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Antiaccademici e rivoluzionari. Crack alla Galleria Gracis: intervista a Laura Cherubini

Il Gruppo Crack, a cura di Laura Cherubini, Galleria Gracis, Milano, installation view (ph. credit Fabio Mantegna) Il Gruppo Crack, a cura di Laura Cherubini, Galleria Gracis, Milano, installation view (ph. credit Fabio Mantegna)
Il Gruppo Crack, a cura di Laura Cherubini, Galleria Gracis, Milano, installation view (ph. credit Fabio Mantegna)
Il Gruppo Crack, a cura di Laura Cherubini, Galleria Gracis, Milano, installation view (ph. credit Fabio Mantegna)
La curatrice Laura Cherubini racconta presupposti e dettagli della storica mostra che la Galleria Gracis di Milano dedica al Gruppo Crack

L’intento era fortemente antiaccademico. Di rivoluzionario secondo me c’era la volontà di stare insieme mantenendo le differenze”. In termini generali vi abbiamo già parlato della storica mostra che la Galleria Gracis di Milano dedica al Gruppo Crack. Ora diamo la parola alla curatrice Laura Cherubini, che in questa intervista entra nel dettaglio delle motivazioni alla base del progetto espositivo e delle dinamiche interne all’atipico gruppo di intellettuali. Visitabile fino al 20 giugno, l’inedita mostra riscopre infatti una pagina dimenticata dell’arte italiana. E ci sembra necessario lasciare un segno forte di questo evento.

Nato nel 1960 da otto protagonisti della scena romana – tra cui Cascella, Dorazio, Rotella, Turcato e il critico Cesare Vivaldi -, il Gruppo Crack fu un esperimento collettivo radicale, durato solo un anno, ma carico di tensione innovativa. La mostra, che si avvale anche del contributo di Francesco Guzzetti, racconta per la prima volta questa esperienza visionaria attraverso opere originali, materiali d’archivio e un nuovo catalogo che include anche la rara pubblicazione dell’epoca. Un’occasione unica per rileggere la storia dell’avanguardia italiana tra gli anni ’50 e ’60. La parola ora alla curatrice…

 

Laura Cherubini
Laura Cherubini

Come è nata l’idea di riportare alla luce l’esperienza del Gruppo Crack?
L’idea è nata molto tempo fa perché mi avevano parlato molto di Crack due cari amici artisti, Fabio Mauri e Gino Marotta. Ero molto incuriosita, loro ne parlavano come di un esperimento unico e importante.

Il Gruppo Crack è stato attivo per un solo anno. Secondo te, perché è stato così effimero, e cosa rende oggi attuale il loro messaggio?
Penso che il gruppo Crack sia durato poco più di un anno per la stessa ragione per cui era nato, cioè le grandi differenze tra i suoi membri.

 

Il Gruppo Crack, a cura di Laura Cherubini, Galleria Gracis, Milano, installation view (ph. credit Fabio Mantegna)
Il Gruppo Crack, a cura di Laura Cherubini, Galleria Gracis, Milano, installation view (ph. credit Fabio Mantegna)

In che modo la mostra si inserisce nel dibattito contemporaneo sull’identità dell’arte italiana del secondo dopoguerra?
Crack ha una forte carica di innovazione e una forte identità italiana anche perché gli artisti intendono distaccarsi da coeve situazioni tanto americane che francesi.

Come hai costruito il percorso espositivo? Ci sono opere chiave che hai voluto assolutamente includere?
Considero importanti Braccio di ferro di Fabio Mauri che sempre ne parlava, il rétro d’affiche di Rotella che dimostra come anche Rotella affronti a modo suo il tema del monocromo, cruciale in quegli anni, ma tutte le opere in qualche modo forniscono chiavi di lettura.

 

Il Gruppo Crack, a cura di Laura Cherubini, Galleria Gracis, Milano, installation view (ph. credit Fabio Mantegna)
Il Gruppo Crack, a cura di Laura Cherubini, Galleria Gracis, Milano, installation view (ph. credit Fabio Mantegna)

Quali sono stati i criteri per selezionare le opere e strutturare le sezioni monografiche della mostra?
I criteri per selezionare le opere sono stati la loro vicinanza alle opere esposte e/o pubblicate, la ricerca è stata su quelle o su opere affini e vicine nel tempo. Mosè, l’opera di Pietro Cascella è la stessa in alluminio di quella pubblicata nel 1960 in cemento. Da questo punto di vista sono importantissime Apollo di Marotta e Astronomica e Il lenzuolo di S. Rocco di Giulio Turcato, tutte pubblicate in catalogo.

Quanto ha contato il contributo di Cesare Vivaldi, poeta e critico, nella definizione della loro identità collettiva?
È molto significativo che Cesare Vivaldi, il critico, ma più ancora poeta, nella pubblicazione del 1960 sia elencato dagli artisti.

 

Il Gruppo Crack, a cura di Laura Cherubini, Galleria Gracis, Milano, installation view (ph. credit Fabio Mantegna)
Il Gruppo Crack, a cura di Laura Cherubini, Galleria Gracis, Milano, installation view (ph. credit Fabio Mantegna)

La mostra dedica un’attenzione speciale a Piero Dorazio e ai suoi rilievi meno noti. Come mai questa scelta?
La mostra dedica particolare attenzione ai Rilievi di Piero Dorazio in parte perché la galleria Gracis, che si è messa a mia disposizione, con generosità e molto lavoro, per questa mostra e mi ha dato carta bianca anche per il catalogo, aveva già stabilito un rapporto con l’Archivio Dorazio (ma tutti gli Archivi hanno collaborato), ma soprattutto per la grande importanza di quei lavori (il primo appare nella pubblicazione del 1960) che non si rivedevano più da ventisei anni. È il Dorazio meno noto, ma è molto interessante.

Quest’anno cadono i 20 anni dalla scomparsa di Dorazio (così come i 30 da quella di Turcato) e nel silenzio di musei e istituzioni, tocca a gallerie illuminate come Gracis celebrare in qualche modo questi grandi personaggi. Perché il sistema italiano è così disattento?
Siamo felici che sia la galleria Gracis con questa mostra a festeggiare gli anniversari di Dorazio e di Turcato. Sono stata molto amica di Giulio e Vana e ho amato molto il suo lavoro. Il sistema italiano è purtroppo cronicamente disattento e purtroppo, spiace dirlo, un po’ esterofilo. In Italia spesso le gallerie hanno fatto supplenza alle istituzioni.

 

Il Gruppo Crack, a cura di Laura Cherubini, Galleria Gracis, Milano, installation view (ph. credit Fabio Mantegna)
Il Gruppo Crack, a cura di Laura Cherubini, Galleria Gracis, Milano, installation view (ph. credit Fabio Mantegna)

Il catalogo riproduce anche quello storico del 1960. Che importanza ha, oggi, restituire quel documento al pubblico?
Credo che il fatto più rilevante di questa mostra e di questo catalogo, che hanno richiesto quasi 3 anni di lavoro da parte mia, di Luca Gracis, di Francesca Tribò, di Francesco Guzzetti, dell’editore Manfredi, sia proprio la ristampa anastatica della pubblicazione editata nel 1960 da Achille Mauri che ci aveva tanto incoraggiato (infatti mostra e catalogo sono dedicate a lui). Quasi nessuno anche tra gli addetti ai lavori conosceva Crack e per quei pochi che ne avevano contezza era impossibile rintracciare quella pubblicazione. Quindi questa ristampa è utilissima e salutare. Inoltre non solo Vivaldi, ma anche gli artisti (pensiamo a Mauri, Perilli e Novelli, particolarmente legati ai letterati).

Il concetto di “gruppi” artistici ha avuto un ruolo preminente nel panorama italiano, specie per l’azione di Giulio Carlo Argan, ma dagli anni Ottanta è praticamente scomparso. Perché gli artisti contemporanei rifuggono dall’aggregarsi?
Sono stata sempre contraria a una storia dell’arte fatta per movimenti e gruppi attraverso etichette che poi vanno strette agli artisti e alle loro specificità. Però la particolarità di questo gruppo è che le specificità erano evidenziate, si erano uniti non per affinità, ma per diversità. Pare di vederli, i “congiurati” (come li chiama un giornale dell’epoca) aggirarsi tra i tavoli di Rosati. Questo è quello che manca oggi, la continua discussione, il confronto, il lievito che faceva crescere l’arte. Non è certo colpa degli artisti, ma manca molto stare insieme.

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