
Una delle case d’asta più prestigiose al mondo, Sotheby’s, si trova al centro della bufera per aver messo all’asta, a Hong Kong, una collezione di oltre 300 gemme antiche legate al Buddha. Stimata a partire da 1,3 milioni di dollari, l’operazione ha scatenato la dura reazione di accademici, leader spirituali buddisti e persino del governo indiano, che denunciano l’asta come un caso emblematico di imperialismo culturale mascherato da commercio legittimo
Le gemme, definite da Sotheby’s “le reliquie Piprahwa del Buddha”, provengono da una scoperta del 1898 da parte dell’ingegnere coloniale britannico William Claxton Peppé, che scavò uno stupa a Kapilavastu, nell’attuale Uttar Pradesh, dove secondo la tradizione viveva la famiglia del Buddha. Tra le pietre preziose – ametista, granati, perle e cristalli – furono trovati anche frammenti di ossa e cenere, ritenuti resti del Buddha stesso. Ma per molti studiosi, quelle gemme non sono semplici oggetti ornamentali: sono “sharira”, vere e proprie reliquie sacre permeate della presenza del Buddha.
La contestazione ha preso slancio dopo un appello pubblicato il 22 aprile sul Religion News Service da Conan Cheong, esperto di arte buddista, e Ashley Thompson, docente alla SOAS University di Londra. La loro denuncia è chiara: “Questa vendita è l’eredità violenta del colonialismo, che continua sotto il velo dell’arte e della legalità commerciale.”

Secondo gli studiosi, Peppé non aveva alcun diritto di impossessarsi delle reliquie, né i suoi discendenti – oggi venditori – possono rivendicarne la proprietà. Nonostante Sotheby’s abbia assicurato di aver rispettato tutte le norme legali e di provenienza, il Ministero della Cultura indiano ha inviato una nota ufficiale chiedendo l’immediata sospensione della vendita. “Queste reliquie rappresentano un patrimonio sacro e inalienabile per l’India e per la comunità buddista globale”, si legge nella dichiarazione.
Il governo indiano contesta anche l’etichettatura degli oggetti come “duplicati” e si appella a precedenti internazionali di rimpatrio di beni culturali. “La sacralità delle reliquie va rispettata” scrive il Ministero, “e invitiamo Sotheby’s e la famiglia Peppé a una soluzione condivisa nell’interesse pubblico”.
Per i fedeli buddisti, le gemme di Piprahwa non sono semplici pezzi da museo, né tantomeno merce da collezione. Donati secoli fa come offerte votive, dovevano accompagnare le spoglie del Buddha per l’eternità. La vendita, per molti, rappresenta uno sfregio al senso più profondo della devozione religiosa.
Negli ultimi anni, i discendenti di Peppé hanno esposto le gemme in musei internazionali, da Zurigo a New York, ma per gli accademici questa visibilità sembra oggi più una strategia di marketing che un atto di condivisione culturale. “Sarebbe tragico”, concludono Cheong e Thompson, “se queste reliquie finissero per sempre in una collezione privata, lontano dalla loro terra e dal loro significato”.