
Communautés. Projets 2005–2025, a cura di Francesco Zanot, presenta l’opera di Mohamed Bourouissa Al MAST di Bologna
Non accade spesso che una mostra ti osservi prima ancora che tu riesca a guardarla. Al MAST di Bologna succede questo, attraverso l’ultimo progetto esposto, ed è un esercizio oserei dire “scomodo”. Mohamed Bourouissa, difatti, non propone serie di immagini, semmai propone i suoi progetti come trappole visive. Come specchi disallineati che mostrano sempre qualcosa di storto, di sfuggente. Communautés. Projets 2005–2025, a cura di Francesco Zanot, è una sorta di perimetrazione narrativa di un territorio concettuale, in cui si entra come in un paesaggio straniero e stratificato, dove ogni serie – Périphérique, Horse Day, Shoplifters, Hands – non racconta meramente una storia, semmai pone un problema. O forse più d’uno.
Il primo? Quello dello sguardo. Il nostro, in particolare, addestrato a riconoscere immediatamente i ruoli: chi osserva, chi è osservato, chi giudica e chi è giudicato. Bourouissa rovescia totalmente questo schema: i suoi soggetti non chiedono alcuna spiegazione ma spazio. In Périphérique, sono ragazzi – spesso amici e conoscenti dell’autore – delle banlieues ad esser messi in posa come in un quadro di genere. Non c’è spontaneità, non c’è istante rubato: c’è composizione, composizione di scena, rivendicazione estetica. Quei corpi non vogliono essere “compresi” come se fossero soggetti di reportage, desiderano, piuttosto, essere guardati con la stessa intensità con cui siamo abituati a guardare un dipinto dell’800 francese.

Poi arriva Horse Day, e la narrazione implode. L’autore, qui, si immerge in una comunità afroamericana di Philadelphia, negli States, che addestra cavalli in cortili urbani; La restituzione esprime la complessità con una vertiginosa stratificazione di linguaggi: fotografie stampate su lamiere automobilistiche, disegni, video, sculture 3D, oggetti ibridi. Il cowboy nero, escluso dal mito del West, torna visibile attraverso un’estetica contaminata e decisamente straniante quanto potente. L’identità non è dichiarata: è costruita, imbullonata, cucita insieme con materiali diversi. Questo progetto si fa scena di resistenza, ma senza retorica.
Spiazzamento
Con Shoplifters, il colpo si fa diretto. Volti di persone identificate come ladri in market store, sono ritratti da una telecamera di sicurezza, e al MAST riprodotti e allestiti come se fossero ritratti di famiglia. Sorridono, stringono in mano il “bottino”: snack, uova, birra, detersivi. Non c’è assoluzione né umiliazione; Bourouissa non lavora sull’empatia, quanto, piuttosto, sullo spiazzamento. Dove ci si aspetta la denuncia, troviamo la domanda, dove cercheremmo, forse, una risposta morale, riceviamo un corto circuito visivo.

Infine, la personale al MAST propone Hands, lavoro inedito del 2025 presentato a Bologna in anteprima. Mani isolate, sospese su griglie e layers plurimi in plexiglass e metallo. Nessun volto, alcuna narrazione esplicita, solo frammenti che sfiorano l’astrazione. Mani che toccano, trattengono, si tendono ponendo in atto gesti semplici, ma carichi di urgenza. La griglia – che rimanda a quelle industriali, carcerarie, digitali – è ovunque; è sfondo, è struttura, è gabbia, intorno ed attraverso la quale noi ci troviamo a decifrare quei gesti come indagatori del presente, cercando un senso tra oggetto, meta immagine e simbolo.
Tra il reale e il ricostruito
Osservando i progetti al MAST, il punto non è più chi è il soggetto nella foto, ma chi c’è davanti ad essa, chi è l’astante. Bourouissa non offre contenuti estetici in quanto tali, costringe a interrogarsi su quelle che sono le nostre coordinate visive; intrinsecamente – e provocatoriamente – anche su cosa riconosciamo come “arte”, “documentazione” e come “elemento di comunità” in fotografia. Le sue immagini si posizionano a metà strada tra il reale e il ricostruito, tra la cronaca e il rito, ed è in tale spazio – decisamente instabile – che ci sentiamo come implicati a nostra volta.

Visitare la mostra Communautés significa anche accettare che le immagini non siano neutre, che ogni forma ha un costo umano, sociale, intellettuale e che in fotografia ogni inquadratura esclude – irrimediabilmente – qualcosa. Il percorso realizzato con la curatela di Francesco Zanot per gli spazi espositivi della Fondazione MAST accumula strati che non impongono soluzioni. Evidenziando, piuttosto, del lavoro, della marginalità, dell’estetica del controllo.
Ciò avviene in modo tale da non far emergere alcuno slogan, alcuna rassicurazione e la fotografia e il linguaggio artistico è per Bourouissa, un terreno di scontro, di rappresentazione, di memoria attiva prima di qualsiasi altra cosa e il visitatore della mostra probabilmente avrà la sensazione di uscire dalle sale interdetto e straniato: avrà guardato e osservato le opere, ma ne sarà stato, in primis, guardato.

Mohamed Bourouissa
Communautés | Projets 2005-2025
A cura di Francesco Zanot
Fondazione MAST, Bologna
Fino al 28 settembre 2025
FONDAZIONE MAST
Via Speranza, 42
Bologna
www.mast.org













