
L’antichissima arte rupestre custodita tra le rosse montagne di Murujuga rischia di essere oscurata – se non compromessa – dall’espansione del vicino impianto di gas liquido di Woodside Energy, parte del gigantesco North West Shelf Project. Un progetto industriale che promette energia pulita per il futuro, ma che – secondo l’ICOMOS, l’organismo di consulenza dell’UNESCO – potrebbe minare per sempre un patrimonio culturale insostituibile.
Un recente rapporto di ICOMOS non lascia spazio a dubbi: le emissioni industriali rappresentano la minaccia principale per la sopravvivenza dei petroglifi. L’organizzazione ha chiesto all’UNESCO di bloccare ulteriori sviluppi nell’area, restituendo al governo australiano la responsabilità diretta del sito per evitare danni irreparabili.
Il ministro dell’Ambiente Murray Watt ha risposto duramente, accusando il rapporto di essere “pieno di inesattezze” e “influenzato da pressioni politiche più che da prove scientifiche”. Secondo il governo, le incisioni sono “in buone condizioni” e non vi sono segnali che pioggia acida o agenti inquinanti ne stiano deteriorando la superficie.

Il contesto è però più complesso. Studi locali riconoscono che l’area è stata colpita da inquinamento industriale negli anni ’70 e ’80, ma affermano che i livelli di contaminazione sono in calo dal 2014.
A luglio, rappresentanti della Murujuga Aboriginal Corporation – custodi spirituali e culturali dell’area – voleranno nella capitale francese insieme ad altri delegati per difendere la candidatura di Murujuga alla lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO.
Una sfida emblematica, che va oltre i confini australiani: conservazione del passato o corsa all’energia del futuro? La risposta, forse, verrà scritta nella pietra. O nella burocrazia di una conferenza UNESCO.














