
Fino al 16 novembre Casa Zegna ospita il progetto di Francesco Jodice “Racconti di boschi, di fabbriche e di persone”
“Oasi”, un’area amabile, dove indugiare e abbandonarsi a qualche riflessione. La derivazione della parola dall’arabo porta a formulare mentalmente immagini in cui la natura rivendica i suoi diritti, strappando a terre desertiche le linfe necessarie alla sua fioritura. Se poi l’oasi rappresenta anche una straordinaria campionatura di tipologie vegetali e racchiude presenze umane molteplici e vitali, assai radicate nella realtà del luogo, il suo significato si arricchisce di altre fertili valenze.
Non a caso la Fondazione Zegna – che ha sede dal 2000 presso l’Oasi Zegna, a Trivero Valdilana, nei pressi di Biella, all’interno di quel distretto tessile che ha fatto grande la fama del Made in Italy quanto a eccellenze del settore laniero –, è divenuta sinonimo di impegno in campo artistico e ambientale nonché motore di un intenso dialogo tra la natura del luogo, con le sue straordinarie varietà botaniche, e le tradizioni industriali qui coltivate in un secolo e più di storia.

Presieduta da Anna Zegna, la Fondazione promuove da alcuni anni eventi e mostre, ultima delle quali “Racconti di boschi, di fabbriche e di persone”, un progetto di Francesco Jodice per Casa Zegna, in collaborazione con Sara Gentile, a cura di Ilaria Bonacossa (fino al 16 novembre). Le impeccabili immagini, qui scattate negli ultimi mesi dal fotografo napoletano, si confrontano idealmente con quelle del padre Mimmo, che nel 2008 si trovò anch’egli a ritrarre i paesaggi e i volti dell’Oasi, ma, al tempo stesso, se ne discostano per cifra stilistica e finalità narrative.
Boschi, fabbriche e persone
“Di padre in figlio, dall’esempio del biellese Michelangelo Pistoletto, anche lui implicato nelle vicende dell’azienda come il padre Ettore Olivero, che dell’Ermenegildo Zegna rappresentò pittoricamente l’insediamento produttivo e affrescò alcuni spazi degli edifici adiacenti. Gli artisti che giungono qui in qualche modo entrano sempre a far parte della ‘famiglia’ Zegna. L’arte si manifesta infatti a Trivero in modo fluido e spontaneo, si pensi a Alberto Garutti, Liliana Moro, Stefano Arienti, Marcello Maloberti, e molti altri”, sottolinea la presidentessa. Non a caso Zegna ha appena annunciato una partnership globale e pluriennale con Art Basel.

Nella Serra – progettata, come anche il giardino, da Pietro Porcinai alcune decine di anni fa e divenuta oggi sede espositiva – ora si aprono dunque allo sguardo ventiquattro fotografie di Francesco Jodice scattate fra il 2024 e il 2025, articolate in sequenze secondo i tre temi – boschi, fabbriche e persone –, che sono cardine della rassegna, e in un nitido layout che fa dialogare esterni e interni. Intrecciati fra di loro per rimandi visivi e concettuali, gli scatti si pongono come icone simboliche, esplicative delle connessioni fra luoghi delle Prealpi piemontesi e funzioni che gli insediamenti industriali esercitano sia in termini di forza umana che di avanzate tecnologie, fra presenze dell’arte e cure ambientaliste. Jodice parla efficacemente di filo d’Arianna che si dipana fra le “storie”, per mezzo del quale tutti gli elementi si ibridano, scanditi dai netti spazi geometrici che accolgono le opere.

Indeterminatezza della visione
L’incipit è rappresentato da Poggio Cossato, in cui si enuclea il muro di nebbia che avvolge i rilievi del Biellese – a esso non sono estranei riferimenti a Luigi Ghirri e alla sua ricerca “dentro la nebbia”, come afferma Jodice stesso –, e che viene a costituire una coltre che si stende densa davanti all’obbiettivo, sopra la montagna e al di là di una sorta di sedile che ne delimita il ciglio. Come afferma l’artista, l’indeterminatezza della visione diventa un invito per lo spettatore a completare ciò che la foto lascia in sospeso.
Il gioco fra artificio e realtà prende il sopravvento là dove Plastico del territorio Oasi Zegna, che visualizza le curve orografiche della montagna, si confronta con il paesaggio boschivo di Valsessera, spruzzato di una neve leggera che, grazie alle grafie dei chiari e degli scuri dei tronchi, ne evidenzia il disegno. O quando Bocchetta di Margosio, dove troneggia come un totem sulla grigia roccia un gomitolo di un vivido giallo ocra, inserito in post-produzione come emblema del lavoro in fabbrica, rimanda a Lanificio Ermenegildo Zegna, filatura, caratterizzata dalla visione “vitruviana” – prospettica e specchiata – dell’interno del lanificio, con i suoi possenti macchinari.

Passaggio generazionale
Il colore, sempre dosato ad hoc, evidenzia dettagli salienti, come si trattasse di “indicazioni” segnaletiche. Esempio ne è la veduta invernale del tetto della fabbrica, dove sullo sfondo delle montagne dai toni spenti sventolano le bandiere blu dell’installazione qui realizzata tempo fa da Daniel Buren, come anche lo scorcio dei cieli azzurri e delle maestose pendici verdeggianti – frutto dei rimboschimenti voluti dagli anni ’30 da Ermenegildo Zegna –, ritagliato come un quadro al di là di spoglie e lineari finestre in Lanificio Ermenegildo Zegna, interni.

Infine, i nove Ritratti di classe, che, rimandando all’omonimo progetto già varato da Jodice presso la GAM di Torino, diventano espressione della memoria collettiva tramandata attraverso il passaggio generazionale. I ragazzi, immortalati come si trattasse della foto ricordo di fine anno scolastico, appartengono tutti alle scuole locali e rappresentano l’anello di congiunzione fra passato, presente e futuro. Custodi della storia, osservano con severità chi si pone davanti all’obbiettivo e i futuri spettatori dell’impressione fotografica. In cerca di risposte, in attesa di un segno che lasci presagire fatti e non parole.













