canziani nella galleria z2o, è un poetico viaggio in un mondo simbolico, ai confini tra animale e umano, mito e realtà, che prende le mosse dalla poesia di Cristina Campo Diario bizantino, che ha accompagnato l’artista durante un recente viaggio in Egitto.
Lo stesso senso di sospensione che appartiene alla scrittura della Campo si percepisce nelle opere di Roberti, che abitano lo spazio in maniera discreta ma equilibrata. Presenze timide e silenziose, quasi ignare delle loro sagome eleganti e flessuose, che sembrano emergere dalla trama leggera della carta come apparizioni fantasmatiche. Interessanti i ritratti come sfingi o trampolieri, abbinati a produzioni su nuovi supporti come la carta carbone o preziosi ricami in cotone, seta e fili metallici, che esplorano “la relazione tra decorazione e disegno che avviene anche isolando elementi appartenenti al mondo naturale per trasporli da disegno a ricamo o soggetto autonomo, non più presentato nella sua relazione usuale con il corpo e l’autoritratto” puntualizza Canziani.
All’interno della mostra spiccano in particolare Autoritratto in Posa Di Fenicottero (2023), Un mare di pesci (2024), Ibis (2025) e Palmetta (2025), ma l’intera esposizione rappresenta un modello di equilibrio e consapevolezza spaziale e immaginifica.

Un effetto simile a quello della personale di Salvatore Arancio Neither His Nor Yours da Federica Schiavo, che unisce serie di opere recenti realizzate in due occasioni diverse, dalla personale al museo MACTE di Termoli nel 2024 a quella, l’anno precedente, al Château-Musée di Tournon-sur-Rhône. Al MACTE di Termoli Arancio aveva esposto 5 sculture in ceramica smaltata, appoggiate su basi in cemento, ispirate a una visita compiuta dall’artista nel 2016 al Bruno Weber Park di Dietikon, in Svizzera – un parco di sculture creato dall’artista svizzero Bruno Weber che hanno ispirato i lavori di Arancio, realizzati con forme avveniristiche e simboliche, eseguite con colori fluorescenti in una bottega di ceramica tradizionale, durante una residenza in Ungheria.
Opere distopiche e surreali in dialogo con le trame geometriche degli arazzi realizzati in Francia, ispirati alla fabbrica tessile Impression et Teinture De Tournon (ITDT), che richiamano motivi futuristi e decò. Forse l’opera più inquietante della mostra è Le Rayon Vert, un pastello su carta legato alle ricerche recenti di Arancio sul fenomeno del raggio verde, mentre i tre collage fotografici della serie Mineral Being appaiono molto preziosi nella loro definizione materica.

L’ultima personale da non perdere è Mi sto avvicinando a te, la seconda mostra dell’artista marocchino M’barek Bouhchichi nella galleria di Valentina Bonomo, curata da Chiara Ianeselli. Se nel 2018 Bouhchichi aveva presentato lavori tridimensionali, in questo nuovo appuntamento il focus è costituito da una serie di ritratti di persone di pelle nera, dipinti con acrilico e bitume sullo stesso sfondo, un foglio giallo di caucciù, materiale legato ad antiche memorie di schiavitù e sofferenza.
“Il caucciù veniva estratto dalla corteccia degli alberi di acacia. Gli schiavi raccoglievano, estraevano e trasportavano la gomma, soprattutto attraverso le acque del fiume Senegal e la rotta atlantica” sottolinea la curatrice. “Sono volti caratterizzati da un senso di forte consapevolezza della propria identità – spiega l’artista – che appartengono a persone a me vicine, che ho ricostruito attraverso immagini e ricordi”.
All’energia magnetica di questi volti superbi e fieri si unisce la delicatezza della scultura poggiata a terra: il calco in metallo di un fiore di agave, che fiorisce alla fine del ciclo vitale di questa pianta, che può durare molti anni. Una metafora della fragilità degli esseri viventi ma anche della resilienza che li porta a raccogliere luce ed energia per lungo tempo, prima di esplodere e spargere i semi sul terreno, in un momento che rappresenta la fine e l’inizio della vita, colto in maniera puntuale dall’artista













