
All’ombra imponente della Grande Piramide si erge, silenziosa e misteriosa, la Grande Sfinge di Giza. Con i suoi 20 metri d’altezza e il corpo di leone, questa creatura mitologica scolpita nella roccia è uno dei simboli più iconici dell’antico Egitto. Ma dietro lo sguardo enigmatico scolpito nella pietra si cela una domanda che da secoli tormenta gli archeologi: di chi è quel volto?
Nonostante l’aura mitologica che la circonda, la Sfinge non sarebbe affatto una chimera fantastica, ma il ritratto di un vero faraone. Il problema? Nessuno sa con certezza quale.
Molti studiosi concordano sul fatto che la statua risalga alla IV dinastia dell’Antico Regno (2613-2494 a.C.), ma da qui in poi le teorie si dividono. Alcuni ritengono che sia stato il faraone Chefren a farsi scolpire nella roccia, trasformandosi per l’eternità in guardiano del deserto. Altri puntano invece il dito su suo fratello Redjedef, che avrebbe voluto onorare il padre Cheope, lo stesso artefice della celebre piramide accanto.

A complicare le cose ci pensa il tempo. Millenni di erosione, sabbia e distruzione – compresa una presunta cannonata dei soldati di Napoleone – hanno sfigurato il volto della Sfinge, rendendo ancora più difficile l’identificazione.
Eppure, alcune prove sono emerse. Già nel 1853 l’archeologo francese Auguste Mariette trovò una statua a grandezza naturale di Chefren proprio vicino alla Sfinge. Non solo: scoprì anche una strada che collegava il complesso templare della Sfinge con la piramide di Chefren. Coincidenze?
Negli anni ’80, l’egittologo americano Mark Lehner e il geologo tedesco Tom Aigner dimostrarono che molte delle strutture vicine furono costruite con lo stesso tipo di calcare – ricco di fossili – usato per la Sfinge. Per Zahi Hawass, ex ministro egiziano delle Antichità, non ci sono dubbi: “La Sfinge rappresenta Chefren ed è parte integrante del suo complesso funerario”, scrive nel suo libro Mountains of the Pharaohs.
Sebbene il mistero non sia ancora del tutto risolto, l’ipotesi Chefren sembra oggi la più accreditata. Ma, come spesso accade in Egitto, tra dune e leggende, ogni risposta è solo l’inizio di una nuova domanda.
