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Motion of a nation. Quando l’arte ridefinisce le regole identitarie

Paolo Angelosanto, Chi ha ucciso a Pasolini, 2009. Acrilico e cucito su carta da parati cm 47 X 63 Cm, nella mostra Motion of a nation Paolo Angelosanto, Chi ha ucciso a Pasolini, 2009. Acrilico e cucito su carta da parati cm 47 X 63 Cm, nella mostra Motion of a nation
Paolo Angelosanto, Chi ha ucciso a Pasolini, 2009. Acrilico e cucito su carta da parati cm 47 X 63 Cm, nella mostra Motion of a nation
Paolo Angelosanto, Chi ha ucciso a Pasolini, 2009. Acrilico e cucito su carta da parati cm 47 X 63 Cm, nella mostra Motion of a nation
A Venezia Space for the Arts ospita fino al 31 luglio la mostra Motion of a nation curata da Antonio Arévalo

Molti anni fa, su invito di Manuel Anselmi, alla facoltà di sociologia di Cassino, tenni una conferenza dal titolo Global Motion – Local Emotion dove affrontavo il bilanciamento tra sistema globale dell’arte e suggestioni locali suscitate negli artisti che a quel sistema appartenevano. Suggestioni elaborate dalla lettura di luoghi specifici e specifiche realtà in cui erano chiamati ad intervenire. La vacanza residenziale di poetiche e semplici modalità operative generava allora delle riflessioni su ciò che poteva essere condizionato dai caratteri delle dimensioni locali. Alcuni sceglievano delle mediazioni stilistiche mentre altri delle conciliazioni con i segni distintivi, leggendo antropologicamente gli ambiti in cui si trovavano ad operare o a cooperare.

In certi casi, infatti, le opere prendevano forma da un dialogo con il contesto sociale d’accoglienza, in altri si concretizzavano in una sintesi di appunti di viaggio, emozioni, appunto, da cui scaturivano riflessioni su dati rilevati. Il movimento globale, sovranazionale, tipico di un periodo in cui proliferavano biennali e eventi in luoghi una volta ritenuti marginali, stava portando nel dibattito estetico scenari artistici nuovi, spesso però illeggibili con le attrezzature critiche tradizionali. Ebbene, oggi non userei più quelle parole, oggi quel Global Motion è cambiato, ed è cambiata anche l’emozione locale.

 

Adrian Paci, Interregnum, 2017 Single channel installation, 17' 29'', Courtesy the artist, kaufmann repetto and Peter Kilchmann gallery
Adrian Paci, Interregnum, 2017 Single channel installation, 17′ 29”, Courtesy the artist, kaufmann repetto and Peter Kilchmann gallery

Prendiamo, ad esempio la mostra in corso attualmente a Venezia Motion of a nation curata da Antonio Arévalo. La mostra si svolge in uno spazio lungo e largo, dalle pareti scrostate e in parte coperte da lacerti d’intonaco, uno spazio curioso che si trova alla Giudecca e che sembra un padiglione sfuggito all’Arsenale. É SPUMA – Space for the Arts, alle Fondamenta San Biagio.

Arévalo la presenta così: “[…] una raccolta di emblemi visivi che fondano la loro sopravvivenza soprattutto sul valore di simboli che vogliono raccontare una storia, i suoi significati, le sue distorsioni, con tecniche e materiali diversi, dalla fotografia al disegno, dalla pittura al video, intrecciando saperi alti e linguaggi pop, storia e cronaca, fumetto e poesia, in una fitta rete di rimandi e citazioni che si spinge così lontano, con audacia sorprendente e spesso ironica, da non concedere nulla al confine tra biografia sentimentale e analisi sociologica, tra memoria letteraria e sperimentazione tecnologica”.

Davide Dormino, Hourglass, 2023, bronzo
Davide Dormino, Hourglass, 2023, bronzo
Limite alla libertà

Quando non è slogan, l’emblema è una dichiarazione, un commento che può avere funzione simbolica per gli artisti. Una funzione che gli artisti di Motion of a Nation usano per destituire la tradizione iconografica su cui poggia la nozione di nazione, di appartenenza, sicché il simbolo di riconoscimento si svuota per venire restituito quale limite alla libertà. La bandiera come costrizione, prigione, confine, ma anche come giustificazione, pretesto per generare conflitti. Questa dimensione muta un paradigma estetico esternalizzato e fa sì che la citazione al luogo di origine si auto divori. Laddove si puntava sul punto di forza di un passato dove tutto era in funzione dell’invenzione di una tradizione, ora si scova un fallimento che ha ridotto la storia a un feticcio.

Oggi non si possono ignorare, parlando della crisi del movimento globale, posizioni come quelle di Nicolas Bourriaud che chiama “Capitalocene” ciò che su scala umana ha capovolto le modalità di rappresentazione, ciò che allarga la cartografia delle relazioni ridefinendole in senso multifocale. Ogni narrazione, che nella formula complessa si frammenta in “storie”, cambia ciò che prima era definibile in chiave unitaria ed univoca e disfa ogni correlazione tra soggetto e forma della rappresentazione. l’arte, perciò, non affidandosi più alla didattica dei modelli, cerca referenti in singole urgenze esistenziali, praticando azioni capaci di riabilitare terreni d’incontro.

 

Santiago Sierra, The Maelström (2024)
Santiago Sierra, The Maelström (2024)

In questa “terra di nessuno”, per citare il titolo del libro di poesie di Antonio Arévalo, l’artista manipola il proprio patrimonio genetico, inventa una identità e racconta la sua storia, dà significato a una libertà che non esiste oltre la necessità di adattamento. I modi di applicazione delle regole identitarie, per l’artista cambiano perciò da caso a caso, come d’altronde cambia tutto quello che siamo soliti chiamare naturale davanti a nuove contingenze, così come si applicano principi universali a situazioni irripetibili. Questa è libertà ed è attuabile solo in rapporto a delle regole che vengono perciò ridefinite. Queste regole possono altresì essere innalzate a vessillo identitario e generare ostilità per via di una suadente semplificazione del reale.

L’emozione locale

Qualcosa di simile ha trasformato l’emozione locale in Genius Loci, ed è, in un certo senso, lo stesso fenomeno che ha trasformato il viaggio in gita turistica e il mondo in un archivio di immagini. Come ha recentemente sottolineato lo storico dell’arte Stefano Chiodi, il concetto di Genius Loci s’appoggia fisiologicamente a un’immunità dalle trasformazioni storiche, una tipizzazione che genera identità inalienabili e afasiche, immaginari esotici stereotipati e asfittici. L’emozione locale un tempo era ancora terreno di negoziazione, in cui ciò che si era si scambiava con ciò che s’incontrava. Il noto si apriva, perciò, all’ignoto, lo accoglieva per modificarsi a sua volta.

 

Lucy+Jorge Orta (Francia + Argentina), Antarctic Village - No Borders, Dome Dwelling, 2007
Lucy+Jorge Orta (Francia + Argentina), Antarctic Village – No Borders, Dome Dwelling, 2007

L’emozione locale cambiava le regole per via di una condizione di permeabilità operativa che oggi, purtroppo, s’è ridotta a un’attività di archiviazione di notizie di cronaca, a servizio di reportage infarcito da una campionatura antropologica che trasforma semplici curiosità in uno spettacolo di varietà. Invece di cercare una forma di alleanza con l’alterità, l’arte localizzata sembra oggi intenta a scovare i termini di uno scontro per riconoscersi in reclami tribali invece che in diritti universali. Ecco, allora, il valore della mobilità del concetto di nazionalità, il fatto di essere spiantato, soppiantato e soppiantabile, sostituibile, perché pronto a rinunciare alla conservazione narcisistica delle regole e a riconoscere la fallibilità di un rigore che non può contenere il particolare.

 

Daniela Papadia, Il Filo dell’Alleanza, ricamo su tela, 2018
Daniela Papadia, Il Filo dell’Alleanza, ricamo su tela, 2018

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