Print Friendly and PDF

Enzo Cucchi porta i “Soli di tutte le terre” a Tirana

Cucchi Enzo, Paesaggio barbaro, 1983, oil and mixed media on canvas, cm130x160_Ph. by © Corrado de Grazia
Enzo Cucchi, senza titolo, 2009, cm 25×32.5 olio su cartoncino nero
Dal 5 giugno 2025, il COD – Center for Openness and Dialogue di Tirana ospita I soli di tutte le terre, la prima mostra istituzionale in Albania di Enzo Cucchi, protagonista indiscusso dell’arte contemporanea italiana. Un evento promosso dall’Istituto Italiano di Cultura di Tirana e curato da Spazio Taverna, che celebra l’universo poetico e tellurico dell’artista marchigiano attraverso un viaggio che unisce arte, memoria e paesaggio.

La mostra si apre con un tuffo negli anni Ottanta, grazie a una selezione di capolavori provenienti da una prestigiosa collezione privata. Ritornano in scena, dopo anni di assenza congiunta, opere come Quadro santo (1980), Carro di fuoco (1981), Paesaggio barbaro (1983) e Il miracolo della neve (1986): quadri intensi, viscerali, attraversati da un’energia primitiva e spirituale.

Ma “I soli di tutte le terre” è anche un omaggio alla terra d’origine dell’artista, le Marche, regione che per Cucchi non è solo uno sfondo, ma una matrice identitaria profonda. Una sezione della mostra raccoglie una serie di piccoli dipinti dedicati a diverse località marchigiane, “luoghi remoti dove il cimitero è la cosa più importante di tutte”, come afferma lo stesso artista. Una riflessione intima e stratificata, in cui la pittura si fa rito e radice.

La seconda parte dell’esposizione è interamente dedicata al disegno, disciplina che Cucchi considera fondamento assoluto della propria pratica artistica. Su quei fogli si affaccia un mondo fatto di cipressi, colline, teschi e silenzi, una “geografia tenera” che non descrive, ma evoca, popolata di memorie, simboli e apparizioni. “L’immagine si lega in profonda solitudine alla solitudine del pensiero”, dice Cucchi. Ed è in quella solitudine che il segno può finalmente diventare straordinario.

Cucchi Enzo, Quadro santo, 1980, olio su tela, cm 202x205_Ph. by © Corrado de Grazia

Sebbene l’arte di Enzo Cucchi sia profondamente terrestre, il suo cuore resta legato a un solo mare: l’Adriatico. Non un semplice scenario geografico, ma un elemento poetico, quasi mistico, che unisce le sponde italiane e albanesi. “Tutte le cose vanno verso il mare”, scriveva Predrag Matvejević, che definiva l’Adriatico “il mare dell’intimità”. E proprio sulle rive di quel mare – tra le colline marchigiane e il canale d’Otranto – Cucchi ha plasmato la sua visionarietà sospesa tra sacro e profano.

Enzo Cucchi non dipinge paesaggi. Li incarna. I suoi quadri non sono vedute, ma visioni. Nei cipressi oscuri di Carro di fuoco o nei teschi di Paesaggio barbaro, emerge una marchigianità antica e profonda, che affiora come humus dai campi. È un legame emotivo, quasi liturgico, che si rinnova anche nel ciclo di piccole tele del 2003, una sorta di predella contemporanea dove santi e madonne lasciano spazio a soggetti enigmatici e visioni esoteriche.

“Cucchi dipinge i suoi ricordi come se fossero apparizioni. Trasforma la materia in mito. E in questa mostra a Tirana, porta con sé il sole, la terra, i cipressi e le colline delle Marche, per condividerli con l’altra sponda dell’Adriatico”, spiegano Bassan e Pratesi, curatori di Spazio Taverna. Un immaginario che lo accomuna a due giganti dell’arte marchigiana del Novecento: Scipione, da cui eredita l’incandescenza espressionista e le cromie drammatiche, e Osvaldo Licini, che gli trasmette la potenza della fantasia e la libertà del segno.

Cucchi Enzo, Paesaggio barbaro, 1983, oil and mixed media on canvas, cm130x160, Ph. by © Corrado de Grazia

 

Commenta con Facebook