
Pierluigi Slis e la continua trasformazione dell’esperienza artistica: un progetto espositivo che rifiuta la staticità e invita il pubblico a diventare parte della creazione
C’è un modo di fare arte che rifiuta la comodità del già fatto, del prodotto finito e impacchettato. Un modo che non si accontenta della contemplazione a distanza, ma cerca l’esperienza viva, l’interazione, il margine dove le cose possono ancora accadere. È questo lo spazio in cui si muove “Unexpected Folding”, progetto espositivo di Pierluigi Slis ospitato fino all’11 maggio negli spazi di Villa Brandolini a Pieve di Soligo, a cura di Amerigo Mariotti e Giorgia Tronconi per Adiacenze.
Il titolo, che evoca piegature impreviste e deviazioni dalla linearità, è già una dichiarazione d’intenti: ciò che interessa a Slis è il momento della torsione, la soglia, il passaggio. Non ci troviamo di fronte a una mostra tradizionale, ma a un ambiente in trasformazione continua, dove il tempo dell’esposizione coincide con quello della produzione. Le opere non sono fissate nella loro forma finale, ma si modificano durante le settimane di apertura, anche grazie al confronto diretto con il pubblico.

“È come invitare qualcuno a casa propria, in giardino, con le ciabatte ai piedi”, ha raccontato l’artista durante l’incontro pubblico del 3 maggio. Un’immagine disarmante nella sua semplicità, che rivela però il cuore di tutto il progetto: creare uno spazio intimo e autentico in cui artista e visitatore possano condividere dubbi, tensioni, esperienze.
Pierluigi Slis, nato a Wuppertal nel 1974 e attivo tra Revine Lago e Treviso, lavora da tempo sulla relazione tra arte e quotidianità, tra vissuto personale e forme estetiche. La sua pratica si nutre del frammento, del dettaglio che spesso sfugge, dell’incontro non pianificato. I suoi lavori, come Behind the Land o Daddy Shake, non cercano mai la perfezione formale, ma piuttosto una verità emozionale, una vibrazione interna.
In Unexpected Folding, questo approccio si fa radicale: ogni opera è una soglia, una trama aperta che può essere attraversata da nuove narrazioni. Il progetto stesso si è costruito per tappe, attraverso residenze, dialoghi, momenti di lavoro e restituzione condivisa. Il 3 maggio non ha segnato la “chiusura” del processo, ma un suo rilancio pubblico, un ulteriore punto di piega.

Per l’ennesima volta mi ritrovo a guardare un artista che parla come si deve, che si esprime attraverso le sue opere e che non ha paura alcuna di dirla alla sua maniera, cosa rara. E rivedo questa bellezza in provincia. Di nuovo. La nuova frontiera è qui. In provincia si continua a fare arte vera, che parla, per davvero e a tutti.
Merito anche dei curatori, che hanno saputo costruire un contesto espositivo accogliente ma non addomesticato, dove la vulnerabilità dell’artista non viene mascherata, ma valorizzata. Il pubblico è chiamato non solo a osservare, ma a partecipare, a lasciarsi coinvolgere senza sapere esattamente cosa succederà. E in questo tempo dominato da performance, metriche e velocità, è una proposta radicale.
Slis non cerca spettatori, ma presenze. Non chiede consenso, ma attenzione. La sua arte non grida, non illustra, non denuncia. Si insinua, si apre, si piega. Ed è proprio in quella piega inattesa che succede qualcosa.














