
Insetti, pesci, pinguini e molte altre specie ancora per Mark Dion, che torna da Pinksummer con un nuovo – e minuzioso – progetto espositivo. Una riflessione sull’ecosistema, sull’uomo e sui suoi comportamenti, tra malinconie dei giorni nostri e slanci verso il futuro.
Mitologicamente (in)definito e presente al netto della sua assenza, l’entomologo malinconico pare aver lasciato proprio un attimo fa il suo studio pieno di cose. E quando diciamo pieno, intendiamo per davvero: carte, retini, provette e oggetti di cui non sapremmo nemmeno definire l’uso. Non è nemmeno granché ordinato, o non lo è semplicemente perché quello è il suo e non il tuo studio, quello è il suo e non il tuo ordine. Sicuramente è vissuto nell’affastellarsi di cose sulla scrivania, sul tavolo, sotto la scrivania, dietro il tavolo e tutto intorno fino alla libreria, che per essere in linea con questo nuovo progetto di Mark Dion è stata privata delle ante a vetri, come ci racconta Antonella Berruti di Pinksummer.

Sì, ogni oggetto di questo staging voluto dall’artista per The Melancholy Entomologist and of Tales of Ecological Despair è stato vagliato fino all’ultimo spillo da lui stesso, che come in una delle sue famose tassonomie ha lavorato su una visione complessiva fatta di singoli elementi esplicativi. Tutto l’impianto è un’impattante riflessione sugli insetti, o meglio sulla loro fragile esistenza all’interno di un ecosistema in cui l’uomo tende a farla da padrone. Una calibrata congiunzione tra metaforico e concreto che al nostro Dion riesce benissimo.
A destra, il Target Wall composto con incastri precisi è altrettanto preciso nella sua “dionicità” assoluta, con immagini di animali che, a loro volta, incastrano non meno precisamente una pseudo-bucolicità animale alla prospettiva di morte imposta dall’uomo, segnata nei punti vitali da colpire specie per specie, su una parete che l’artista ha voluto verde intenso. Un verde contestualizzante, un verde-bosco allegorico racchiuso in un messaggio tutt’altro che allegorico, perché intendere e non sottintendere è regola non scritta per Dion, che su quel muro riesce a rendere la convivenza non pacifica tra essere umano e animale leggibile in tutte le lingue del mondo.

E quando il tema si sposta sulla leggibilità dell’opera d’arte, Dion è quella penna affilata capace di annotare una dimensione d’attualità all’interno di una “spendibile”, che si può leggere anche come “comprensibile”, visione concettuale dell’arte. Con lui possiamo parlare di “concettualismo” e di “attivismo” tenendo separati i due termini, ché Dion è sì artista “concettuale” (virgolette poiché in tempi no-gender, quello dell’arte contemporanea non è un universo così contemporaneo: qui s’incasellano persone come non ci fosse un domani), ma non meno di quanto sia attivista rispetto a ciò che di problematico la contemporaneità offre. Oppure unire i due termini, riassumendo le operazioni dell’artista in azioni speculative pensate in concreto e non in astratto. E, per questo, argomentabili nella realtà dei fatti.

Discorso analogo per la parete di 64 varietà ittiche prese in un mercato del pesce sudcoreano, fatte acquarellare da maestranze locali, in un passaggio dal reale al fittizio irreversibile come i danni portati all’ecosistema marino da una pesca non sostenibile. E, ancora, per quel pinguino di ceramica sul fondo della sala a fianco, in cima a un secchio pieno di oggettini recuperati e immerso nel bitume. Il messaggio è chiaro, ma guai a non considerare la colonnina in legno (altro elemento rigorosamente Dion-approved) che lo sottolinea, riportandolo a una dimensione comoda e casalinga, alla portata di tutti e mirata a tutti. In altri tempi ci avremmo messo sopra magari un vaso di fiori, così come l’avremmo vista contestualizzata in altre sedi e in altri momenti. Ma oggi è così che abbiamo scelto di far andare le cose.













