C’è un nuovo fantasma a Venezia. Non è Casanova, non è Corto Maltese. È anonimo, arriva dal Giappone e non vuole il tuo denaro. O meglio: lo vuole, ma solo per restituirlo trasformato in luce, tubi fluorescenti, fiori giganti e riflessi d’acqua. Si chiama anonymous art project, ed è qualcosa che assomiglia a un’utopia con il jet lag. Nel maggio 2025, in perfetta sincronia con la Biennale Architettura, questo programma filantropico visionario ha scelto Venezia – la città anfibia, la città-labirinto, la città-cartolina che non smette mai di essere anche un campo di battaglia estetico – per il suo debutto europeo. E lo fa con due mostre che sembrano sogni architettonici realizzati da un’AI giapponese educata da un monaco zen e da Wes Anderson.
La prima si chiama LINES by Kengo Kito. È ospitata nel Cortile dell’Agrippa, che non è il titolo di un romanzo storico ma un luogo reale, incastonato tra i marmi veneziani del Museo Archeologico Nazionale. Qui Kito, artista di Nagoya che ha lavorato con tutto, dagli hula hoop agli specchi, installa una costellazione di tubi quadrati fluorescenti su una base ovale riflettente. L’effetto è quello di un’aurora boreale geometrica, un abaco postmoderno caduto dal cielo tra le colonne rinascimentali progettate da Scamozzi. Ogni tubo è un segmento di silenzio che vibra, un trattino luminoso che cerca di dire qualcosa che non è mai stato detto.
“Ma” – dicono i giapponesi – è la parola chiave. Non il “ma” delle obiezioni, ma quello degli intervalli: lo spazio tra le cose, tra te e il tempo, tra un tubo rosa e il cielo veneziano. Kito esplora questo “ma” come fosse il suono che si sente tra due respiri, e lo fa con la grazia sobria di chi sa che il pubblico di Venezia è difficile da stupire, ma non da commuovere. La sua installazione è anche il grimaldello che apre un nuovo ingresso al museo, il civico 17, rimasto silente per decenni, e ora pronto a trasformarsi in una porta spazio-temporale verso l’arte greco-romana, con tanto di abbonamento annuale per i locali. È come se un tubo al neon avesse bussato a un portale del ‘500 e detto: “Scusa, posso entrare?” E il portale abbia risposto: “Prego, accomodati”.
Kengo Kito, ph. Ilaria Zago
La seconda mostra, INTERSTICE, è un’altra storia. O meglio: è la stessa storia, ma vista dal lato emotivo. L’autrice è Mika Ninagawa, superstar della fotografia giapponese, conosciuta per i suoi colori radioattivi, i suoi fiori iperrealistici e un’estetica pop che potrebbe tranquillamente invadere un tempio shintoista senza farselo notare. Qui è accompagnata da EiM (Eternity in a Moment), un collettivo che sembra uscito da un romanzo cyberpunk: ci sono data scientist, lighting designer, registi, e una poetica che unisce petali e pixel.
Palazzo Bollani diventa, per due mesi, un caleidoscopio percorribile. I visitatori non entrano in una sala, ma in un battito di ciglia accelerato. Ci sono fiori – veri e finti, chi lo sa – che galleggiano tra superfici riflettenti e luci intermittenti. È come se un giardino avesse fatto un sogno in cui diventava un rave spirituale. Ninagawa esplora l’interstizio – quel micro-spazio tra il visibile e l’invisibile, tra la vita e l’arte – e lo fa con una delicatezza feroce. L’esperienza è immersiva, e chi ne esce non è lo stesso di quando è entrato. Forse è più fragile. O forse più presente.
Entrambe le mostre sono figlie di una visione. Hiroyuki Maki, l’uomo dietro anonymous art project, ha pensato che forse, per una volta, l’arte non dovesse vendersi, ma restituire. Che l’arte potesse diventare una forma di responsabilità, di restituzione sociale. Ha cominciato donando 160 opere a musei giapponesi, organizzando concorsi per giovani artisti, finanziando viaggi studio a Basilea e Hong Kong, e – cosa più importante – rifiutando la logica del profitto. Il suo sogno? Una “recita scolastica per adulti”. Un “festival culturale” dove nessuno vince, ma tutti apprendono qualcosa.
Kengo Kito, ph. Ilaria Zago
E così arriviamo a domani, 10 maggio, quando Venezia, più che mai, diventerà una cucina pop-up per anime affamate: L PACK e SCREWDRIVER porteranno un evento performativo a tema street food giapponese nel cortile di Palazzo Bollani, con l’oden – una zuppa calda, affettuosa, sussurrata – a fungere da mediatore culturale tra mondi diversi. Sarà arte che si mangia, arte che si ascolta, arte che si guarda da dentro. E se tutto questo ti sembra troppo bello per essere vero, forse è perché lo è. Ma anche i sogni hanno bisogno di realtà per essere condivisi. anonymous art project ha iniziato a costruire un ponte, uno fatto di petali, tubi di luce e filosofia. E Venezia – che di ponti ne sa qualcosa – ha deciso di attraversarlo.
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