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Trump la licenzia con un post, e Kim Sajet lascia la National Portrait Gallery

National Portrait Gallery. Credits: Kevin Carter. Courtesy of Getty Images
National Portrait Gallery. Credits: Kevin Carter. Courtesy of Getty Images
Kim Sajet, storica direttrice della National Portrait Gallery di Washington D.C., ha annunciato le sue dimissioni il 13 giugno, dopo giorni di polemiche alimentate da un post del presidente Donald Trump su Truth Social, in cui affermava – senza autorità formale – di averla licenziata.

Lo Smithsonian Institution, che gestisce la Galleria e altri 20 musei, ha subito chiarito: Trump non ha potere decisionale sull’ente che resta indipendente e apartitico. Solo il Segretario e il Consiglio di Reggenza possono intervenire su questioni di personale. Tuttavia, l’uscita di scena di Sajet è ora ufficiale.

Nel suo messaggio al personale, Sajet – che guidava l’istituzione dal 2013 – ha parlato di una scelta sofferta ma necessaria: “Il mio principio guida è sempre stato il bene del museo. Oggi, credo che farmi da parte sia il modo migliore per servirlo”. Ma come? Nella lotta si molla? Nessun riferimento diretto alle parole di Trump, che l’aveva definita “faziosa” e sostenitrice della DEI, etichettando ciò come “inappropriato”.

Le critiche dell’ex presidente si concentravano su elementi legati alla rappresentazione della sua figura nel museo, inclusa un’etichetta che menzionava i suoi due impeachment e l’insurrezione del 6 gennaio. Altri esempi citati includevano dichiarazioni pubbliche di Sajet a favore della diversità nei musei.

Lo Smithsonian, nel frattempo, si è ritrovato al centro del dibattito politico. L’amministrazione attuale ha proposto tagli a due dei suoi musei, tra cui il National Museum of the American Latino. Sullo sfondo, un ordine esecutivo firmato da Trump a marzo, che mira a “ripulire” i contenuti considerati ideologicamente divisivi nei musei federali.

Prima donna a dirigere la National Portrait Gallery, Kim Sajet ha lasciato un’impronta profonda: nata in Nigeria, cresciuta in Australia e con una brillante carriera tra Philadelphia e Washington, è stata tra le figure più influenti nel ripensare il ruolo del ritratto nell’America contemporanea. Ora, si chiude un capitolo, mentre il dibattito sull’autonomia culturale delle istituzioni pubbliche si fa più acceso che mai.

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